Sei sicuro di voler sbloccare questo articolo?
"Una scuola che non parla di affettività, di rispetto, di parità è una scuola che lascia soli i ragazzi di fronte a un mondo che grida messaggi distorti". La rete degli studenti per Udu Padova annuncia "un minuto di rumore" questo pomeriggio.
"Una scuola che non parla di affettività, di rispetto, di parità è una scuola che lascia soli i ragazzi di fronte a un mondo che grida messaggi distorti". La rete degli studenti per Udu Padova annuncia "un minuto di rumore" questo pomeriggio.
Sono passati due anni da quell'11 novembre 2023, quando Giulia Cecchettin è stata trovata senza vita, uccisa dal suo ex fidanzato, Filippo Turetta.
"So bene che ci sono paure, resistenze e incomprensioni, ma vi assicuro che l'educazione affettiva non è un pericolo è una protezione, non toglie nulla a nessuno, ma aggiunge qualcosa a tutti: consapevolezza, rispetto e umanità", ha dichiarato il padre Gino, che è anche presidente della Fondazione che porta il nome della figlia, in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio.
"Una scuola che non parla di affettività, di rispetto, di parità è una scuola che lascia soli i ragazzi di fronte a un mondo che grida messaggi distorti", ha aggiunto.
"Non sono un politico, non sono un esperto. Sono semplicemente un padre che ha visto la propria vita cambiare per sempre due anni fa. Ho perso mia figlia, una ragazza piena di vita, curiosa, generosa, capace di vedere il bene anche dove non c'era. Da quel giorno il mio mondo si è fermato, ma non potevo restare fermo anch'io", ha proseguito, parlando alla Commissione, che gli ha rivolto un applauso.
"Gli eventi come questi ti cambiano per sempre, non c'è futuro, ti viene tolto anche il futuro - ha detto ancora -. Un futuro fatto di abbracci, di ricordi e di giornate che non ci saranno più. Che in qualche modo dovevo riempire e quindi ho scelto di reagire di dare un senso a quel dolore che rischiava di distruggermi. Così è nata la Fondazione Giulia Cecchettin: non per coltivare la memoria del dolore, ma per trasformarla in impegno, perché se non cambiamo la cultura che genera la violenza, continueremo a piangere altre Giulie, altre famiglie, altre vite spezzate". "Non sono qui per chiedere più punizioni o leggi più dure. La giustizia serve, ma arriva sempre dopo. Sono qui per parlare di ciò che può arrivare prima, la prevenzione e quindi l'educazione", ha evidenziato.
"Oggi la violenza di genere viene spesso raccontata come un'emergenza, ma non lo è. E' un fenomeno strutturale radicato nella nostra cultura, nei linguaggi, nei modelli di relazione, negli stereotipi che continuiamo a tramandare. Non nasce all'improvviso, non è un raptus, cresce lentamente in una società che troppo spesso giustifica, minimizza, o resta in silenzio".
In quanto Fondazione, "crediamo che l'unica risposta duratura alla violenza sia educare al rispetto, all'empatia, alla libertà reciproca e questo può avvenire solo nella scuola, il luogo dove si formano le persone non solo gli studenti. Non si tratta di ideologia, ma di civiltà. Parlare di educazione affettiva significa insegnare ai ragazzi a conoscere se stessi, a gestire le emozioni, a riconoscere i confini e chiedere e dare consenso. Significa insegnare che l'amore non è possesso, che la forza non è dominio, che il rispetto è la base di ogni relazione", ha spiegato.
"Il tempo a volte scorre piano, altre scorre veloce. Non saprei definire il tempo. Ma questi due anni li ho passati nel dolore", ha dichiarato Gino Cecchettin a "La Stampa", spiegando che "cercare la giustizia a tutti i costi viene d'istinto. Ma ci sono dolori che non si allevieranno mai, con nessun tipo di pena. Ostinarsi, come sarebbe giusto, per chiedere il riconoscimento degli atti persecutori e della crudeltà significherebbe continuare a combattere. Ma, poi, per cosa? C'è già stata una sentenza di condanna all'ergastolo", ha fatto notare, in merito all'arresto di Filippo Turetta. "E allora a volte bisogna avere un po' di razionalità, per decidere di usare le energie per quello che serve davvero, e non per un riconoscimento che sarebbe solo un esercizio di giurisprudenza. Proseguire con altri due o tre anni di processo non porterebbe a nulla di concreto, e invece per me sarebbe molto pesante. Preferisco rimanere collegato alle cose che creano valore".
La società odierna, ha proseguito Cecchettin, "è ancora patriarcale: lo raccontano i fatti di cronaca". "È un concetto radicato nel linguaggio, negli stereotipi sessisti e negli usi delle persone. Dal punto di vista legislativo si è fatto abbastanza, ma l'humus educativo della nostra società fatica a distaccarsi dal modello del maschio dominatore".
Due anni dopo l'omicidio, ha aggiunto, "mi sembra ieri che potevo parlare con lei, e invece sono già passati due anni. Ogni giorno ha la sua dose di dolore, a volte molto intenso. Però c'è anche la felicità per avere vissuto con lei".
Intanto, per questo pomeriggio alle 17, in Piazza Portello, a Padova, è in programma un appuntamento "per fare rumore", in ricordo di Giulia. Lo ha annunciato, su Instagram, la rete delle studentesse e degli studenti per Udu Padova. "Sono passati due anni dal femminicidio di Giulia Cecchettin, due anni dopo la notizia che ha scosso la nostra comunità studentesca e l'Italia intera. La nostra rabbia non si è fermata, come non si è fermata la conta delle donne uccise dopo Giulia per mano di uomini. Siamo arrabbiate e lo saremo ad ogni notizia di ogni donna uccisa", dichiarano gli studenti.
APPUNTAMENTI IN AGENDA