I PROFILI DI PPN, Pino Nano rilegge la vita di Don Mottola, il Santo di Tropea
Primo Maggio del tutto speciale a Tropea dove in questi giorni si ricorda la figura di don Francesco Mottola, “Poeta della carità e della contemplazione”, sacerdote illuminato, giornalista e direttore responsabile sin dalla sua nascita del periodico cattolico “Parva Favilla”, e soprattutto –raccontano in Vaticano- Fondatore in Calabria delle tante “Case della Carità” per bambini diseredati e orfani”.
di Pino Nano
Sabato 01 Maggio 2021
Roma - 01 mag 2021 (Prima Pagina News)
Primo Maggio del tutto speciale a Tropea dove in questi giorni si ricorda la figura di don Francesco Mottola, “Poeta della carità e della contemplazione”, sacerdote illuminato, giornalista e direttore responsabile sin dalla sua nascita del periodico cattolico “Parva Favilla”, e soprattutto –raccontano in Vaticano- Fondatore in Calabria delle tante “Case della Carità” per bambini diseredati e orfani”.
Partiamo dall’inizio di questa storia. Figlio di Antonio Mottola e Concettina Bragò, primogenito di una famiglia nobile ma decaduta, profondamente cristiana, un fratello più piccolo Gaetano e una sorella poco più grande Titina, Francesco Mottola nacque a Tropea il 3 gennaio 1901. Nel febbraio del 1911, Francesco non aveva ancora compiuto dieci anni, i suoi genitori decidono di chiuderlo in seminario, a Mileto, perché da grande potesse diventare sacerdote, e Francesco passerà alla storia del Seminario Arcivescovile di Mileto per essere stato il primo seminarista in ordine di tempo, diventato poi in età adulta anche autorevole Rettore dello stesso Istituto.

A Mileto, dunque, Francesco frequenta le scuole medie, il ginnasio e il liceo, ma appena due anni dopo il suo ingresso in Seminario, l’estate del 2013, dovrà fare i conti con quella che sarà la vera grande tragedia della sua vita, la perdita della madre, a cui il ragazzo era profondamente legato. Fu una morte violenta, un suicidio inspiegabile, e che passerà immediatamente sotto silenzio per come allora regolarmente accadeva con chi sceglieva di farla finita con la vita, una tragedia che peserà sulla vita di Francesco fino al giorno della sua morte. Finito il liceo, presa la maturità classica con il massimo dei voti, autunno del 2017, il giovane seminarista lascia Mileto e si trasferisce a Catanzaro, questa volta al Seminario Regionale, per concludere i suoi studi teologici.

Rimane a Catanzaro fino 5 aprile 1924, giorno in cui viene finalmente ordinato sacerdote. E da qui, assume il suo primo incarico come parroco nella Chiesa di Parghelia. Ma man mano che gli anni passano le sue condizioni di salute non gli consentono più di svolgere a pieno la sua funzione di sacerdote di una parrocchia popolosa come la sua, e cinque anni dopo quella sua prima nomina, Francesco viene richiamato al Seminario Arcivescovile di Mileto.

Qui diventa immediatamente Rettore del Seminario. Contemporaneamente, dal 1924 fino al 1942, insegna anche ai giovani seminaristi, prima teologia, poi Lettere Classiche e Lettere Moderne. Per Francesco saranno anni di grandi approfondimenti culturali, anni di studio e di meditazione continua, di letture e di ricerche, di saggi scritti e di analisi severe sui temi più attuali del suo tempo, e che ci danno di Francesco l’immagine fisica di un intellettuale vulcanico, curioso, instancabile, appassionato dei problemi sociali della sua gente e della sua terra, a tratti molto più sociologo che non antropologo, e molto più antropologo che non sacerdote, uomo insomma dal carattere poliedrico, accattivante, carismatico, e a tratti persino controcorrente, rivoluzionario e innovativo.

Nel 1931 viene nominato anche Canonico Penitenziere della Cattedrale, e in questa sua nuova veste diventa promotore di varie iniziative culturali, come la nascita del circolo culturale “Francesco Acri”, e soprattutto la nascita della rivista “Parva favilla”, che diventerà poi con gli anni il vero “strumento di comunicazione “di quella che era la sua “rivoluzione sociale”. Un comitato scientifico di alto profilo, composto da eminenti studiosi della storia del Movimento Cattolico, tra i quali Borzomati, Locane, Malgeri, Mariotti, Milito, Monticone, Pantano e Schinella, e che ha poi curato la pubblicazione dei primi tre volumi dell’Opera Omnia degli scritti di don Francesco Mottola, ci dice oggi che si tratta di un'accurata raccolta di appunti, lettere, circolari e testimonianze varie, che vogliono oggi riproporre all'attenzione di una sempre più vasta platea di lettori la vita e le opere del sacerdote calabrese.

