Osvaldo Napoli,cittadino onorario di Squillace, nel ricordo forte che la Calabria ha ancora di suo fratello Vito Napoli

Ieri sera in Calabria, nel Castello del comune di Squillace, in provincia di Catanzaro, nel corso di una solenne cerimonia pubblica è stata conferita la cittadinanza onoraria all’on. Osvaldo Napoli, per anni sindaco del comune di Giaveno e Valgioie in Piemonte, e fratello dell’ex sottosegretario DC alle Attività Produtive Vito Napoli. Una cerimonia che il sindaco di Squillace Pasquale Muccari ha dedicato alle famiglie “eccellenti” di questa comunità, tra queste appunto la famiglia “Napoli”, emblematica storia di emigrazione.Quello che segue è il racconto che della sua famiglia ha fatto in pubblico Osvaldo Napoli.

(Prima Pagina News)
Sabato 15 Agosto 2020
Roma - 15 ago 2020 (Prima Pagina News)

Ieri sera in Calabria, nel Castello del comune di Squillace, in provincia di Catanzaro, nel corso di una solenne cerimonia pubblica è stata conferita la cittadinanza onoraria all’on. Osvaldo Napoli, per anni sindaco del comune di Giaveno e Valgioie in Piemonte, e fratello dell’ex sottosegretario DC alle Attività Produtive Vito Napoli. Una cerimonia che il sindaco di Squillace Pasquale Muccari ha dedicato alle famiglie “eccellenti” di questa comunità, tra queste appunto la famiglia “Napoli”, emblematica storia di emigrazione.Quello che segue è il racconto che della sua famiglia ha fatto in pubblico Osvaldo Napoli.

Osvaldo Napoli,cittadino onorario di Squillace, nel ricordo forte che la Calabria ha ancora di suo fratello Vito Napoli
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“Ringrazio il Sindaco Pasquale Muccari, l’Assessore Francesco Guerino Caccia e l’Amministrazione tutta per l’onore e la considerazione nei miei confronti. Sono cittadino onorario nel Comune dove sono nati e cresciuti i miei genitori, la mia famiglia.

Era Vito Napoli, mio fratello che per tutta la vita non ha fatto altro che parlare, a noi in famiglia, e a chiunque altro condividesse con noi la nostra vita di piemontesi acquisiti, di Squillace, di questo mare unico al mondo, di questa costa bellissima, e soprattutto di questa gente, degli squillacesi, che lui conosceva uno per uno, per averli frequentati e vissuti per lunghi anni, come un tempo faceva e sapeva fare la vecchia politica.

Era Vito che, ogni qualvolta tornava a casa nostra da Roma a Torino, riempiva la nostra vita di aneddoti, di storie personali, di vicende vissute, di riferimenti fisici e di luoghi cari alla memoria storica di ognuno di noi, e tutti strettamente e rigorosamente legati alla storia di Squillace. Sarebbe stato più giusto che questa sera, qui al mio posto, ci fosse stato lui, se non altro per il grande amore, palese e ostentato, che Vito aveva per tutti voi e per nostro paese di origine.

Molti di voi, che lo hanno conosciuto personalmente e frequentato per anni, ne sono diretti testimoni.

Forse per lui, immagino, ma anche per noi di riflesso, Squillace era diventata la sua vera Itaca. dove credo che Vito sarebbe tornato molto ben volentieri a vivere la sua vecchiaia, anche nel ricordo e nel nome di nostro padre e della famiglia di origine che negli anni 40 aveva lasciato Squillace per emigrare a Torino in cerca di fortuna. Soprattutto in cerca di lavoro.

E dopo Squillace, veniva la Calabria. Vito aveva la Calabria nel cuore, l’aveva da ragazzo, l’ha conservata da grande, ed è morto con il desiderio di poter salutare in tempo tutti i suoi amici più cari, e la stragrande maggioranza dei suoi compagni di lotta -con cui per anni aveva condiviso le ragioni ideali e reali della Calabria- terra dove lui aveva di fatto trasferito la sua vera residenza. Vito Napoli e la Calabria, e questa sera aggiungo Vito Napoli e Squillace, erano una cosa sola. Vedo in sala il Presidente Guido Rodyo.

