Gioia Tauro, “Caro Toninelli, il Grande Porto Container calabrese sta morendo!”

Non volevamo crederci quando un agricoltore ci aveva detto che il taglio degli alberi di clementino, in contrada Lamia, di San Ferdinando – per far posto agli insediamenti industriali del pacchetto Colombo- faceva piangere.

(Prima Pagina News)
Lunedì 18 Febbraio 2019
Roma - 18 feb 2019 (Prima Pagina News)

Non volevamo crederci quando un agricoltore ci aveva detto che il taglio degli alberi di clementino, in contrada Lamia, di San Ferdinando – per far posto agli insediamenti industriali del pacchetto Colombo- faceva piangere.

di Gregorio Corigliano

Non volevamo crederci quando un agricoltore ci aveva detto che il taglio degli alberi di clementino, in contrada Lamia, di San Ferdinando – per far posto agli insediamenti industriali del pacchetto Colombo- faceva piangere. Lo avevamo finanche accusato di essere un esagerato. E così siamo andati a verificare di persona. Una “carneficina”! Quale spettacolo ai nostri occhi! Interi appezzamenti di terreno della Lamia, una delle contrade più floride per la produzione delle clementine, erano stati livellati. E la ruspa continuava imperterrita, senza pietà, ad abbattere, sradicandoli, altri alberi, sotto gli sguardi impietriti ed esterrefatti dei vecchi proprietari (vecchi perché i terreni erano passati di proprietà dello Stato che li aveva espropriati, pagandoli anche bene) che a stento riuscivano a trattenere le lacrime. Qualcuno piangeva ancora! Quei coltivatori, quegli agricoltori che mobilitavano polizia e carabinieri o addirittura l’onorata società per scoprire il responsabile del taglio anche di un solo albero, per dispetto, per gelosia tra guardiani o per probabili richieste di mazzette, adesso assistevano increduli ed impotenti alla distruzione totale del loro impianto agrumicolo. Si mettevano davanti alle ruspe, quasi accarezzando le piante rase al suolo. Quelle piante per le quali si erano sacrificati tutta la vita i loro avi, i loro genitori, loro stessi, i loro figli. Quegli appezzamenti di terreno per i quali avevano sudato tutti giorni, senza festivi o domeniche, con il sole o con la pioggia. Quelle piantagioni per le quali avevano chiesto mutui e prestiti agli istituti di credito o ad aprire linee di credito comunitarie – il piano verde- per “crescere” come figli le piantine che, alla fine dell’annata agraria dava –certo che dava- le soddisfazioni ed i frutti sperati. Era l’ultimo giorno di luglio del 1975, quando scrivevo proprio questo articolo, assistendo personalmente a quella che è stata considerata una vera e propria carneficina, parlando di “ruspa senza cuore”. E la ruspa procedeva implacabile, guidata non da un robot ma da un uomo di fuori contesto, inflessibile, duro, senza emozioni. Un “untore” di manzoniana memoria aveva detto il figlio di un agricoltore che, grazie anche ai proventi di quelle terre, aveva studiato, o, come si diceva allora “aveva fato le scuole”! Non c’erano voci, nessuno gridava o imprecava, solo un dolore intimo che riuscivamo a capire in pochi: quanti eravamo nati da quelle parti, quanti eravamo stati segnati dalla stessa sorte. Chi può comprendere cosa significava per un contadino, un agricoltore la perdita della terra? Sai Gregorio, quando ho firmato il concordato – perché mi hanno obbligato (con l’adeguato compenso a dire il vero) - speravo in cuor mio che quel giorno del luglio del ’75 non arrivasse mai. Cosa farò adesso? Di cosa si occuperanno i miei figli visto che noi siamo agricoltori da un paio di generazioni? Domattina che farò? Prenderò la bicicletta e verrò qui, a guardare, a pensare, a riflettere sull’oggi e sul domani e poi? Quanti giorni, quanti mesi, quanti anni ho trascorso qui dentro, mi dice uno dei più loquaci. Quanto sudore versato, quante imprecazioni, il concime che non si trovava, l’acqua di irrigazione che non arrivava, l’operaio che non arrivava a spargere “il fumere” ( il concime naturale) e adesso? Il dramma immediato era l’inoccupazione, assai dolorosa per chi aveva il suo “posto” e che da qui a qualche giorno non avrebbe avuto più! L’attaccamento alla terra, qui più che altrove, è forte, quasi morboso. Mi congedo con un saluto non rituale:” speriamo che quel che dovranno costruire qui, possa dar conforto a tutti, a me e, soprattutto, ai miei come agli altri figli. Bona vita”! E a distanza di quarantaanniquaranta? Le clementine non ci sono più. La contrada Lamia è sparita. In compenso, da un lato c’è il deserto dei prenditori del Nord che sono venuti qui, hanno ottenuto i fondi della 488 e poi sono scappati, lasciando tanta, davvero tanta disoccupazione, molte illusioni e qualche capannone abbandonato. Avrebbero dovuto avviare tante iniziative (il centro siderurgico, la centrale a carbone, per esempio). Per fortuna (ma lo è, davvero, oggi?)c’è il porto di Gioia Tauro-San Ferdinando! Una infrastruttura che ha creato tantissime speranze, ha dato tanti posti di lavoro (mai come quelli promessi), si vede ad occhio nudo che c’è una parvenza di industria insediata, si notano le navi (io ce le ho sotto casa!), i camion vanno e vengono ma nei fatti, a distanza di quarantaquattro anni dall’azione di quella ruspa senza cuore, siamo sempre punto e a capo. Quasi. È stato il porto più grande per il throughput container in tutta Italia, il sesto nel Mediterraneo! Ed oggi si parla di esuberi un’altra volta – un argomento ricorrente, sia con gli imprenditori Ravano che con Cecilia Battistello- e quindi si vive alla giornata e col batticuore, si sfoglia la margherita. Il ministro Danilo Toninelli ha preso impegni per bloccare lo stato di crisi e realizzare il gateway ferroviario, nel corso di una sua visita al porto che è, comunque, gestito dall’Autorità portuale di Gioia Tauro. I volumi di traffico non sono in ascesa, come un tempo. Anzi. Il porto va rilanciato e non da ora. Gli investimenti programmati non arrivano, i sindacati protestano e chiedono al governo, alla giunta regionale ma anche al terminalista MCT ( Medcenter container terminal) partecipato sia da Contship che da MSC(Mediterranean shipping company di Gianluigi Aponte) di intervenire con urgenza affinchè su Gioia Tauro non cali “l’effetto notte” di cui parla Gianni Festa su questo giornale. Dalla ruspa senza cuore all’inferno dell’abbandono il passo è breve.


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Prima Pagina News

Danilo Toninelli
Porto Gioia Tauro
PPN
Prima Pagina News

APPUNTAMENTI IN AGENDA

SEGUICI SU