SOTTO L'OMBRELLONE... Luigi Eugenio Vigevano, Giornalista e Pittore, il suo affresco patrimonio comune del giornalismo italiano.
Quella che leggerete qui di seguito non è una consueta intervista, ma una chiacchierata fra un figlio, ormai in età matura, e il proprio padre per svelare l’animo di un artista prestato alla professione del giornalista o viceversa, e che ad un certo punto della sua vita ha dipinto e regalato poi al Consiglio Nazionale dei Giornalisti Italiani un affresco bellissimo che oggi è entrato nella storia e nella vita quotidiana della famiglia dei giornalisti italiani, sistemato proprio all’entrata del Consiglio Nazionale dell’Ordine.
(Prima Pagina News)
Martedì 13 Luglio 2021
Milano - 13 lug 2021 (Prima Pagina News)
Quella che leggerete qui di seguito non è una consueta intervista, ma una chiacchierata fra un figlio, ormai in età matura, e il proprio padre per svelare l’animo di un artista prestato alla professione del giornalista o viceversa, e che ad un certo punto della sua vita ha dipinto e regalato poi al Consiglio Nazionale dei Giornalisti Italiani un affresco bellissimo che oggi è entrato nella storia e nella vita quotidiana della famiglia dei giornalisti italiani, sistemato proprio all’entrata del Consiglio Nazionale dell’Ordine.
SOTTO L'OMBRELLONE... Luigi Eugenio Vigevano, Giornalista e Pittore, il suo affresco patrimonio comune del giornalismo italiano.
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“L’opera di mio padre ha permesso al sottoscritto di meglio comprendere come la sensibilità di artista e la curiosità del giornalista abbiano albergato da sempre nel suo animo e di rispondere finalmente a quella banale domanda che da bambino non volevo mai mi fosse rivolta: “che mestiere fa tuo padre?”.

 Domanda. Perché quest’opera pittorica donata all’Ordine Nazionale dei Giornalisti? Da cosa è nata?

 Risposta. Il percorso è assai lungo. Come spesso accade a un artista, un’idea, per poter essere  concretizzata in una opera strutturata, deve essere realizzata dopo un percorso di maturazione che attraversa fasi di riflessione e ripensamenti. Difatti, le opere migliori sono frutto di idee che nascono e poi vengono accantonate per essere rielaborate in tempi più maturi.

 D. Dunque l’idea di realizzare un’opera per l’ordine dei Giornalisti risale a qualche anno addietro?

 R. Si. Erano molti anni che durante le sedute dell’Ordine nazionale nel salone in Lungotevere dei Cenci percepivo la volontà di contribuire ad abbellire le pareti di quella spoglia sala offrendo il mio modesto contributo di artista e omaggiando al tempo stesso la figura del giornalista attraverso un’excursus sullo sviluppo della stampa, ma l’imminente trasferimento della sede in via Parigi, mi fece accantonare l’idea.

 D. E poi quale evento ti ha fatto riprendere la voglia di dare forma al tuo progetto?

 R. E’ stato un puro caso. Quando il destino vuole che si compia qualcosa, spazza la strada, facilita il percorso. Così, il 7 dicembre 2008 - data che per noi milanesi è facile ricordare poiché si festeggia il patrono della città - passavo da Romagnano Sesia per recarmi nella mia casa in Valsesia, quando una voce mi spinse a telefonare al presidente dell’Ordine, Lorenzo Del Boca, per raccontargli la mia idea. Non solo lo trovai, ma ci incontrammo proprio quel giorno al Bar Cavour di Romagnano Sesia - tappa per me obbligata per un caffè tutte le volte che mi recavo alla casa delle vacanze. Il Presidente, infatti  risiede da sempre in quella storica cittadina e, nonostante la conoscenza risalga negli anni, non lo avevo mai incontrato in quel luogo. Illustrai a lui la mia idea che con il passare del tempo prendeva sempre più le sembianze di un’opera pittorica significativa nei contenuti, per diventare un’allegoria che avrebbe reso un giusto tributo alla difficile professione del giornalista, attraverso la raffigurazione della storia della stampa.

