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Elezioni amministrative. Prove tecniche di Centro

Il fenomeno delle liste civiche merita forse un’attenzione e una riflessione più approfondita di quanto forse non si immagini.

di Mimmo Nunnari
Giovedì 30 Giugno 2022
Roma - 30 giu 2022 (Prima Pagina News)

Il fenomeno delle liste civiche merita forse un’attenzione e una riflessione più approfondita di quanto forse non si immagini.

Bisognerebbe riflettere sul motivo del proliferare di liste civiche nei vari passaggi elettorali amministrativi, a meno che il fenomeno non si rivelerà presto poco più che una formuletta magica, per nascondere la crisi dei partiti, la cui credibilità è colata a picco.

 In questo caso le alleanze civiche sarebbero servite per miscelare il vecchio col nulla di nuovo e riverniciare, col paravento del civismo, opportunisti e manutengoli di vecchio pelo. Stavamo già scrivendo su questo tema quando è intervenuto lo “strappo” dei 5 Stelle, con l’addio di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e tra i fondatori del movimento grillino, che adesso, pentito del passato e sapientemente consigliato, guarda al vasto, ancorché disaggregato, mondo del civismo locale rappresentato da sindaci di città grandi e piccole del Paese.

 

 Di questo fiume carsico che scorre sotto il letto della politica di oggi i sindaci, più o meno apprezzati sono: Beppe Sala, Milano, Dario Nardella, Firenze, Giorgio Gori, Bergamo, Luigi Brugnaro, Venezia, Decaro, Bari. Sono loro che col civismo ( “l’isola che ancora non c’è”) potrebbero aprire il cantiere del “Centro” nello spaesamento della politica di destra e sinistra e aprire le porte a un “potenziale” di elettori che non si sente rappresentato e non va a votare.  

C’è stato un tempo, nei primi decenni del dopoguerra, in cui le liste civiche, soprattutto nei piccoli comuni, raccoglievano, intorno ad un simbolo chiaramente “leggibile”, uomini e donne che pur con appartenenze differenti, ma non distanti, scendevano nell’agone politico coscienti dei doveri civili del cittadino elettore. Gente sensibile alle esigenze delle comunità in cui vivevano.

Chi, tra coloro che hanno qualche anno in più, non ricorda le liste, apparentemente indipendenti, con nomi allegorici, come Bilancia, Spiga di grano, Faro, Aratro?

 Liste che se da un lato indicavano il bisogno sociale da intercettare la domanda dei cittadini, dall’altro, per la necessità di aggregare, non facevano trasparire le opinioni politiche proprie camuffandole in quel “civismo” che rinunciava a simboli di partiti e movimenti politici.

Questo è il passato del civismo, dove il collante era quella disponibilità a impegnarsi per il bene comune, con la coscienza che il cittadino aveva suoi doveri precisi, dopo la parentesi lunga e infausta del fascismo. Naturalmente i furbi e i “pescecani” travestiti da agnello c’erano anche allora, ma il civismo, in ogni caso, aveva un senso.

Oggi, dopo che i partiti sono stati sfasciati da “manipulite”, all’inizio degli anni Novanta, e quel che è rimasto ha poi sfasciato il Paese, con populismi, sovranismi, qualunquismi, leader a scadenza breve, come lo yoghurt, partiti personali, occorre una analisi diversa, poiché il civismo è praticato da “tribù” che hanno sostituito i partiti con capi che cambiano posizione in maniera impressionante.

Non diciamo che cambiano le idee, perché le idee, per cambiarle, bisogna averle. E’, questa, l’Italia “stile libero” del muro contro muro, del faccio ciò che mi conviene, dell’avvelenamento dei pozzi, che nasce, oltre che dalla distruzione per via giudiziaria dei movimenti politici, dalla nefasta legge elettorale che neanche Leonid Breznev riuscì mai a fare una cosa simile nell’Unione Sovietica della nomenclatura.

Se non sarà cambiata la legge elettorale che ha bloccato il sistema parlamentare, ingessato le classi politiche, stoppato la democrazia, consegnato il potere di decidere gli eletti a un capo di turno, sottraendolo di fatto agli elettori, il futuro dell’Italia non potrà mai dipendere dal cittadino elettore, ma sarà scritto, più male che bene, dalle tribù politiche dell’Italia catodica ed elettronica.

Stando così le cose, con una società civile invisibile e impotente, la politica agonizzante, le borghesie frustrate, il declino, che sembra un destino, appare inarrestabile. Ecco perché la resurrezione del civismo buono può essere un segnale positivo e non per forza una degenerazione, come molti analisti politici intendono.

Nel sistema elettorale delle amministrazioni comunali, ma anche di quelle regionali, dove i cittadini eleggono direttamente il sindaco o il presidente e i consiglieri comunali e regionali scelti con le preferenze, non ci sono nominati, e non è poco.

 Il circolo virtuoso, o meno, cittadino - elettore - candidati - eletti, c’è, e ognuno in coscienza si assume la responsabilità, col suo voto, e può giudicare chi ha amministrato bene, chi male, e valutarlo per quello che ha fatto.

In quel che resta dell’Italia, paese dall’unità malcerta, il futuro dipende da noi. Dobbiamo decidere se quest’Italia di leader che aggregano numeri ma sono incapaci di unire l’elettorato su valori condivisi e programmi concreti, ci conviene, e continuiamo a vivere felici e contenti, o se non siamo soddisfatti e dunque abbiamo il dovere di scoprire un “progetto collettivo” che, in attesa della ricostituzione dei partiti e della rinascita della politica, possa farci sperare in un cambiamento.

 Ma senza una legge elettorale “democratica” ogni ragionamento diventa inutile esercizio di buone intenzioni e ogni capo o capetto continuerà a pensare che il proprio destino coincida con quello dell’Italia.  

 

 


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