Grandi Giornalisti. Maurizio Crovato, 43 anni di professione tra guerre, gossip e cronaca in diretta

43 lunghi anni di professione giornalistica per Maurizio Crovato, volto storico del TG2, e tra i cronisti più amati e seguiti della Cronaca in Diretta che allora esordiva proprio con lui, Piero Vigorelli conduttore principe del programma di Rai2. Un anniversario che Maurizio Crovato dedica alla sua Venezia, città che ama più di ogni altra cosa al mondo.

di Pino Nano
Martedì 27 Dicembre 2022
Roma - 27 dic 2022 (Prima Pagina News)

43 lunghi anni di professione giornalistica per Maurizio Crovato, volto storico del TG2, e tra i cronisti più amati e seguiti della Cronaca in Diretta che allora esordiva proprio con lui, Piero Vigorelli conduttore principe del programma di Rai2. Un anniversario che Maurizio Crovato dedica alla sua Venezia, città che ama più di ogni altra cosa al mondo.

Curriculum da primo della classe per Maurizio Crovato, che quest’anno a Venezia festeggia i suoi primi 43 anni di professione giornalistica, una carriera tutta vissuta dentro le redazioni e al servizio dei suoi lettori e del suo pubblico. Una laurea in Lettere con 110 e lode alla Ca Foscari, giornalista professionista dal gennaio 1985, dal 1980 al 1984 Cronista al “Gazzettino”, Dal 1984 al 1988 Redattore alla “Nuova Venezia”, dal 1988 al 1992 Redattore alla Sede Rai Trentino Alto Adige, dal 1992 al 1996 Inviato della “Cronaca in diretta” per Rai 2 e “Novantesimo minuto” per Rai 1, dal 1997 al 2003 Conduttore e corrispondente di guerra al TG2, dal 2003 al 2005 Caporedattore di Rai Veneto, dal 2005 al 2013 Caporedattore e inviato di Rai International. Chi più ne ha più ne metta. Maestro di stile, padrone assoluto del linguaggio giornalistico, cronista rispettosissimo delle posizioni contrapposte, e soprattutto cultore rigorosissimo del pluralismo delle opinioni.

-43 anni di professione, Crovato a chi crede di poter dedicare tutto questo impegno professionale?

Direi prima di tutto alla mia famiglia, che ha avuto la pazienza di aspettarmi, e poi alla città di Venezia a cui mi lega un amore infinito.

-Se lei dovesse ricordare oggi la sua esperienza professionale più interessante?

La prima cosa che mi viene in mente è “La cronaca in diretta” programma che andava in onda su Rai 2 con Alda D’Eusanio, parliamo di 30 anni fa”. Mamma mia come passa il tempo.

-Cosa aveva di così speciale?

Fu un programma innovativo, pensato e diretto da un grande giornalista come Piero Vigorelli, che aveva accanto professionisti del calibro di Daniel Toaff e Walter Preci, come autori del format. Per la prima volta vennero coinvolti come inviati i giornalisti di punta delle sedi regionali, io venivo da Venezia, Geo Nocchetti da Napoli, da Roma faceva capolino Roberto Natale, ma prima ancora Piero Marrazzo, una squadra di primissimo livello. Attenzione, parliamo di una informazione giornalistica finalmente fuori dalle gabbie strette dei tradizionali e canonici Tg, con dirette che duravano anche mezz’ora, con regista e quattro telecamere. Per me, veneziano abituato in gondola, girare per tutta l’Italia, dal nord al sud, fu una esperienza formativa e professionale unica.

-Cosa ti rimane dentro di tanto lavoro?

Certamente, il ricordo di amici che dura nel tempo. Ricordo anche che alcuni colleghi delle sedi regionali, non ci guardavano di buon occhio, perché fare cronaca nera in diretta, era visto come un impegno professionale di serie B, per nulla ideologico all’epoca, ma forse era solo un pizzico di invidia corale.

-Invidia, sei sicuro? Posso scriverlo?