Chi meglio di lui potrebbe raccontarlo? Non c’era paese, comune, quartiere, o anche gruppo sociale o comunità che mio fratello Vito non conoscesse o non frequentasse personalmente. Da deputato era stato educato a vivere per strada, quartiere dopo quartiere, periferia dopo periferia, e come globe trotter aveva dentro una insana passione per la gente comune e per i luoghi più tradizionali della gente comune.

Allora, quando lui si candidò per la prima volta alla Camera dei Deputati, i voti si cercavano casa per casa, e in Calabria una campagna elettorale era davvero un’operazione pazzesca. Lo era soprattutto per via della complessità orografica del territorio calabrese, per via delle dimensioni geografiche, allora delle tre provincie, oggi sono diventate cinque, ma lo era soprattutto per via della mancanza ancora di strade a scorrimento veloce.

Ogni qualvolta doveva andare da Cosenza a Locri era davvero un viaggio senza fine, ma lui era capace di ripartire da Locri alle cinque del pomeriggio per presiedere magari una riunione di gruppo a Cosenza alle dieci della sera.

Aveva un grande difetto, è vero, e tutti quelli che lo hanno conosciuto personalmente lo hanno sempre saputo: arrivava dovunque lo invitassero, ma sempre in ritardo. Ma tutto questo dipendeva anche da questo suo rapporto viscerale che aveva con i suoi amici ed elettori. Che non riusciva mai a lasciare soli e delusi.

Mi piace ricordare mio fratello questa sera, qui a Squillace, perché sono sicuro che dovunque egli sia, e ci stia a vedere, sarebbe fiero di sentire queste cose raccontate alla sua gente e al suo paese natale. Grazie caro sindaco per questo onore reso questa sera alla mia famiglia, ai “Napoli di Squillace”, a questi ex ragazzi di Calabria che poi nella vita hanno anche avuto successo, ma che per tutta la vita si sono anche portati dentro il tarlo, pesante, della malinconia e della solitudine dei propri genitori, di chi per forza di cose è costretto e condannato all’emigrazione.

Dico tutto questo, pure essendo io nato a Torino, ma per tutta la vita i miei genitori mi hanno ripetuto che il mio paese di origine fosse Squillace.

E Vito era, dei “Napoli di Squillace”, la punta di diamante. Era un uomo politico d’altri tempi, erudito, profondo conoscitore dei problemi del Sud, uomo di una modestia senza pari, senza grilli per la testa, e solo di rado, e a tratti, ma lo faceva per difendersi, sapeva anche essere altero e fiero delle sue e delle nostre origini. Sin da bambino Torino lo aveva educato al lavoro duro, è stato così anche per me, per le mie sorelle, e la nostra famiglia ha fatto di tutto per aiutarci, eravamo tutti sempre insieme, a superare le mille difficoltà che ogni nucleo emigrato viveva in quegli anni sulla propria pelle in Nord Italia.

Torino, quante umiliazioni! Torino -credetemi- non è solo la bellezza della Mole Antonelliana, o la magia della Sindone. Torino è stata anche la città delle mille privazioni per noi, delle grandi lotte operaie e sindacali, e noi ci stavamo in mezzo, ma anche delle grandi sconfitte, Torino era per antonomasia in quegli anni la città insensibile nei riguardi di noi cafoni del Sud.

Ricordo quando arrivammo a Torino, i cartelli davanti ai ristoranti o agli alberghi del centro, “No meridionali”. Eravamo considerati la feccia del mondo, venivano trattati come schiavi deportati, e venivamo giudicati dal colore della pelle, meno chiara forse di quella dei piemontesi doc.

Mi scuso con tutti voi, davvero me ne scuso molto, ma questa sera vorrei raccontarvi un dettaglio privato dei “Napoli di Squillace” a Torino, e che Vito -se fosse ancora vivo- si vergognerebbe di raccontarvi. Ogni mattina mia madre mi mandava dal lattaio a prendere il latte per la colazione, e oni qualvolta arrivavo davanti al bancone da dove questo vecchio piemontese mi porgeva la bottiglia di vetro piena di latte, davanti a tutti non faceva altro che gridarmi sempre lo stesso ritornello: “Dì a tua madre che, o domani mi paga il latte che ti dò oggi, o non farti più vedere nel mio negozio”.