 D. E il Presidente?

R. Poche parole come si conviene all’uomo e il progetto è partito.

 D. Come reagì nell’apprendere questa tua vocazione artistica avendoti conosciuto da sempre come giornalista?

R. Devo ammettere che accettare la mia proposta per il presidente che non conosceva la mia attività di pittore professionista, fu inizialmente un atto di fiducia. Nei giorni seguenti illustrai a lui le diapositive delle mie opere più importanti. Fra le tante mi piace ricordare la pala raffigurante la deposizione di Cristo esposta a Milano nella chiesa Regina Pacis nel quartiere QT8, perché davanti alla mia opera si è inginocchiato Papa Giovanni Paolo II in una sua visita a Milano, come documentato da una foto esposta nella basilica.

 D. E così il presidente si è convinto delle tue doti artistiche?

R. Mi piace pensare che la convinzione del Presidente si sia consolidata al cospetto dell’opera compiuta. Ora il giudizio spetta a tutti gli ospiti della sala dove verrà esposta e, in particolare, ai miei colleghi giornalisti, sì perché io sono pittore o meglio giornalista e pittore come ho vergato nella firma del quadro.

 D. Veniamo all’opera. Hai attribuito un titolo?

R. “ Allegoria sul mondo dei giornali”.

 D. Perché?

R. Perché si parte dalla stampa a caratteri mobili di Gutemberg, per passare poi alla mitica macchina da scrivere della Olivetti, modello lettera 22, per arrivare alle tecniche telematiche attuali.

 D. Perchè nel foglio inserito nella macchina da scrivere vi è un aforisma di Oriana Fallaci?

R. Per due motivi fondamentali. Il primo perché non ho voluto dimenticare nella mia opera l’importante contributo che le donne hanno apportato alla professione. La Fallaci fu un’inviata di grande spessore professionale, scrisse per L’Europeo pagine memorabili sulla guerra del Vietnam. Il suo pensiero, racchiuso nell’aforisma che ho citato, rappresenta il primo dovere deontologico di ogni vero giornalista. Secondo, perché la conobbi personalmente all’inizio della mia carriera giornalistica quando lavoravo nella redazione di Annabella, il giornale femminile che vive ancora oggi con la testata A. Quelli sì che furono anni ruggenti.

 D. Come sei riuscito a conciliare la professione con la tua voglia di esprimerti mediante la pittura?

R. Gli anni passati nelle redazioni di giornali, prima del Gruppo Rizzoli, poi della Mondatori, furono veri e propri anni di apprendistato. Mi ritenevo “allievo apprendista giornalista”, poiché ebbi la fortuna di lavorare con grandi professionisti. Ma solo nella grande redazione di Panorama, con il Direttore Lamberto Sechi, si compì la mia vera formazione professionale. Furono, come affermo da sempre, vent’anni di università. Il grande fermento politico sociale che caratterizzò gli anni ‘70 e ’80 mi assorbivano completamente e cosi dedicavo tutto il mio tempo libero all’attività di pittore.

 D. Perché ti sei soffermato sui mezzi tecnici tipografici in uso nel corso del tempo?

 R. Perché il dovere di un’opera di questo tipo è quello di rappresentare storicamente i mezzi a disposizione del giornalista che si sono via via evoluti. Dai caratteri mobili, alla macchina da scrivere, passando poi ai mezzi tipografici quali la linotype che negli anni ’80 rappresentava la più perfetta tecnologia conosciuta.

 D. Leggo nei tuoi occhi la nostalgia dei tempi passati.

R. Ricordo le ore trascorse in tipografia a scoprire da vicino la realizzazione del giornale, dove ho incontrato figure storiche quali il “Proto”. Costui era in grado di comporre le pagine del giornale con caratteri mobili manualmente ad una velocità incredibile e solo successivamente con la linotype. Mi auguro che la mia opera venga guardata con interesse dalle nuove generazioni che certo non hanno avuto la fortuna – dico io – di conoscere la “cassetta Rossi”, cioè il contenitore dei caratteri mobili. Per le nuove generazioni il regolo tipometrico o il rullo tiraprove rappresentano certamente l’archeologia giornalistica, ma questi stessi strumenti mi ricordano l’importanza che rivestivano per la formazione, per esempio, della velina della pagina del giornale che sarebbe andata poi, con i negativi delle foto, ad incidere il cilindro per la stampa.