Assolutamente sì. Tra i sette peccati capitali l’invidia, ovvero la superbia, è l’unico (pensa alla gola o alla lussuria) in cui non godi. Noi allora facevamo ascolti pazzeschi. Ma lo stesso Piero Vigorelli ricordo che era visto come un giornalista di destra, per cui una sorta di “nemico del popolo”. Poveri sindacalisti Rai a pensiero unico. Penso al programma Report di oggi. Noi di fatti avevamo in qualche modo anticipato i tempi….

-Un episodio in particolare?

Mi ricordo in un paesino del sud. Arriviamo con il camion delle dirette e le telecamere. E il sindaco, una brava persona, ci blocca la strada. “Voi non fate la diretta Rai!”. Io chiedo, ma signor sindaco perché?. “Perché siete un programma truculento, fate vedere solo la violenza e il sangue”.

-Cosa dovevate raccontare da lì?

In quel paesino, una ragazza fuori di sè, non seguita dai servizi sociali, aveva ammazzato la madre. Poi, riempita la camera ardente, di candele e di immagini sacre, l’aveva vegliata come fosse la Madonna. E questo lo aveva fatto per diversi giorni dopo la morte della mamma.

-Come andò a finire la vostra diretta?

Spiegai al sindaco un concetto fondamentale. Gli dissi “Noi vogliamo solo essere utili a chi segue il nostro programma. e non fare nessuna tv del dolore o peggio ancora del sangue”. Poi gli posio una domanda diretta: “ Si è mai chiesto, caro sindaco, come mai nonostante le sue insistenze, la Regione e i suoi servizi sociali non siano mai intervenuti prima? In pratica vi hanno lasciati soli, per giunta un.paesino di pochi abitanti”. Noi non andiamo via finchè non chiudiamo la diretta, ma in diretta – gli aggiunsi ancora- parlerà soltanto lei”.

-Andaste in onda?

Come previsto, e anche in maniera impeccabile. Alla fine della diretta Rai il sindaco ci ringraziò per la nostra correttezza e la Regione, dovette chiedere ufficialmente scusa al Paese che ci aveva appena seguito da casa.

-Altri ricordi importanti?

Uno per tutti. Ricordo che la conduttrice del programma Alda D’Eusanio venne sospesa dai programmi per un po’ di tempo. C’era allora la cattiveria postuma di Tangentopoli. I magistrati avevano diffuso una sua telefonata privata con Hammamet, in Tunisia, dove Bettino Craxi, esule, inquisito e gravemente ammalato, le rivolgeva, al telefono, parole di ammirazione e di affetto personale. L’intercettazione telefonica finì su tutti i grandi giornali del tempo, una sorta di mannaia pubblica, ma Alda non c’entrava nulla con le inchieste giudiziarie in corso. Adamantina e rigorosa come sempre. Bene, a pensarci oggi, ai tempi di Carlo Nordio, ministro veneto, liberale e garantista, mi viene tantissima rabbia.

-Qualche altra vicenda ancora?

Pazzesca fu l’esperienza, credo nel 1996, con il mostro di Merano, Ferdinand Gamper. Secondo i magistrati di allora le indagini vedevano coinvolto un povero italiano. Invece il mostro era un altoatesino doc di lingua tedesca con precedenti penali. Mi recai a Rifiano, un po’ per intuizione e un po’ per informazioni dirette, al maso dell’assassino. Mi trovai al centro di una sparatoria dove venne ucciso un povero carabiniere. Coperto da un grosso albero, feci la diretta radio, in mezzo al fuoco incrociato. Gamper poi si suicidò, questa fu almeno la versione ufficiale.

-Qualcuno ti disse almeno grazie?

Lo fece pubblicamente il direttore dei giornali radio, il mitico Claudio Angelini, che mi consegnò un premio nazionale radiofonico. Era il primo anno dei telefonini Rai in diretta.

-Anni di grande impegno professionale, ma anche di grandi riconoscimenti pubblici?