Tutto questo davanti a tutti. Ero ancora un bambino. Immaginate la mia vergogna, che restava però intima. Avrei pagato chissà che cosa per non rivedere mai più quell’omone che ogni mattina mi mortificava in quella maniera, ma non avevano altra scelta. A Torino abbiamo imparato a subire, anche i ricatti morali più squallidi e più impietosi. Soprattutto abbiamo imparato a non reagire. A rimanere in silenzio. A credere che alla fine ce l’avremmo fatta da soli, e che un giorno avremmo anche potuto comprare il negozio del lattaio. Tutto questo è andato avanti per anni, per troppi lunghi anni, credetemi.

Una sera Vito tornò a casa distrutto: E raro vederlo così triste e così abbattuto. Gli chiesi cosa fosse successo, e solo dopo mille insistenze si aprì e ci raccontò del suo “sogno mancato”. Lui amava cosi tanto la politica da essersi preparato a lungo a fare il consigliere comunale a Torino, ma quando si trattò di chiudere le liste, e le candidature, i suoi punti di riferimento, intendo i leaders del suo gruppo, Carlo Donat Cattin e Guido Bodrato, gli fecero capire che “Torino sarebbe stata una impresa per lui”.

Vito chiese: “Perché?” E Guido Bodrato, con la sua lucidità di sempre, molto candidamente, ma probabilmente anche da grande conoscitore della realtà piemontese di quegli anni, gli disse: “Vedi Vito, tu sei di origini meridionali, vieni da un paesino lontano della Calabria, il tuo stesso cognome, “Napoli”, potrebbe ingenerare nei nostri elettori più tradizionali qualche reazione negativa.

E’ meglio candidarti per la prima volta al comune di Grugliasco”. Questa è la storia vera dei “Napoli di Squillace” a Torino. Ma Vito andò avanti per la sua strada, come un panzer inarrestabile.

Diventato deputato, il venerdì sera lasciava Roma, e la sua famiglia, per tornare a casa, lui chiamava la Calabria la sua casa, e per tre giorni consecutivi, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, riattraversava la Calabria da cima a fondo, alla ricerca di nuove pulsioni e di nuove idee.Vito non conosceva sosta.

Lo sapevano davvero tutti. E anche per questo, il mondo politico di allora lo temeva, e lo guardava con diffidenza.

Lui non si fermava mai. Non conosceva mai intervalli di tempo. A Roma viveva praticamente in Parlamento, ci stava dalla mattina alla sera, a Montecitorio riusciva anche a trovare il tempo per studiare, per approfondire i temi economici che tanto lo intrigavano e che per anni anche in Calabria lo hanno visto protagonista assoluto di un dibattito culturale che non aveva allora molte voci e molti protagonisti, continuamente in giro per i vari ministeri a pietire e a raccattare quel poco che poteva bastare alla sua gente e alla terra che lo aveva eletto deputato della Repubblica.Io da deputato ho provato in mille modi e mille volte diverse ad emularlo e a seguire le sue tracce, ma non mi è mai stato facile.

Lui era lui, e basta.In Calabria, molti di voi se lo ricordano bene, Vito dormiva spesso in macchina, tra un trasferimento e l’altro, e la macchina era diventata alla fine la sua vera casa fisica. In ogni paese aveva un amico, un punto di riferimento, una persona che in qualche modo su quel territorio parlava e pensava al suo posto, e per anni tutta la sua vita è stata un folle girovagare da Nord a Sud di questa regione così complessa già allora e così lontana dal resto del mondo politico che allora più contava. Quanti congressi! Quante campagne elettorali! Quanti incontri e quante illusioni.

Diventato sottosegretario di Stato gli pareva di aver svoltato, di essere ormai in grado di stravolgere il destino della Calabria e dei calabresi, ma presto si rese conto che le logiche del potere erano ben diverse dalle aspettative e dai sogni di un folle romantico come lui.

