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Dalla prima e-mail di Giovanni Paolo II ai selfie davanti alla bara: la sfida della credibilità digitale per i papi di domani.
Dalla prima e-mail di Giovanni Paolo II ai selfie davanti alla bara: la sfida della credibilità digitale per i papi di domani.
Chissà se tutto è iniziato con la prima mail inviata in mondovisione da Giovanni Paolo II o con l'apertura del profilo Instagram @pontifex da parte di Benedetto XVI. In ogni caso, così come è accaduto in ogni altro ambito della società, anche la Chiesa è costretta a fare i conti con Internet, la rivoluzione digitale e il dilagare dei social.
Oggi il Papa non parla più soltanto dal balcone di Piazza San Pietro o attraverso i documenti ufficiali. I suoi messaggi devono circolare anche sotto forma di post, immagini e brevi video, capaci di raggiungere milioni di persone in pochi secondi. La parola papale deve farsi largo nel rumore incessante delle notifiche, mantenendo autorevolezza in un mondo che misura tutto in like, visualizzazioni e commenti che, in realtà, sono critiche.
Papa Francesco ha convissuto con questo nuovo contesto senza sottrarsi alle richieste di selfie, ma l'epoca dei social non conosce pietà. Lo abbiamo visto negli ultimi giorni, tra chi si raccoglieva in preghiera davanti alla sua bara e chi, senza il minimo pudore, cercava solo l’immagine perfetta da postare. Non importa partecipare, ma far vedere di esserci
E qui si apre una riflessione più profonda. Eventi come le Giornate Mondiali della Gioventù, che sotto Giovanni Paolo II erano esperienze vissute e interiorizzate, oggi rischierebbero di perdere gran parte del loro senso e del loro appeal senza la possibilità di essere condivisi in diretta su Instagram o su TikTok. La forza aggregante della fede passa ormai anche, e forse soprattutto, attraverso la capacità di diventare racconto, immagine, virale emozione a portata di pollice.
I giornali, già impegnati nel totopapa, non hanno mancato di evidenziare quanto il gradimento social sia diventato un elemento da considerare, magari non ufficialmente, e non sottovalutarlo. Se un tempo contava l'autorevolezza spirituale e intellettuale, ora sembra contare anche la capacità di essere riconoscibili, di piacere e di essere seguiti online.
A questa esposizione corrispondono però nuovi pericoli. In rete circolano meme, fotomontaggi e post di pessimo gusto e i pontefici non ne sono immuni. Non parliamo di satira raffinata, quella alla Forattini che ha sempre usato il Papa come simbolo per raccontare il potere e i suoi paradossi.
Oggi la mediocrità si esprime a colpi di post volgari e che rasentano la diffamazione. E i post di cattivo gusto non sono mancati sugli ultimi pontefici. Non si tratta di ironia o critica: solo spazzatura digitale, fatta da chi usa i social come una cloaca senza filtro.
Una volta, chi osava infangare il Papa rischiava di perdere la testa. Oggi, purtroppo, non si può togliergli la tastiera di mano anche se, diciamocelo senza ipocrisie, molte volte sarebbe educativo tagliare almeno un dito, giusto per far capire che la libertà di parola non è una licenza di insultare.
I cardinali chiamati a scegliere il prossimo Papa dovranno tenere conto anche di questo. Non basterà più l'equilibrio dottrinale, la fermezza morale, la diplomazia dei corridoi. Oggi chi siede sul trono di Pietro deve anche sapersi muovere in una società che giudica tutto a colpi di meme, che ama e distrugge con la velocità di uno swipe.
Pizzaballa, con quel cognome da album Panini, sembra già pronto a essere una figurina rara col numero uno, come un famoso portiere. Parolin si presta a doppi sensi involontari che rimbalzerebbero sulle tastiere di mezzo mondo. Altri candidati, in virtù delle loro origini geografiche, rischierebbero di vedersi affibbiati titoli irrispettosi come "il Papa delle colf". E se fosse nero, sarebbe meglio non immaginare quali bassezze emergerebbero, in un mondo digitale dove il razzismo, più che essere sconfitto, si è semplicemente camuffato.
La Chiesa può ignorare tutto questo? Dovrebbe forse illudersi di non doverci fare i conti? Non più. Non è più tempo solo di preghiere e fumate bianche. È anche tempo di marketing, di gestione del rischio reputazionale, di comunicazione strategica.
Non perché sia giusto, ma perché è diventato inevitabile.
E chi siederà nel prossimo conclave, se vorrà davvero pensare al futuro della Chiesa, dovrà domandarsi non solo quale Papa scegliere, ma anche quale Papa saprà reggere la tempesta di commenti, caricature, deepfake, like e veleno che lo aspetta.