 D. Cosa significa quel grande rullo al centro della tela?

R. Il grande rullo con i quattro colori di stampa rappresenta il confine della rivoluzione tecnologica fra la composizione del giornale detta a caldo” e le nuove tecniche di composizione “a freddo”. Il rullo dei quattro colori sopravvive ancora oggi nella stampa telematica. Ecco il perché di quest’opera, una pagina di storia aperta sulla nostra professione. Un’allegoria appunto.

 D. Nel tuo quadro si vede un uomo bendato, cosa rappresenta?

R. Rappresenta il giornalista che viene torturato. Infatti la più grande tortura inflitta a un giornalista è quella di non poter udire o vedere la verità. Ai suoi piedi ho raffigurato una macchina da presa che gronda sangue. Si tratta di un tributo a tutti quei giornalisti che hanno perso la vita cercando di raccontare la verità. Infatti la macchina è collocata sopra il codice deontologico il cui primo articolo impone al giornalista di raccontare proprio e solo la verità.

 D. Un vecchio tipico tram milanese chiude il quadro, perché?

R. Ho voluto che quel modello di tram assurgesse a simbolo di tutti i mezzi di trasporto che portano i lavoratori nelle fabbriche o negli uffici dove si svolge quella vita che, nel bene o nel male, diventerà notizia.

 D. Quale tecnica è stata usata per dipingere quest’opera?

R. La tempera: una tecnica antica quanto la pittura. La tempera era usata già nelle tombe egizie per decorarne le pareti. La si ritrova nelle tavole del Duecento toscano da Cavallini, a Cimabue, da Giotto fino al tondo Doni di Michelangelo o al Cristo in prospettiva del Mantegna. La tempera è la tecnica di tutti gli artisti completi e molto più difficile della pittura ad olio. Richiede una grande tecnica e occorrono anni di esperienza per poterla usare con padronanza e disinvoltura. Oggi, purtroppo, la tempera cede il passo ai colori acrilici e agli altri composti chimici di cui, però, non conosciamo la resistenza nel tempo.

 D. Perché invece la tempera resiste nei secoli?

R. Il vero segreto della tempera è nel fissaggio finale che rende impermeabile la tela e i colori. La tempera, infatti, sino a quando non è fissata risulta deperibile, è sufficiente una goccia d’acqua per rovinare l’opera.

 D. E tu che tecnica per il fissaggio finale hai usato?

R. Dipingere un quadro a tempera di queste dimensioni richiede un’attenzione costante. Non è concesso commettere errori. Il mio fissaggio è una tecnica a caldo che ha inventato il mio grande maestro, Mino Buttafava. Prevede l’utilizzo di vari composti fatti cuocere a lungo e stesi sulla tela portata a elevata temperatura. Una ricetta che non intendo svelare ma che porta a un risultato finale fantastico, molto simile alla pittura a olio anzi, a mio avviso, migliore. La tela così trattata risulta al tatto morbida e setosa. Per rinnovare la lucentezza della tela dipinta, semmai il passare del tempo opacizzasse l’opera, è sufficiente strofinarla con un panno di pura lana.

 D. Secondo la tua visione sino a quando resisterà la carta stampata?

R. La carta stampata ha un fascino che difficilmente sarà rimpiazzato da altri mezzi di comunicazione. Nel mio quadro la pagina del moderno giornale fluttua nell’aria perché la tecnologia permette di poterlo stampare in ogni parte del mondo in tempo reale. E se è vero il detto secondo il quale il giornale del giorno prima serve solo per incartare l’insalata, con cosa incarteremo le insalate di oggi? Non certo con i file di domani. Scherzi a parte, ritengo che il futuro della carta stampata dipenderà esclusivamente dal desiderio dei lettori di approfondire le notizie apprese troppo fugacemente dai nuovi strumenti di comunicazione di massa.

Nessuno può prevedere il futuro, soprattutto ora che corre a una velocità tre volte superiore a quella di una decina di anni addietro. Amo il futuro e vorrei vivere il più possibile per vedere questo periodo transitorio concluso. Chissà come sarà affascinante la nuova era.

 

Certamente, ma per il momento godiamoci la tua opera.

 (Diego Massimiliano Vigevano)

 

 

 


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