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In scena allo Spazio Diamante il 13 e 14 ottobre, alle ore 21.
In scena allo Spazio Diamante il 13 e 14 ottobre, alle ore 21.
Uno dei capolavori della produzione teatrale di Luigi Pirandello arriva allo Spazio Diamante di Roma: è "Il Berretto a Sonagli", che verrà messo in scena dalla Compagnia Artenova il 13 e 14 ottobre, alle ore 21.
Protagonisti sul palco saranno Irma Ciaramella, Ivano Falco, Gino Auriuso, Marina Zanchi, Gioele Rotini ed Ottavia Orticello, per la regia di Gino Auriuso.
“‘A birritta cu ‘i ciancianeddi” è il titolo originale dell’opera che Luigi Pirandello scrisse nel 1916 in dialetto catanese e che poi trasformò in italiano nel 1918 con il nome de “Il berretto a sonagli” e riprende le tematiche delle due novelle La verità (1912) e Certi obblighi (1912). Questo testo, considerato uno dei capolavori del grande drammaturgo siciliano, tratta la vicenda di una donna, Beatrice Fiorica, la quale viene a sapere che il marito la tradisce con la moglie di Ciampa, scrivano del cavalier Fiorica, e decide di farsi aiutare dal delegato Spanò per sorprendere in flagrante i due amanti.
Così Beatrice Fiorica offesa decide di allontanare Ciampa mandandolo a Palermo per sbrigare certe commissioni e poco dopo far scoppiare lo scandalo; ma la soddisfazione di Beatrice ha breve durata poiché dal verbale risultano solo elementi negativi e non vi è alcuna prova di adulterio.
Nonostante tutto, Ciampa, che si ipotizza fosse a conoscenza della relazione tra i due, in città viene tacciato come “becco” e dunque non gli resta altro da fare che uccidere i due amanti; ma la soluzione che egli propone è un’altra: che la signora Fiorica si faccia credere pazza e venga internata, così cerca di convincerla, giacché solo in questo modo il suo onore e quello del marito potranno essere salvi.
Artenova prosegue il lavoro della riscoperta - in chiavi attuali - dei classici italiani del ‘900, troppo spesso legati ad immaginari ormai abusati e rimasti per lungo tempo imbrigliati negli ingranaggi dell’estetica del secolo breve. Pirandello, col suo Berretto a Sonagli, è spaventosamente vicino a noi, sia cronologicamente che dal punto di vista mediatico.
Sotto la guida registica di Gino Auriuso, la Compagnia “rivede” il salotto borghese di casa Florica, aggiornandolo alle usanze dei nostri tempi. Contemporaneamente sgretola questo stesso immaginario domestico, offrendo frammenti di una vita contemporanea qualunque, troppo simile ad altre “vite qualunque” (un ambiente astratto, in una simbolica gabbia); frammenti che, avulsi da un contesto coerente, si presentano come incubi in un mondo in cui a essere vivi, veri e “riconoscibili” sono solo gli oggetti, agiti da attori che sono ormai solo algidi Pupi.
Come diceva Pirandello: “Il Teatro non è archeologia. Il non rimettere le mani nelle opere antiche, per aggiornarle e renderle adatte a nuovo spettacolo, significa incuria, non già scrupolo degno di rispetto. Il Teatro vuole questi rimaneggiamenti, e se n’è giovato incessantemente, in tutte le epoche ch’era più vivo. Il testo resta integro per chi se lo vorrà rileggere in casa, per sua cultura; chi vorrà divertircisi, andrà a teatro, dove gli sarà rappresentato mondo di tutte le parti vizze, rinnovato nelle espressioni non più correnti, riadattato ai gusti dell’oggi. E perché questo è legittimo? Perché l’opera d’arte, in teatro, non è più il lavoro di uno scrittore, che si può sempre del resto in altro modo salvaguardare, ma un atto di vita da creare, momento per momento, sulla scena, col concorso del pubblico, che deve bearsene”.
"Essere contenti, ora, oggi: forse è questa la più grande difficoltà per l'Uomo, non solo quello pirandelliano. E questa frase che apre il capolavoro del drammaturgo siciliano racchiude in sé tutta l'ambiguità, la fallibilità del parlare e dell'agire umano. Esser contenti per sé o cercare d'esserlo per gli altri. È come se i personaggi del "Berretto a Sonagli" tentassero di rispondere a questa unica, apparentemente semplice domanda. Sono felici? O vogliono sembrarlo? I personaggi di Pirandello vengono sorpresi in questa loro sospensione, anime in bianco e nero in un limbo morale e personale.
Maschere? Nude? Un gioco al massacro che non prevede vincitori; una società claustrofobica di auto-reclusi digitali; un mondo dell'apparire virtuale in cui chi più si vuol mostrare per "sottrazione di sé reale". Un mondo in cui l'Io si annulla, la coscienza si frammenta e l'identità si disperde nella trama di tutte le parole dette e non potute (volute?) dire. Prigione è la casa, per chi la scopre trasformata in luogo della colpa. Prigione è dove ci rinchiudiamo o veniamo rinchiusi.
Ma prigione è il vincolo in senso astratto, il legarsi, l’esser legati… anche l’uno all’altro. Così tutto diventa prigione per Beatrice, Medea dei nostri tempi e delle nostre terre, che scoprendo la colpa del marito, vede trasformarsi in prigione il legame matrimoniale e decide di rompere i ceppi del ben più vincolante giogo sociale: l’onore. In un mondo freddato dall’apparenza social, il calore spunta, timida goccia di sangue su un nero corpo (morto solo apparentemente), come la punta di un paradossale iceberg di passioni cocenti. Questo gigante alla deriva è l’onore personale (opposto, qui, a quello sociale, fatto di apparenze), il riscatto dal tradimento.
All’opposto troviamo un altro monolite, l’inappuntabile scrivano Campa, pietra posata su tanta ipocrisia, che paga con la stessa moneta il folle mondo dei sotterfugi. Ed è proprio in questo mondo preordinato e standardizzato, che i personaggi si muovono, come in un incubo quotidiano, in una stanza delle torture inflitte o subite col sorriso congelato. Il sangue ribolle ma il pallore sociale ha la meglio con un’invenzione geniale tipicamente pirandelliana: l’istituzionalizzazione di una salvifica pazzia", dichiara il regista, Gino Auriuso.