Pino Nano, Natuzza Evolo finisce sotto processo, il PM è Padre Gemelli, la condanna all’isolamento - SECONDA PUNTATA

L’Archivio Storico dell’Università Cattolica di Milano dal 1940 custodisce un carteggio riservato sul Caso-Natuzza Evolo e da cui si evidenzia l’ostilità che il Rettore della Cattolica di Milano nutriva nei confronti del suo caso

di Pino Nano
Giovedì 02 Aprile 2020
Roma - 02 apr 2020 (Prima Pagina News)

L’Archivio Storico dell’Università Cattolica di Milano dal 1940 custodisce un carteggio riservato sul Caso-Natuzza Evolo e da cui si evidenzia l’ostilità che il Rettore della Cattolica di Milano nutriva nei confronti del suo caso

Natuzza Evolo, era la mistica calabrese che si diceva “dialogasse con i defunti”, che “avesse il dono delle stigmate alle mani, ai piedi e alle ginocchia”, che durante la settimana santa fosse “piagata da una profonda ferita al costato”, che “sudasse sangue dalla fronte”, che “riuscisse a parlare con la Madonna”, che “ricevesse messaggi straordinari dall’angelo custode di chi gli stava davanti”, che “fosse in grado di parlare più lingue straniere pur non essendo mai andata lei a scuola, e che “fosse capace di diagnosi complesse e a volte impossibili alla medicina ufficiale.

Una delle pagine più misteriose della sua vita è proprio il processo che la Chiesa ufficiale del tempo decise di avviare nei suoi confronti nei primi mesi del 1940.

Il processo a suo carico, tutto interno alla Chiesa, si aprì dopo una lunga serie di manifestazioni inspiegabili che Natuzza, allora ancora ragazza, viveva in prima persona nel corso delle lunghe sue giornate di lavoro. La cosa che più sconvolgeva la Chiesa del tempo era la padronanza con cui Natuzza raccontava ai suoi padroni di casa dei suoi continui dialoghi con la Madonna, e soprattutto la conoscenza che la ragazza diceva di avere dell’aldilà, il mondo dei morti, con cui Natuzza raccontava di riuscire ad entrare in contatto e dialogare con le anime defunte.

La cosa che più faceva impressione agli studiosi del tempo, medici antropologi ed esorcisti che andavano a trovarla per capire di più, è la descrizione dettagliata e meticolosa che Natuzza forniva ai parenti dei defunti con cui entrava in contatto, e di cui riusciva a descrivere in maniera perfettamente reale e quanto mai verosimile persino l’abbigliamento con cui, una volta deceduti, erano stati vestiti e richiusi nella bara.

In alcuni casi, Natuzza riusciva persino a descrivere il colore e la piega della gonna di una donna morta venti anni prima, o anche il colore e il taglio dell’abito da cerimonia con cui un notabile del posto era stato sepolto. Si racconta ancora a Paravati, il paese natale di Natuzza, e da dove Natuzza non si è mai mossa, della corsa infinita che la gente faceva a casa sua per chiederle notizie dei propri cari, per sapere se “stavano bene o meno”, per chiedere se “avevano semmai bisogno di qualcosa” pur stando nell’aldilà.

E per ognuno di loro, Natuzza aveva sempre una risposta certa, mai un dubbio, mai un tentennamento nel ricordo o nel racconto, soprattutto mai il sospetto che potesse in qualche modo millantare o alterare la verità delle cose. Spesso capitava che la ragazza andasse anche in trance, ed era chiaro che questi fenomeni per nulla normali e per nulla ordinari allarmassero la Chiesa ufficiale.

Fu così che, sulla scia anche dell’enorme emozione popolare che già allora Natuzza suscitava nelle folle in maniera anche straripante, il Vescovo della Diocesi di Mileto, Mons. Paolo Albera, prende carta e penna e decide di rivolgersi direttamente a Padre Agostino Gemelli, per “chiedere a lui un consiglio sul cosa fare”, e un parere definitivo sulla posizione ufficiale che la Chiesa avrebbe dovuto prendere rispetto al fenomeno Natuzza Evolo.

È esattamente il 18 febbraio 1940, e Padre Agostino Gemelli, fondatore e storico Rettore dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, già allora veniva indicato e considerato dal mondo accademico internazionale come uno dei più autorevoli scienziati del tempo in Italia: nessuno meglio di lui, quindi, avrebbe potuto chiarire il mistero di questa donna che già allora aveva ben visibili sulla fronte i segni evidenti di una croce di spine che le procuravano dolore e sanguinamenti continui.

“Reverendissimo Padre Gemelli, -questo il testo integrale della prima lettera ufficiale che mons. Paolo Albera spedisce a Padre Agostino Gemelli all’Università di Milano- Vorrete scusarmi se mi prendo la libertà di inviarvi l’incartamento che si riferisce a fenomeni verificatisi e che continuano in una mia diocesana certa Evolo Fortunata; si desidera il vostro giudizio che valga a rasserenare e a tranquillizzare l’ambiente”.