“Non si tratta, di una pura esercitazione accademica destinata a pochi addetti ai lavori -scriveva a proposito di questo complesso lavoro editoriale Giuseppe Borgia-ex Presidente di Sezione della Corte dei Conti e per lunghissimi anni amico personale e privilegiato di don Mottola - ma di una vera e propria opera divulgativa mirata a far meglio conoscere le dimensioni dell'azione del presbitero calabrese, al centro di una vivace stagione di impegno dei cattolici democratici in Calabria e nelle regioni del sud.

Il periodo che va dalla fine degli anni Venti alla fine degli anni Sessanta e che io ho vissuto molto da vicino insieme a Don Mottola- aggiungeva Giuseppe Borgia nella sua riflessione- costituisce il vero “Tempo mottoliano”, la stagione cioè nella quale si è dipanato il ricco tessuto di iniziative di carità sociale del "Servo di Dio", don Francesco Mottola”. In tale contesto è assai rilevante lo spazio che questo animatore di formazione, ad un tempo religiosa e sociale, ha riservato alle iniziative di recupero dell'identità dei cattolici impegnati nella promozione della sua comunità e del mezzogiorno in genere.

Le opere che maggiormente hanno segnato la sua vita sono state indubbiamente le “Case della carità”. La prima nasce nel 1936, poi è un susseguirsi senza fine, nel 1944 viene inaugurata la casa della Marina di Tropea destinata esclusivamente alle bambine, nel 1946 quella di Parghelia e Limbadi, nel 1956 la casa di Vibo Valentia per i portatori di handicap, nel 1966 la casa di Roma per le suore anziane, e poi infine sempre a Tropea il Villaggio don Mottola.

“Don Mottola -dice oggi di lui il vescovo di Mileto-Nicotera Mons. Luigi Renzo-aveva insomma capito che la Chiesa, in un mondo di sofferenza, doveva vivere la sua missione formando le coscienze al servizio dei poveri perché in essi si identifica Gesù sofferente. Don Mottola ha precorso i tempi ed ha vissuto il “rinnovamento radicale” del Concilio Vaticano II trasfondendolo nei suoi figli oblati delle tre famiglie, sacerdoti, laiche, e laici del Sacro Cuore di Gesù.

Non una Chiesa imbalsamata, quindi, e con la “faccia da funerale”, per citare Papa Francesco, ma una Chiesa “lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza”; una Chiesa “vicina agli abbandonati, ai dimenticati, e agli imperfetti”. Con le prime “Case della carità”, nascono in Calabria, e si formano, quelli che lo stesso Francesco chiamava “I certosini della strada”. Rivolgendosi a loro don Mottola spiega ancora meglio il suo vero obiettivo: “Su questo umile foglio, rompo per voi, per la prima volta, il silenzio, con parole che già sapete, che ci siamo tante volte ripetute a vicenda, che sono di Gesù e perciò illuminano, confortano, fortificano. Le prime, queste: soffrire, tacere, godere, dimenticarsi. Quanti ricordi!».

“La Casa della Carità – alludendo a quella di Tropea, diceva ancora testualmente don Mottola- l’ho sognata grande almeno quanto la nostra terra, accogliente tutto il dolore, non per eliminarlo, perché sarebbe un sacrilegio, ma per divinizzarlo e divinizzato adorarlo”. Per poter realizzare fino in fondo questo suo grande progetto di “Carità integrale” come lo chiamava lui, Francesco fonda la Famiglia degli Oblati del Sacro Cuore, che era composta dai Sacerdoti Oblati, nati nel 1931, dalle Oblate del Sacro Cuore, e dagli Oblati laici. Un obiettivo ambizioso, all’inizio pareva quasi impossibile realizzarlo, che con lui prende invece corpo e sostanza.

“Lo Stato - andava ripetendo - passa, la democrazia passa, la carità non passa mai". E qui la carità è valore altamente sociale, capace di mutare il volto di una comunità e di produrre una vera e propria rivoluzione silenziosa. Amava, infatti, sottolineare che “l'apostolato di fatto - per cui abbiamo rifiutato la cella e siamo rimasti viandanti nel mondo - discende dalla pienezza della contemplazione come dai nevai la forza dei fiumi, che pur tornano al mare, ansiosi di azzurro per essere riassorbiti dal sole”.

