Giornalismo al servizio delle tragedie, ma tra Guerra e #Covid non se ne può più
Tra guerra e Covid sconvolti ascoltiamo chi dai vari fronti ormai continua a fare il mestiere più difficile ma più affascinante del mondo, quello del cronista.
di Gregorio Corigliano
Martedì 10 Maggio 2022
Roma - 10 mag 2022 (Prima Pagina News)
Tra guerra e Covid sconvolti ascoltiamo chi dai vari fronti ormai continua a fare il mestiere più difficile ma più affascinante del mondo, quello del cronista.

Certo, un tempo c’era la mazzetta, al giornale. Oggi non c’è più, non riuscirei a slegarla, neanche. Mi limito a tre- quattro giornali al giorno. Sicuramente due nazionali.

Mi riferisco ai quotidiani. Rigorosamente, di carta. Quelli on line li leggo, ma con difficoltà e proprio se non riesco a farne a meno o solo se ci sono quelli, senza edizione cartacea. Altrimenti, per me, la vecchia, cara, profumata edicola non morirebbe mai. All’appuntamento quotidiano non manco mai.

Due dei giornali nazionali non hanno meno di quarantotto pagine, a volte anche di più. La scansione delle pagine, nel tempo, è stata sempre la stessa. Ricordo gli esami per professionista, l’articolo di fondo, l’articolo principale, quello di spalla, l’elzeviro, la terza pagina ecc. ecc.

Da più di due anni, e oltre, i giornali sono costretti ad essere monocorde, con un solo argomento non solo principale, ma pressoché unico per almeno metà delle pagine. L’articolo che viene trattato, appunto il principale, viene sviscerato in tutti i modi possibili, con annessi, connessi, spunti, conseguenze, antecedenti, sviluppi possibili, riflessioni derivate, naturalmente opinioni differenti sull’argomento con interviste e posizioni.

Il riferimento evidente per ogni divoratore di giornali, dal quotidiano ma anche- tutto sommato- al settimanale è a quello che chiamavamo per un periodo coronavirus, il virus con la corona, divenuto col passare dei giorni, il Covid che, non credo, dimenticheremo mai. Credo non sia rimasto nulla da dire o da aggiungere a quanto è stato detto, scritto o commentato per radio o in tv.

Non che si sia diventati tutti esperti, da cittadini o vittime, ma certo indottrinati a sufficienza. O, meglio, informati, se tuttora, a virus quasi per intero isolato o debellato, in molti portiamo la ffp2 e non più la chirurgica, continuiamo, di tanto in tanto, a farci un nuovo tampone.

Insomma stiamo attenti, la lezione dei mezzi di informazione è servita a tutti, visto che, appena usciamo di casa, al mattino ci rendiamo conto che il cittadino ha visto il telegiornale ed ha seguito gli ospiti della Maggioni o di Mentana, quando non di Luana Cremasco e soprattutto di Giorgio Zanchini.

E adesso? Smessi i panni medici e di infermieri e, soprattutto di pazienti, siamo passati a dover leggere e vedere e ascoltare giornali, televisioni, radio per sapere della guerra Russia Ucraajna.

Proprio così, prima quasi venti pagine di Covid, adesso altrettante se non più, di Zelenski, Putin, Kiev. E se prima sapevamo dell’esistenza degli ucraini per via delle badanti di casa nostra o dei nostri raccoglitori di arance, adesso sappiamo tutto o quasi di questa martoriata regione. Leopoli, Dnipro, Odessa, Donbass, Mariupol!

Non sapevamo che poco e niente del mondo della Thimoscenko, se non che era una bella donna con i capelli biondi raccolti a treccia sul capo. Adesso sappiamo bene che il presidente dell’Ucraina era un attore vero e non inventato che ha vinto col 70% dei voti, che è sposato, ha figli, vive nel bunker, parla alle tv del mondo.

E di Putin, l’invasore di Kiev, il comandante dei soldati bambini, il capo degli oligarchi? Sappiamo finanche di quanti soldi ha, quante mogli, quanti figli, quante amanti. Delle trattative, più finte che vere, per giungere a quella pace alla quale tutti aneliamo e per la quale il Santo Padre si sta ammalando!

Mentre per il Covid facevamo il tifo per Gallo del Sacco o per Burioni o per la “Terremoto” quando non per i vertici dell’Istituto superiore di sanità, dei quali abbiamo prontamente dimenticato i nomi, dopo aver apprezzato uno anziché un altro, per la guerra ci soffermiamo ai morti, alle disgrazie, alle tragedie, ai bambini ed alle loro storie che ci fanno piangere. Non conosciamo, se non gli addetti indiretti ai lavori, i nomi dei cronisti di guerra (il mestiere più affascinante ed incredibile del mondo che si fa in sprezzo di ogni pericolo), che spesso sono lì a due passi dei missili, delle bombe  a grappolo, delle macerie fumanti, nei sottoscala- dormitori: la Farnè,  Giacovazzo, Zazzera, Sicuro, Mannocchi, Azzurra Meringolo e, con il principe Marc Innaro, tanti altri, di cui anch’io non ricordo i nomi. Tutti meritevoli: sono lì a farci vivere, purtroppo, quelli che avrebbero dovuto essere attimi e invece hanno superato i due mesi.

Così come dimenticheremo assai presto i nomi degli infettivologi o degli specialisti che ci hanno accompagnato lungo due anni, ma non dimenticheremo i sacrifici dei medici, degli infermieri, degli autisti delle ambulanze, le bare di Bergamo.

L’augurio qual è? Di dimenticare presto, ma è molto difficile, la guerra. Speriamo che finisca se il signor Putin accetterà gli appelli che gli vengono dal mondo intero, a cominciare dal nostro Presidente Draghi che ha fatto uno dei discorsi più coinvolgenti e più drammatici che si possano fare, in queste incredibili circostanze. E lo rifarà assai presto quando sarà ricevuto dal numero uno dei resistenti aggrediti e dalla signora Zelenska: non potendo fare altro mi limito a indossare la pochette giallo-azzurra!


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