Ucraina: “Rileggere Sarajevo, per capire le atrocità di Kiev”
“La lezione di Sarajevo- scrive in questa sua analisi lo scrittore Mimmo Nunnari- dove appena mezzo secolo dopo la Shoah, come scrivono nel loro libro Battistin e Mian, è ritornato lo sterminio di massa contro civili inermi, dovrebbe far aprire gli occhi all’Occidente”.
di Mimmo Nunnari
Lunedì 07 Marzo 2022
Roma - 07 mar 2022 (Prima Pagina News)
“La lezione di Sarajevo- scrive in questa sua analisi lo scrittore Mimmo Nunnari- dove appena mezzo secolo dopo la Shoah, come scrivono nel loro libro Battistin e Mian, è ritornato lo sterminio di massa contro civili inermi, dovrebbe far aprire gli occhi all’Occidente”.

Kiev assediata dai russi fa venire in mente l’assedio di Sarajevo, il più lungo dell’età moderna, che accadeva solo trent’anni fa, al di là dell’Adriatico.

Ma noi europei, l’assedio di Sarajevo (come la Stalingrado assediata dai nazisti, come decine di altre città della storia, prese per fame, per resa, in battaglia, ma talvolta in grado di resistere) non lo ricordiamo più. Eppure, da quelle parti, nel corso della prima guerra in Europa dal 1945, accaddero violenze e genocidi come non se ne vedevano dai tempi di Hitler e Stalin.

Kiev, con i palazzi svuotati, sventrati dalle bombe, gli ospedali evacuati, le donne gli uomini, i bambini rifugiati in sotterranei, o nella metropolitana, mentre il popolo resiste eroicamente all’aggressione russa, ricorda quella Sarajevo dell’assedio barbaro e medioevale cominciato il 5 aprile 1992 e finito il 29 febbraio 1996; il più lungo della modernità - milletrecentonovantacinque giorni -  che batté il record mondiale delle novecento giornate di Leningrado.

Da allora sono passati trent’anni e l’Europa, ancora incapace di costruirsi un’architettura di vera unione - perché ha pensato solo all’economia, alla politica monetaria e al commercio - ha sprecato il lungo periodo di pace seguito della caduta del Muro di Berlino nel 1989. Ora ci ritroviamo con Kiev come Sarajevo: una città martoriata, violentata, con le persone in fuga verso l’Occidente.

 “Rileggere” Sarajevo è dunque utile per capire le responsabilità di allora e riflettere sulle pavidità di un’Europa non capace  di gestire le emergenze in casa sua, mentre si ripiomba nelle dinamiche di conflitti novecenteschi che si credevano dimenticati.

Ci aiuta un libro in questa riflessione, un saggio pubblicato appena un mese prima della guerra russa in Ucraina dal titolo “Maledetta Sarajevo” (Neri Pozza editore), autori Francesco Battistini e Marzio G. Mian, giornalisti di lungo corso che allora raccontarono la guerra in Bosnia: la madre di tutte le crisi successive, anche questa dell’Ucraina.

Nelle guerre, c’è sempre un vecchio regolamento di conti, per questioni etniche o di confini, questioni che solitamente divampano con la caduta o la dissoluzione di vecchi imperi, come fu quello sovietico, o quello della dissoluzione jugoslava. 

Tutto, per quanto accaduto a Sarajevo, la guerra in Bosnia, comincia con la morte di Tito: il leader padre dello “jugoslavismo”, croato, di madre slovena, che era riuscito a realizzare il sogno di unità degli slavi rimanendo nell’Est Europa, senza allinearsi all’egemonismo dell’Urss.

Con la sua morte, il 4 maggio 1980, si seppellisce il vecchio sogno jugoslavo e si riesumano i vecchi spettri nazionalisti. Comincia la spartizione della Jugoslavia che il “Maresciallo” aveva unificato.

 C’è voglia di autonomia dove Tito prima era riuscito a reprimere ogni dissenso e la Jugoslavia – sotto le spinte secessioniste - diventa uno stato-Frankenstein che non può funzionare.

   Una dopo l’altra le repubbliche della Federazione Jugoslava ottengono l’indipendenza, ma i giochi non sono sempre chiari, e nessun angolo di Jugoslavia è risparmiato da una guerra civile che durerà dieci anni e avrà in Sarajevo il punto più visibile di una tragedia fatta di odio, vittime e carnefici.

“Ad un certo punto ci accorgemmo che nemmeno i gatti dei musulmani andavano d’accordo coi gatti dei serbi”, dirà il criminale Radovan Karadzic, il leader della minoranza serbo-bosniaca che guidò l’assedio di Sarajevo e il massacro di Srebrenica, dove in pochi giorni vennero trucidati più di ottomila tra uomini e bambini bosniaci e musulmani.

La domanda ieri, e ancora di più oggi, con quest’assurda nuova guerra in Ucraina, con l’assedio di Kiev, è com’è potuto accadere? Perché nessuno è intervenuto per prevenire allora, evitare stermini di massa, contro civili inermi?

L’Occidente, dice Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, doveva essere più prudente, sapendo che siamo in un periodo in cui le guerre sono avventure senza ritorno.

Kiev (la nuova Sarajevo) è una città di tre milioni di abitanti, importante per l’Ucraina, ma anche per il mondo slavo storicamente, e per Europa: “Si tratta di una città santa - dice Riccardi - dove il popolo russo e ucraino insieme hanno scelto il cristianesimo ortodosso. Vogliamo rifare Aleppo e Sarajevo? Vogliamo combattimenti casa per casa? Vogliamo distruggere un’intera popolazione?”.

La lezione di Sarajevo, dove appena mezzo secolo dopo la Shoah, come scrivono nel loro libro Battistin e Mian, è ritornato lo sterminio di massa contro civili inermi, dovrebbe far aprire gli occhi all’Occidente, per capire dove ha sbagliato, prima, e dove, anche se in ritardo, può intervenire adesso, in una guerra forse più prevedibile di quanto è sembrato. Ora però c’è intanto un’urgenza oltre che a far di tutto per arrivare alla pace: dare una risposta ai milioni di ucraini che lasceranno il loro Paese recandosi in Occidente. L’Europa si deve misurare su questo esodo. Ne va della sua stessa sopravvivenza.

 

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