“Poeta sociale” - lo presentava così il suo grande amico Giuseppe Borgia ai ministri con cui abitualmente lavorava e che gli chiedevano notizie di questo sacerdote calabrese erede di don Sturzo. Don Mottola seppe coniugare contemplazione e azione, ascesi e impegno sociale, spiritualità e apostolato tra gli uomini del suo tempo, in particolare gli ultimi e i più emarginati, ai quali ha sempre riservato il meglio del suo ministero sacerdotale.

La riflessione storica e l'analisi dei suoi scritti fanno, quindi, giustizia dei tanti luoghi comuni costruiti nel tempo intorno alla situazione di crisi della chiesa meridionale: dall'interno di essa, invece, sono venute non poche né irrilevanti testimonianze di altissimo valore profetico e di rinnovamento ecclesiale e sociale.

Ed è in questo clima che nasce, si diffonde e prende piede, il suo giornale “Parva Favilla”, che non è più solo un semplice “foglio di informazione cattolica” come mille altri in quel momento in Italia, ma che diventa invece “strumento di lotta e di formazione collettiva”. Il giornale, dunque, al servizio delle idee. Il giornale, che diventa braccio operativo della rivoluzione sociale in cui Francesco credeva.

Il giornale, che diventa soprattutto verbo e sostanza insieme. “Parva favilla” - scrive don Enzo Gabrieli Postulatore della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Venerabile Francesco Mottola, e della Serva di Dio Irma Scrugli- “è stata l’eco della preghiera e dell’offerta per quella “Via Crucis fra i tuguri” e vicoli del mondo che deve continuare: Oggi essi sono rappresentati dalle nuove povertà, dai cuori degli uomini e donne che abitano le nuove periferie esistenziali. Passeggiando per Tropea si può cogliere come è stato facile trasformare i tuguri di pietra in scintillanti negozi, ma anche come più è difficile vincere e sconfiggere le tante povertà e trasformare i tuguri del cuore.

Il Venerabile don Francesco Mottola, la Serva di Dio Irma Scrugli, si sono scommessi di persona, hanno gettato la rete sulla Parola di Dio, offrendo sé stessi; e il loro lavoro prosegue attraverso i loro figli e figlie spirituali che portano avanti l’attualissimo messaggio e le preziose opere di carità”.

Consapevole della valenza della lezione di Luigi Sturzo, e per molti versi attento a non tradirne lo spirito meridionalistico, così come altri illuminati sacerdoti calabresi come Carlo De Cardona e Luigi Nicoletti per fare solo alcune esemplificazioni, don Mottola- scrive di lui Giuseppe Borgia- avverte l'importanza della formazione delle giovani generazioni, che dovranno prepararsi adeguatamente alle prospettive – ritenute profeticamente inevitabili - del crollo del fascismo.

“In parole più semplici, da sacerdote impegnato nel sociale, quale certosino della strada, don Mottola vuole contribuire alla rottura delle logiche clientelari che frenano lo sviluppo della società calabrese, prigioniera in quegli anni dei disegni del notabilato locale.

E per far questo valorizza due strumenti assai significativi: da un lato, la pastorale di formazione dei giovani chiamati al sacerdozio, per farne punta di diamante di un rinnovato stile apostolico, più rispondente alle esigenze dei tempi, e, dall'altro, la promozione di una serie organica e permanente di seminari per operatori sociali e giovani studiosi, che dovranno acquisire gli strumenti di una più aggiornata cultura sociale e politica, capace di farli fermento nella crescita della comunità regionale”.

Nel 1942, non aveva ancora compiuto il suo quarantunesimo compleanno, Francesco viene colpito da una paralisi, che improvvisamente lo priva dell’uso della parola. È la seconda vera tragedia della sua vita dopo il suicidio della madre, ma anche questa volta Francesco si rialza e riprende a vivere. Saranno per lui ventisette anni di “silenzio”, di mutismo assoluto, una condizione di vita che lo riporta allo studio, lo ripiomba nella lettura dei testi sacri, e lo costringe a scrivere di tutto e di più, di più e per tutti, e questo permetterà poi agli studiosi di trovare tra le sue carte, dopo la sua morte, manoscritti e appunti di vita e di lavoro dal valore storico davvero inestimabile. È quasi commovente quello che dice di lui mons. Luigi Renzo: “Malgrado la sua malattia, che lo ha costretto in casa su una sedia per 27 anni, il fuoco della sua anima non ha smesso di ardere in una visione di Chiesa che non guarda al mondo dall’alto di un balcone, ma che sente il bisogno di scendere per strada in spirito di servizio e di carità operosa.