Una cosa sono i sogni e le attese del popolo, altra cosa è la gestione del governo del Paese.

Al governo fu un’esperienza esaltante quella alle attività produttive la sua, ma anche insidiosa, come insidiosa era già allora la vita di ogni politico, costretto dalle abitudini del tempo e dalle attese dei propri elettori a frequentare non solo i salotti buoni del tempo, ma anche le retrovie: bastava capitare al matrimonio sbagliato, al funerale sbagliato, al battesimo sbagliato, per compromettere anni di impegno e di lavoro onesto.

Lui lo sapeva bene, ma aveva accettato fino in fondo anche questi rischi. In Calabria Vito voleva lasciare il segno. E lo voleva fare in nome della sua famiglia, i “Napoli di Squillace”. Un giorno chiese ad uno dei suoi amici più fidati ma anche più cari, Albertino De Maio, che allora era consigliere politico di un grande economista come Angelo Detragiacche, di voler fondare un giornale economico.

Albertino lo prese per pazzo, Detragiacche si mise a ridere, ma la sua cocciutaggine produsse alla fine un mensile economico “Economia Calabria”, che arrivava a Roma e che faceva discutere molto, perché per la prima volta in Italia un periodico patinato si ero preso la briga di raccontare finalmente la Calabria in maniera diversa e disgiunta dai soliti temi della criminalità organizzata.

Da deputato Vito ridiventa in questo modo giornalista ed editorialista, ma era stata questa la vera grande passione della sua vita, perché anche da deputato lui continuava a vivere la dimensione del grande inviato. Lui scriveva e viveva, scriveva e rinasceva, scriveva e sognava.

Spero sia bello ricordarlo a tutti voi in questo modo, ma credetemi: a noi in famiglia questo suo carattere effervescente, estroso, elitario, eccentrico, esuberante e avvolgente ci serviva e ci aiutava ad andare avanti, in maniera più serena di come avveniva in migliaia di altre famiglie calabresi arrivate in Piemonte dalla Calabria per fame di lavoro. Questa manifestazione che questa sera ci vede tutti insieme qui a Squillace non poteva avere sede migliore di questa. Per Vito Napoli il castello di Squillace era davvero il cuore del suo mondo. Quello che noi non abbiamo mai trovato a Torino lo abbiamo poi ritrovato in Calabria attraverso i racconti di Vito.

A Torino la mia famiglia ha penato duro. Ma era il destino comune della gente del Sud. Mio padre lasciò Squillace agli inizi degli anni ’40, ma per lunghi anni ancora Torino ci guardò e ci giudicò come appestati. Noi eravamo la volgare mano d’opera, che serviva a loro, piemontesi, per costruire le loro infrastrutture e le loro città. In realtà noi siamo poi stati i veri grandi artefici dello sviluppo piemontese e della crescita industriale di tutto il Nord Italia.

E come i “Napoli di Squillace”, migliaia e migliaia di altre famiglie calabresi e meridionali. Guai a dimenticarlo. Chiudo qui ricordando un dettaglio privato della nostra famiglia emigrata a Torino e che mio padre ci ha ripetuto fino all’ultimo giorno della sua esistenza. Quando noi siamo arrivati a Torino, avevamo solo poche cose in una valigia di cartone, qualcuno potrebbe anche sorridere, ma era questa la realtà di quegli anni e della nostra esistenza. Poche cose, in una valigia di cartone legata con la corda per evitare di perdere per strada quel poco che c’era dentro. Arrivati a Torino non avevamo dove andare. Non sapevamo dove andare. Una casa? Vorrete dire una stanza? Con un letto che bastasse per tutti? Senza bagno? Ci pensarono gli squillacesi, che a Torino erano arrivati prima di noi, e che prima di noi avevano già trovato lavoro e certezze. Gli squillacesi di Torino ci ospitarono, ci diedero conforto, ci aiutarono a capire che sarebbe stata una lotta quotidiana difficile, con un popolo che non sapeva nulla di noi, e soprattutto gli squillacesi ci diedero la certezza della famiglia e del paese ombra lasciato alle nostre spalle. Il paese di Squillace che avevano lasciato in Calabria, noi lo avevano finalmente ritrovato in Piemonte. Gli stessi sorrisi, gli stessi abbracci, le stesse strette di mano, la stessa complicità e lo stesso amor proprio. Che Dio benedica per sempre, dovunque essi siano, gli squillacesi che allora ci accolsero e ci aiutarono a credere di potercela fare. Vito -sono sicuro- non vi ha mai raccontato queste cose, intimamente se ne vergognava anche, ma la vita dei “Napoli di Squillace” è stata davvero una vita piena di rinunce e di sacrifici.