Alla sua lettera Mons. Paolo Albera allega anche una relazione dettagliata di tutto ciò che accadeva dentro le mura della casa dove Natuzza viveva, e che era stata redatta nei minimi dettagli da un sacerdote del luogo, don Francesco Pititto, insieme anche ad una vera e propria relazione medica completa: “La relazione medica e le testimonianze prospettano il caso meglio di quanto io possa fare- conclude mons. Paolo Albera a Padre Agostino Gemelli- Vi ringrazio anticipatamente e vi ossequio”.

Da questo momento, tra il Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e il Vescovo di Mileto si sviluppa un intenso scambio epistolare. Da una parte, le diagnosi e le informazioni redatte in Calabria, e che protendono nel riconoscere piena autenticità alle manifestazioni e ai racconti di Natuzza, dall’altra invece lo scetticismo proverbiale e le giuste riserve del mondo accademico e della ricerca scientifica. È quasi immediata la risposta di Padre Agostino Gemelli a Mons. Paolo Albera. Porta la data del 22 febbraio 1940.

“Eccellenza reverendissima -risponde padre Gemelli al Vescovo di Mileto- ho ricevuto l’incarto riguardante la diocesana di vostra Eccellenza Evolo Fortunata. Esaminerò nei prossimi giorni la questione e poscia sarò preciso. Chino al bacio del Santo Anello, prego Vostra Eccellenza di volermi benedire e gradire i miei devoti omaggi”.

Padre Gemelli non perde tempo, e il 27 febbraio, appena cinque giorni più tardi dunque, rispedisce a Mons. Paolo Albera l’incartamento medico che il vescovo gli aveva mandato in esame, con una serie di osservazioni pesantissime sul come Natuzza era stata osservata valutata e giudicata.

“La relazione medica - esordisce Padre Gemelli- è una relazione stesa da persona incompetente, o che per lo meno, dimostra che ha proceduto con esame superficiale e animato da pregiudizi. Quanto agli altri documenti non apportano alcuna luce”.

Il passaggio immediatamente successivo non fa che confermare il profondo disincanto di Padre Gemelli nei riguardi della vicenda: “La lettura di questi documenti -sottolinea Padre Gemelli- mi suggerisce di osservare che a mio modo di vedere era opportuno non procedere agli interrogatori.

Questo apparato di interrogazioni confermano nella mente del soggetto i propri fantasmi”. E qui la conclusione, spietata e senza nessuna mediazione: “La Evoli non è altra che una ammalata di isterismo. È questa però solo un’impressione. Non mi è possibile pronunciare un giudizio definitivo senza un esame accurato del soggetto in parola.

Mi permetto sommessamente suggerire a Vostra Eccellenza che in questi casi conviene alla autorità ecclesiastica rimanere assolutamente estranea, per evitare di dare al malato l’impressione che le manifestazioni abbiano qualche importanza”. Per il Rettore della Cattolica, nel caso di Natuzza, “Bisogna evitare assolutamente gli interrogatori e gli esorcismi, che altro non farebbero che inculcare nella malata tutta la sua costruzione isteroide”. La parola d’ordine dunque, per Padre Gemelli, sembra essere una sola: “lavarsi le mani, e stare lontani”.

Più precisamente Padre Gemelli suggerisce a mons. Paolo Albera di “Procedere con grande prudenza, mostrando di disinteressarsi del caso, mostrando che non si dà nessuna importanza ai fatti notati, e osservando da lontano”. Padre Gemelli spiega anche al vescovo di Mileto che “In genere questi malati, quando si tiene un tale contegno, a poco a poco, comprendono che nulla c’è da fare e danno alle loro manifestazioni un altro indirizzo.

Il che è quello che importa in casi simili”. E, consapevole forse, di non aver soddisfatto la sete di conoscenza del vescovo calabrese, Padre Gemelli conclude la sua lettera a mons. Albera riconoscendo di “non aver risposto, forse, a quanto Vostra Eccellenza desiderava, ma mi preme assicurarla – insiste Padre Gemelli- che sono a sua disposizione per quanto altro desiderasse da me, ben lieto di farle cosa gradita”.

Intanto arriva la Pasqua, e durante la Settimana Santa Natuzza di quell’anno, 1940, Natuzza continua a manifestare i segni straordinari e inspiegabili che l’hanno poi resa famosa in ogni angolo della terra. Addirittura, quell’anno - precisa il Vice Direttore di Famiglia Cristiana Luciano Regolo nel suo “Natuzza Evolo, il miracolo di una vita” - Natuzza si sottopose ad un digiuno totale dal cibo che durò esattamente 40 giorni”.

È allo stesso Francesco Mesiano che Natuzza racconta: “Otto giorni prima della fine della Quaresima, e precisamente la notte del sabato delle Palme, i defunti mi dissero, mentre me ne stavo tutta sola in cucina, che al Sabato Santo avrei mangiato con grande appetito e così avvenne”. (2- Segue)

nella foto Padre Gemelli


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