Così Francesco realizzava già a suo tempo quella che Papa Francesco identifica oggi come Chiesa “in uscita” ed “ospedale da campo”, per raggiungere le periferie e toccare “la miseria umana e la carne sofferente degli altri”. Don Mottola, in altri termini, con la sua profonda spiritualità, è una sfida alla nostra “cultura liquida”, caratterizzata dalla ricerca dell’effimero e del contingente, senza riferimenti oggettivi di verità: “Egli, al contrario- sottolinea mons. Luigi Renzo- comunica l’amore per la vita e quindi l’amore per l’uomo.

Il recupero della spiritualità e della interiorità – l’esempio limpido che don Mottola ci ha lasciato con la sua testimonianza – è la via più breve e sicura per uscire dal narcisismo” Sono gli anni in cui don Mottola dà vita ai famosi “cenacoli degli intellettuali”, “iniziativa mirata – ricordava Giuseppe Borgia- e che ha lasciato ampie tracce nella presenza ai vari livelli della società nazionale di personalità formatesi a quell'austera palestra di vita.

Egli soleva dire, infatti, che a nulla valgono gli strumenti puramente materiali rivolti al progresso di una comunità se al centro non vi è l'uomo con tutta la sua carica di formazione morale e spirituale, capace di produrre risultati non effimeri”.

Il 25 dicembre 1968, altra sua grande conquista: Francesco riesce infatti a convincere il vescovo del tempo, monsignor Vincenzo De Chiara, a riconoscere formalmente la “Famiglia degli Oblati del Sacro Cuore”, che aveva praticamente fortemente voluto e fondato, come Istituto Secolare di diritto diocesano. Sei mesi più tardi, il 29 giugno 1969, muore all’età di 68 anni nella sua casa paterna, a Tropea. Il17 dicembre 2007 Papa Benedetto XVI lo dichiara “Venerabile”.

A giudizio della Congregazione delle Cause dei Santi in Vaticano, “I suoi scritti, mentre evidenziano una singolare attenzione agli eventi della Chiesa calabrese, spaziano verso i più vasti temi teologici, ascetici e mistici.

Numerosi articoli, interessanti anche sotto l’aspetto estetico, presentano le realtà fondamentali della fede e i fatti della cronaca, in un costante dialogo con il mondo contemporaneo, manifestando nell’Autore vigore intellettuale, penetrazione psicologica, ponderata dottrina. La sua proposta culturale, essenzialmente cristocentrica, è in grado di delineare il profilo di un vero umanesimo cristiano”. Oggi don Mottola riposa nella navata destra della Concattedrale di Tropea.

40 anni dopo la sua morte, il 2 ottobre 2019, ricevendo in udienza il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Papa Francesco autorizza formalmente la promulgazione del decreto che riconosce come tale il miracolo attribuito all’intercessione di don Francesco Mottola, dando così il via alla sua beatificazione”.

Il miracolo di don Mottola. È il caso di un giovane diacono, oggi sacerdote, guarito da una grave malattia ai reni dopo aver visto in sogno Francesco, e di cui il religioso era particolarmente devoto. Un processo di beatificazione sofferto, lungo, complesso, quanto mai lento, così come Santa Romana Chiesa ci ha ormai abituati da tempo, il nulla osta della Santa Sede per l’avvio della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per l’esercizio delle virtù eroiche, porta infatti la data del 15 ottobre 1981. Il processo diocesano - si legge negli atti ufficiali della Santa Sede- si è svolto invece a Tropea dall’11 febbraio 1982 al 29 giugno 1988; la convalida degli atti processuali è arrivata il 22 giugno 1990.

La sua “Positio super virtutibus”, consegnata nel 1994, è stata esaminata dai Consultori Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi, che il 23 marzo 2007 si sono pronunciati a favore dell’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane da parte sua. I cardinali e i vescovi membri della medesima Congregazione hanno invece emesso il loro parere positivo soltanto il 6 novembre 2007, dopo aver riesaminato con ennesimo scrupolo il miracolo di don Mottola.

Ma non finisce qui. Anche per due figli spirituali di don Mottola, Irma Scrugli e Gino Scalise, è stato avviato il processo di beatificazione, segno tangibile ed evidente del grande valore spirituale del “piccolo” sacerdote di Tropea, che la Chiesa ufficiale riconosce ormai come la «perla del clero calabrese».

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