Nasce anche da questo l’amore viscerale, e quasi struggente, che Vito si portava dentro anche da deputato importante quale era diventato. Ma nasce anche da tutto questo il carattere ribelle e battagliero che Vito ha avuto dentro il partito per tutta la vita. Ho riflettuto molto su questo, non posso non dirlo: Vito, in Calabria, era anche l’immagine fiera della grande DC, ed era un pezzo forte di quella DC che a Roma in quegli anni aveva un solo nome, quello di Riccardo Misasi, con cui Vito in realtà non andava molto d’accordo, ma che nei momenti più difficili della vita del partito lo convocava e cercava con lui una mediazione, che alla fine servisse alla vita interna dei cattolici impegnati in politica da queste parti.

Ma era altrettanto così a Catanzaro dove Vito aveva un rapporto speciale, anche se eternamente dialettico, con Carmelino Puija, o a Reggio Calabria dove stava nascendo e crescendo un politico di razza, Lodovico Ligato, diventato poi Presidente delle Ferrovie, e ucciso nel pieno delle sue funzioni e delle sue energie. Quanti altri nomi si potrebbero fare.

Albertino De Maio, Pasquale Anastasi e Antonio Carrozza da Palmi a Reggio Calabria, Antonio Borrello, Gianni Profiti e Cesare Pasqua nel vibonese. Pino Galati e Michele Cerminara a Lametia Terme, Enzo Sculco, e il suo meraviglioso gruppo d’azione nel crotonese, e poi ancora questo suo straordinario rapporto con Gigi Sbarra, allora giovanissimo ragazzo della Cisl oggi Segretario Generale Aggiunto della grande Cisl italiana, e credo da qui a poco nuovo Segretario Nazionale della CISL. C’è un libro che non si trova più, il titolo è “Il romanzo della politica”, lo ha scritto il giornalista della Rai Pino Nano, e che oggi a distanza di trent’anni da allora riesce ancora a darci di Vito Napoli l’immagine reale del politico puro, lontano e nemico delle consuetudini, vittima alla fine delle mille contraddizioni di questa terra, che lui però non ha mai saputo odiare. Anzi, che lui ha amato visceralmente fino all’ultimo giorno della sua vita. Credetemi, Vito era un uomo straordinariamente buono.

Questo, certamente, sul piano umano, e come fratello vi prego di concedermi questa debolezza. Io credo che in cuor suo mio fratello avesse sperato fino all’ultimo di essere sepolto qui, tra quella che lui considerava la sua gente, gente che lo ha molto amato davvero, ma non ha avuto la forza e il tempo di programmare i dettagli del suo lungo letargo.

E’ bello anche per questo ricordarlo a voi questa sera in questa maniera, perché la storia dei “Napoli di Squillace” inizia con mio padre, ma finisce con lui. Vedete, cari amici: la mia parentesi di deputato del Parlamento, e ancora prima di sindaco di Giaveno, rispetto alle cose fatte da mio fratello è ben poco cosa.

E non avrebbe avuto nessun senso arrivare qui a Squillace la vigila di ferragosto per non dire a me stesso la verità. Grazie Squillace, grazie sindaco, grazie squillacesi, per aver riaperto per un giorno il grande romanzo della nostra vita di famiglia. Il giudizio politico appartiene invece ad ognuno di noi, e ad ognuno di voi.

Grazie ancora per il privilegio che ci avete riservato questa sera. Lo dico anche a nome di mio padre, che sarebbe fiero di essere insieme a noi.

Viva la Calabria, viva i calabresi. In America direbbero molto più semplicemente : “Che Dio benedica Squillace e la sua gente”.


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