Covid e Suicidio: quale legame esiste? Dalla fine del 2019 il virus COVID-19 si è rapidamente diffuso dalla Cina in tutto il mondo, assumendo i caratteri di emergenza pandemica o, come suggerito da Richard Horton (Horton, R, 2020) che prende in prestito una intuizione di Merril Singer degli anni 90 (Singer, M, 1994 e 1996), una sindemia.
Si è parlato tanto del virus dal punto di vista medico, di quali siano i primi sintomi, di come si trasmetta, di quali siano le conseguenze fisiche di coloro che lo contraggono e le relazioni tra il COVID-19 ed altre patologie, ma poca attenzione è stata data dai decisori politici al concetto di salute bio-psicosociale e alle misure attuabili per contrastare gli effetti multifattoriali tra loro correlati, tipici del concetto di sindemia.
A partire da fine febbraio, quando il virus è arrivato in Italia, la nostra vita è cambiata. Oltre al lockdown, misura imposta dallo Stato e suggerita dagli studi scientifici, molti dei nostri comportamenti ed usi sociali si sono di conseguenza modificati: gli abbracci, le strette di mano e il saluto con un bacio sono state sconsigliati, le feste, i concerti, le riunioni sono praticamente sparite e abbiamo iniziato ad immaginare la nostra vita in un modo meno “sociale”.
Si è iniziato a non desiderare più di uscire, a soffrire la “sindrome della tana”, a temere i vicini di casa, parenti e/o amici/che che avevano avuto contatti non controllati e le nostre interazioni sociali fisiche sono state drasticamente diminuite a favore di più numerose relazioni mediate da mezzi informatici. Inoltre la ripetuta esposizione mediatica alle notizie spesso contraddittorie sulla sindemia (infodemia) ha costituito un'importante fonte di stress. Le cronache di giornale hanno riportato diverse notizie di suicidi legati al COVID-19, soprattutto tra le persone giovani, ma anche da parte di coloro che hanno avuto un lutto o hanno perso il lavoro.
L’isolamento proprio della quarantena, la paura costante di ammalarsi, l’incertezza sul futuro, la precarietà economica, la paura di contagiare e perdere le persone care, sono tutti fattori che predispongono all’insorgenza di un disagio psichico che in alcuni casi può condurre al suicidio (Ho et al., 2020). Qiu Wang et al., (2020) nei loro recenti studi hanno riscontrato un aumento dei sintomi di ansia, depressione e dei casi di suicidio, durante l’epidemia da COVID-19 .
Tutti questi agenti stressanti, possono peggiorare i sintomi delle persone che hanno già dei problemi di salute mentale e portarle all’ideazione suicidaria: la malattia mentale è infatti un forte predittore di suicidio (Gili et al., 2019; Harris e Barraclough, 1997). Altri studi attuali hanno mostrato come la variabile “isolamento sociale” tipica della sindemia sia altamente predittiva del suicidio (Matthews, Naher et al., 2019) e di contro il venire meno del supporto sociale derivante dalle relazioni interpersonali va a ridurre uno dei fattori protettivi contro il suicidio (Calati et al. 2019).
Inoltre l’isolamento sociale accentua altre condizioni negative come un minor accesso alle cure mediche adeguate, un minor accesso alla comunità e alle sue risorse e un maggiore stress economico. Pensiamo agli anziani, ai malati di cancro o di altre gravi patologie, agli immunodepressi: per loro la sindemia ha avuto effetti più devastanti sia perché l’isolamento per loro era più marcato, sia perché si sono visti spesso privare delle cure psicologiche e mediche necessarie per superare la loro condizione di salute già grave e precaria.
Anche la quarantena in generale, che ormai ha interessato intere masse a livello mondiale, secondo Brooks et al., (2020) ha portato ad un aumento della noia, rabbia, solitudine e dei livelli di ansia. Vivere la quarantena all’interno della propria famiglia, significa perdere l’intimità legata al contatto fisico, sentirsi spesso intrappolati perché la persona contagiata si deve auto-isolare in una stanza, perdere il senso di controllo della vita e della propria quotidianità.
Di conseguenza abbiamo assistito a quello che Barbish (2015) definisce come un senso di “Isteria Collettiva” che può condurre persino al suicidio. Considerando dal punto di vista teorico il modello di riferimento del suicidio di Joiner (2005) il suicidio può attuarsi quando vi è la presenza simultanea di 3 variabili: - Appartenenza contrastata (bisogno insoddisfatto di appartenenza, mancanza di frequenti interazioni sociali positive o sensazione di non essere realmente connessi con gli altri); - Percezione di Onerosità (è la sensazione di essere un peso per gli altri del proprio ambiente, percepire che morire sia meglio che vivere); - Capacità acquisita di effettuare un atto di autolesionismo potenzialmente letale.
In questi giorni in Italia si è parlato del suicidio del giovane sportivo delle giovanili del Milan e del Benevento, Seid Visin e di come una delle possibili cause possa essere stato il razzismo (appartenenza contrastata: “Non sono un immigrato”, “mi additavano come resposnabile perché molti giovani italiani non trovano lavoro”, “Dentro di me è cambiato qualcosa, come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato”, “come se dovessi dimostrare alle persone che non mi conoscevano che ero come loro, che ero italiano, bianco”, “facevo battute di pessimo gusto su neri e immigrati” o la percezione di onerosità: “Mi sento sulle spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici”).
La famiglia, nonostante la stampa abbia spostato l’accento sul razzismo, ha specificato che così non era; il padre ha detto che il figlio non era vittima di razzismo lasciando intendere che c’erano altre cause che non ha voluto citare per rispetto alla privacy della famiglia. Evidentemente le cause di questo grave e tristissimo atto vanno ricercate in una serie di fattori di rischio ben più complessi di una unica e sola causa.
Cosa si poteva fare?
Visto l’impatto della sindemia sulla salute mentale è auspicabile mettere in atto alcune strategie ed interventi di contrasto al disagio psichico e di promozione della salute mentale. Tra queste azioni è importante: - formare gli operatori socio-sanitari ad identificare i primi segnali di disagio o crollo psicologico del paziente al fine di mettere in atto un “very brief advice” (intervento breve, di pochi secondi, finalizzato all’invio), - rafforzare, a livello psico-sociale, territoriale e ospedaliero, il supporto psicologico per i soggetti colpiti da COVID-19 e le loro famiglie, sensibilizzare sui temi del disagio psicologico, sulla salute mentale e sulle correlazioni tra le varie patologie, - diffondere interventi di promozione e prevenzione del disagio psicologico in generale, cercando di rafforzare i fattori protettivi, soprattutto in un’ottica di salute.
Andrea MoiDott. Andrea Moi - Consulenza e supporto psicologico
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