Le leggende dell'Alpinismo, Freney 1961: Bonatti-Mazeaud, fulmini e coramina sul Monte Bianco
Tre italiani e quattro francesi, 62 anni fa, decidono di scalare insieme il Pilone Centrale. Una violenta bufera li sorprende a 4500 metri. Per giorni sono costretti ad una serie di drammatici bivacchi a -20 gradi, semisepolti dalla neve. Fino alla rocambolesca ritirata a corda-doppia nel vuoto tempestoso.
di Antonio Panei
Martedì 10 Gennaio 2023
Roma - 10 gen 2023 (Prima Pagina News)
Tre italiani e quattro francesi, 62 anni fa, decidono di scalare insieme il Pilone Centrale. Una violenta bufera li sorprende a 4500 metri. Per giorni sono costretti ad una serie di drammatici bivacchi a -20 gradi, semisepolti dalla neve. Fino alla rocambolesca ritirata a corda-doppia nel vuoto tempestoso.
Nel luglio del 1961 Bonatti tenta di risolvere l’ultimo grande problema del Monte Bianco: il Pilone Centrale del Freney, un pilastro imponente, a forma di candela, che nessuno è mai riuscito a toccare. Sceglie come compagni di cordata l’ingegnere milanese Roberto Gallieni e il trentunenne Andrea Oggioni, lombardo anche lui, originario di Villasanta. I tre alpinisti arrivano al bivacco de la Fourche il 9 luglio. Qui incontrano casualmente una cordata francese formata da Pierre Mazeaud, Pierre Kohlmann, Antoine Vieille e Robert Guillaume. Decidono di partire insieme. E' bel tempo e la pressione barometrica è alta. Ma dopo un giorno e mezzo di arrampicata, a quota 4500 metri, si trovano nel mezzo di una tempesta di neve.


"Tuoni e lampi - scrive Bonatti nel libro I miei ricordi - sfolgorano tutt'attorno, l'aria è satura di elettricità, il vento ci butta sul viso polvere di neve accecante". Kholmann viene sfiorato da un fulmine e per alcuni minuti rimane paralizzato. Si riprende solo dopo aver ingoiato della coramina. Gli alpinisti si rifugiano nelle loro tendine da bivacco. Lì dentro, però, col passare del tempo comincia a mancare l'aria. Per poter respirare sono costretti a lacerare un angolo del telo. Sono quasi sepolti nella neve. Fuori non si vede niente. La bufera sembra non finire più. Al terzo giorno, malgrado il perdurare del maltempo, Bonatti decide lo stesso di iniziare le operazioni di discesa a corda-doppia nel vuoto tempestoso, alla cieca.


Le manovre sono lunghissime e acrobatiche. I sette alpinisti si calano fino al Colle di Peuterey e "nuotano" nella neve che arriva loro fino al petto. Fa un freddo atroce, di notte il termometro segna 20 gradi sotto zero. All'alba iniziano la traversata del canalone che precede i Rochers Gruber. Sono ormai sfiniti, i loro indumenti, completamente fradici, si sono induriti dal giaccio. Vieille entra in crisi. Non riesce ad avanzare, crolla. Morirà congelato. Poco dopo la stessa sorte tocca ad Oggioni. Kholmann, invece, esce fuori di testa. In preda ad un raptus di follia comincia ad urlare e tenta di aggredire Gallieni e Bonatti. I due riescono ad evitarlo e a continuare il cammino verso il Rifugio Gamba. Kholmann non è più in grado di proseguire. Per lui sarà la fine. Guillaume, invece, precipita in un crepaccio.


Si salvano solo in tre: Gallieni, Mazeaud e Bonatti. Il medico a cui vengono affidate le prime cure del "Re delle Alpi" dichiara alla stampa: "Incredibile come Bonatti sia ancora vivo, avendo da circa 24 ore una azotemia al di là dei limiti di sopravvivenza". Lo stesso Bonatti commentò in seguito: "E' stata la tragedia più allucinante mai toccata ad alpinisti esperti sul Monte Bianco".

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