Anche questo è vero. Grazie al direttore del Tg2, Clemente Minum, venni chiamato come inviato di cronaca in una testata nazionale. Che esperienza! Ripercorsi emozionato, all’epoca, tutta la mia vita fortunata e avventurosa. Mio padre era un artigiano di origine friulana, Solimbergo, ci tengo a dirlo, poco distante da Spilimbergo, dove tutti gli abitanti facevano i mosaicisti o i terrazzai dei pavimenti mosaicati alla veneziana. Il mio destino, il destino della ditta di mio padre, era segnato. Invece mia madre, pure lei friulana di S.Leonardo Valcellina, voleva che studiassimo anche lavorando. Eravamo cinque fratelli, tutti laureati. Io feci diversi mestieri. A 14 anni venditore di vetri al Lido e a Murano, poi impiegato alle Poste italiane, il bancario con esperienza e lavoro in Francia, il professore di italiano e storia alle superiori. Ho fatto, perfino il gondoliere in Giappone! Come giornalista iniziai a collaborare al Gazzettino, il più importante e storico giornale regionale. Avevo lo stesso cognome del direttore di allora. L’omonimia, mi procurò vantaggi e svantaggi, ma divenni professionista. Quando il vecchio direttore Gianni Crovato, morì a 94 anni, ero l’unico presente al suo funerale, tra i pochi parenti. Poi capii che mi voleva bene come un figlio. Lo ricordo sempre nelle mie preghiere…laiche.

-Ma tu hai fatto anche l’inviato di guerra…

Come giornalista Rai, ho fatto l’inviato di guerra in Bosnia, Kossovo, Albania, Angola, Iraq.

-Filò sempre tutto liscio?

Diciamo che sono stato fortunato. A fine carriera, con Rai International, ho girato il mondo. Oggi vedo il mondo dell’informazione totalmente rivoluzionato. Giornali e tv sono anticipati dai social…un progresso inimmaginabile ai miei tempi.

-Vogliamo ricordare anche il tuo incontro con Papa Luciani?

Sorrideva sempre, ma non rideva mai. Era questo il grande mistero di Albino Luciani, Giovanni Paolo I, papa per soli 33 giorni, da poco beato. Fu il suo uno dei più brevi pontificati nella storia della Chiesa. Verrà ricordato dai posteri come il papa del sorriso. Siccome la vita è l’arte degli incontri, io lo conobbi da vicino con mio fratello gemello Giorgio, e gli parlammo confidenzialmente in una delle sue ultime visite pubbliche.

-In che occasione?

Era il luglio del 1978. Un mese dopo avrebbe sostituito Paolo VI al soglio di Pietro, due mesi dopo sarebbe morto per attacco cardiaco. Nel 1978, noi giovani amanti della laguna, avevamo organizzato con l’Associazione remiera Settemari, una mostra storica sulle piccole isole abbandonate della laguna e prodotto un libro di foto e testimonianze sullo stato decrepito di queste antiche reliquie della Venezia che fu. L’ultimo visitatore, nell’ultimo giorno della mostra a orario di chiusura, fu proprio Albino Luciani. Una enorme sorpresa. Scusate, ci dissero dalla vicina Curia patriarcale di Piazza San Marco, potete posticipare la chiusura prevista per le ore 20? Certo che sì. Era accompagnato dal suo fedele segretario e autista, don Ettore Fornezza, allora giovane prete, oggi dinamico sacerdote 84enne.

-Ne valeva la pena di fare tanto lavoro?

Ma scherzerai? Avrei anche pagato per farlo. Per 43 anni ha solo gioito del mio lavoro e della mia passione. Incontro continuamente ragazzi e ragazze che mi chiedono che mestiere è stato il mio e che mestiere è oggi fare il giornalista. A tutti rispondo che è il mestiere più bello del mondo. Provare per crederci.

-Che 2023 si aspetta?

In questo sono fatalista. Come Dio vorrà. Spero tranquillo, sereno, lontano dalle malattie. Per me e per gli altri. Per tutti noi insomma.

 


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