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I suoi inizi, tutti calabresi, sono segnati da un’assidua pratica creativa, fatta di ghirigori, scarabocchi e di tanti pre-disegni, disegni informali abbozzati.
I suoi inizi, tutti calabresi, sono segnati da un’assidua pratica creativa, fatta di ghirigori, scarabocchi e di tanti pre-disegni, disegni informali abbozzati.
Di Rosario Sprovieri
Pittura precoce? Non saprei come meglio dire, come chiamare quella sostanziale spinta del pensiero che, sin dalla più tenera età, ha dato impulsi, tonalità e armonie d’arte, alla vita del piccolo Graziano Riccio.
I suoi inizi, tutti calabresi, sono segnati da un’assidua pratica creativa, fatta di ghirigori, scarabocchi e di tanti pre-disegni, disegni informali abbozzati. – cosa non rara - frequente per tanti dei grandi maestri della Pittura di ogni tempo, da Leonardo da Vinci, a Pontormo, a Picasso, a Cy Twombly, a Dubuffet, a Henri Michaux, a Michelangelo, a Tiziano, a Jean-Michel Basquiat, a Giuseppe Capogrossi, a Giuseppe Arcimboldo a Balla e a tanti e tanti ancora.
Graziano Riccio è nato a Cosenza nell’anno 1979, proprio alle pendici di quel Canada Italiano che è la Sila Grande, a pochi chilometri dove sono venuti al mondo Gioacchino Da Fiore, Telesio, Campanella, Aldo Turchiaro e Luigi Amato. Graziano, da tempo ha scelto di vivere a Roma, e il contatto con L’Urbe ne ha profondamente arricchito la sensibilità artistica.
Roma – ci dice Graziano - “è un mondo a parte, un’occasione reale per guardare oltre la superficie, per assorbire le stratificazioni della storia, attraverso ogni forma e ogni segno”.
L’artista è consapevole che per la sua creatività deve tanto anche al mare, alle colorazioni cangianti dell’acqua, al riflesso della luce del sole, alle opacità argentare della luna agli specchi delle foglie dell’ulivo, visioni che si porta dentro e che riaffiorano spesso nei suoi compositi paesaggi pittorici.
I ricordi e l’osservazione sono l’energia viva, sono le vibrazioni che alimentano e amplificano la sua straordinaria tavolozza cromatica. Allievo del Maestro d’Arte Mario Salvo, nel maggio 2022, è fra i firmatari del Manifesto degli Stratigrafici. Il suo linguaggio pittorico è di ottimo spessore, l’ingegnere Riccio sa bene come lavorare sulla deformazione della realtà, per restituire poi, attraverso le sue opere: visioni armoniose, sublimi, ma anche “paesaggi astratti” alternativi e inaspettati. In Riccio, l’accentuazione cromatica del colore è fondamentale e vibrante, spesso audace, è sicuramente l’elemento d’impatto più immediato che ne guida lo sguardo verso la sua ricca composizione visionaria. La tavolozza dell’artista Cosentino, richiama le opere dei primi Fauvisti, proprio quando è l’emozione che prende il sopravvento sulla forma.
Queste sue “opere quasi sonore” non vogliono essere semplicemente osservate: ma necessitano invece d’essere vissute, attraversate, assorbite. “Graz”, che è il nome che ha scelto per proporre la sua arte, è l’elemento distintivo, che il pittore ne fà firma vissuta e amata per la sua identità artistica. Il “fine”, la scelta del linguaggio e della narrazione pittorica celano la ferrea volontà dell’artista di lasciare “segni, tracce, impronte, che raccontino l’esistenza umana al mondo, di ciò che siamo – o di quello che potremmo diventare – di quel rapporto profondo con le immagini, la materia e il tempo.
Per viaggiare dentro quella sua fantasia creativa, per le sue “scoperte” c’è davvero bisogno di avere quei “nuovi occhi” così cari a Marcel Proust.
Gli "scarabocchi inutili, non erano affatto una perdita di tempo" - ha detto Gillo Dorfles - poiché per poter disegnare, bisogna industriarsi bene, capire, coordinare e, dare forme al chiacchiericcio, alle mescolanze e alle sonorità del pensiero”. Jean Dubuffet vedeva nell’impercettibile movimento della pittura la partenza da una semplice macchia, "È questa macchia, mano a mano che la si arricchisce o la si orienta, che deve guidare il lavoro. Un quadro – infatti - non si costruisce come una casa, movendo dai calcoli dell’architetto, ma volgendo le spalle al risultato, a tentoni, all’indietro!"
Potremmo poi tornare sulla casualità e sulla sperimentazione di Lucio Fontana e, solo per un attimo, riesaminare quella rotazione, quasi nevrotica, disordinata, caotica, della rotazione sussultoria, della punta di una biro, quando incide e strappa il foglio; ciò ci servirebbe a sottolineare che anche se questi piccoli strappi, non hanno mai il garbo essenziale dei trapassi del maestro Fontana, sono di fatto visioni su un “oltre, su un al di là”: una ferita viva, nella natura bidimensionale dello schizzo. Un’azione che riesce a lacerare la materia, a oltrepassare “il limite”.
Il poeta Camillo Sbarbaro ha immaginato “la casualità dei segni” come forme licheniche abbarbicate alle rocce esposte alla luce, una visionarietà lucida – questa sua - che trova la movimentata forma di vita, anche nella loro pochezza disordinata in questi organismi simbiotici, che s’addensano e che traggono vantaggio l'uno dall'altro. (Addio ai licheni, Camillo Sbarbaro)
"Ancorato ai licheni mi ha forse/ la notizia che non si sa cosa / siano; ma quel che in essi mi/commuove è la prepotenza di/ vita. In quanti si contendono il/minimo spazio! Diversi di forma, /di colore, di portamento e, /per la scienza, di specie (e quindi di genere, di famiglia, di tribù...) /si pigiano in tanti/ sullo stesso pezzetto di corteccia/ o di pietra da essere costretti/ a scavalcarsi a invadersi a vicenda..."
Lo scarabocchio è quell’affiorare in superfice dell’innata malinconia dell’inquietudine umana, con la narrazione del ritorno ancestrale alla vita da bambino. I disegni abbozzati, spesso provengono dal groviglio inconscio, dalla “casualità” del segno, appalesano il linguaggio dell’anima dai desideri repressi, dei ricordi, dei traumi, delle emozioni.
“La maggior parte delle volte non ho la minima idea di quello che faccio” ha scritto il chitarrista, cantautore Brian Eno. Per il pittore Riccio è accaduto che già nel corso delle lezioni presso la scuola media, l’insegnante di educazione artistica ne individuò la sua predisposizione e, se ne prese cura, lo spronò all’uso dei pennelli e delle tempere. Iniziò così la fase, della sperimentazione e della scoperta, l’inizio del percepire l’arte come linguaggio universale, capace di comunicare emozioni e universi celati dentro la membrana del cuore.
L’arte allora, per Graziano Riccio, insieme al cinema, alla musica e all’informatica ha iniziato a completare la sua giovane vita. L’arte gli ha permesso di trovare e sperimentare un nuovo linguaggio espressivo. Il cinema di delineare il suo sguardo, il chiaro e lo scuro, la musica il ritmo, la sonorità e, l’informatica di governare gli strumenti della nuova architettura multimediale, sino alle nuove forme del metaverso. Oggi il pittore trova sintesi meravigliose, accostamenti speciali sono gli ingredienti del suo complesso universo pittorico.