I RICORDI DI PPN: Trent'anni fa il rilascio di Carlo Celadon

Quasi due anni di prigionia in Aspromonte. 5 miliardi di riscatto, il ragazzo ha subito atroci sofferenze

di Gregorio Corigliano
Domenica 10 Maggio 2020
Cosenza - 10 mag 2020 (Prima Pagina News)

Quasi due anni di prigionia in Aspromonte. 5 miliardi di riscatto, il ragazzo ha subito atroci sofferenze

Esattamente trent’anni fa come oggi, veniva rilasciato Carlo Celadon. Non siamo in molti a ricordare le sue immense disavventure, il suo vero e proprio calvario. Ricordiamo di più Cesare Casella.

Ecco cosa ho scritto allora per il Giornale di Montanelli, su richiesta di Novarro Montanari.

L’ostaggio dimenticato da tutti è stato ritrovato. Lo riproponiamo per non dimenticare. Carlo Celadon era stato rapito il 25 gennaio di due anni fa(1988) ad Arzignano in provincia di Vicenza da quattro banditi che fecero irruzione nella villa del padre, l’industriale Candido Celadon. Tutti mascherati, due armati, legarono ed imbavagliarono tutti i familiari e portarono via Carlo.

All’inizio – si disse qualche tempo dopo- i banditi volevano fare solo una rapina, per il sequestro si decisero proprio al momento della irruzione nella villa. I banditi,poi, fuggirono dal retro dell’abitazione dei Celadon,attraversando duecento metri di parco e poi saltando il muro di cinta. L’allarme riuscì a darlo una vicina di casa dei Celadon, avvisando la polizia.

Immediate le battute delle forze dell’ordine, ma senza alcun esito. Il padre di Carlo ha dovuto attendere, secondo il rituale consolidato, alcune settimane, prima di ricevere la telefonata dei rapitori, con la quale fu chiesto un ingente riscatto, superiore ai cinque miliardi di lire, che nell’estate scorsa furono pagati. Candido Celadon pretese ed ottenne la prova che suo figlio fosse vivo prima di pagare.

E la prova l’ottenne nell’ottobre del 1988 quando nei pressi di Lamezia Terme fu fatta trovare una fotografia di Carlo Celadon, con in mano un giornale.

Qualche giorno dopo il ritrovamento della prova, la famiglia pagò il riscatto: ben cinque miliardi di lire. Un record assoluto. Fu esattamente il 22 ottobre che i fratelli di Carlo, Gianni e Paola( il ragazzo non ha avuto una “madre coraggio” al pari di Cesare Casella, perché sua mamma era morta da tempo) lasciarono su una piazzola dell’autostrada Salerno-Reggio, nei pressi dello svincolo di Pizzo Calabro, due valigie del peso superiore ai 50 kg, con all’interno il prezzo del riscatto concordato. Cinque miliardi in banconote da 100 mila lire.

Dopo qualche minuto, tre banditi sbucati da una siepe vicina, prelevarono il malloppo. Non sapevano, però, di essere seguiti da una pattuglia del reparto carabinieri di Catanzaro. L’inseguimento durò per qualche ora, fino a quando l’auto con a bordo i malviventi si fermò in un ovile.

Fatta irruzione all’interno, i carabinieri arrestarono quattro persone, i fratelli Natale ed Emanuele Calfapietra, proprietari dell’ovile e due latitanti di Africo, Leonardo Marte, 31 anni e Mario Leo Morabito di 34. Marte era ricercato per spaccio di droga a Venezia, Morabito per una rapina ed era latitante perché non era rientrato in carcere, dopo aver avuto un permesso breve. Nella perquisizione fu recuperata parte del riscatto, ma solo 200 milioni. Nel giro fatto con l’auto, i malviventi avevano evidentemente lasciato i miliardi da qualche altra parte.

Accanto all’ovile, una prigione servita certamente per la custodia del ragazzo vicentino, un giaciglio, una catena, un passamontagna, in uno spazio di pochi metri quadrati. Secondo i carabinieri , i proprietari dell’ovile, fungevano da vivandieri, mentre Marte e Morabito, da guardiani. L’amara sorpresa per i Celadon venne qualche giorno dopo.

Il ragazzo non solo non fu rilasciato, ma venne chiesto un ulteriore riscatto di altri cinque miliardi. Una richiesta impossibile disse Candido Celadon ai giornalisti, in lacrime per il trattamento ricevuto e preoccupato per la sorte toccata al figlio. A Gennaio ’89, un’altra prova dell’esistenza in vita del ragazzo: una seconda foto trovata a Montepaone, vicino Catanzaro. La terza prova a settembre. Nel frattempo il rinvio a giudizio dei presunti rapitori, ad iniziativa i Massimo Gerace, giudice istruttore di Vicenza.

Ai quattro si aggiunse Francesco Sagolèo di Africo, nipote di Morabito, considerato una delle persone che ritirò materialmente il riscatto. Rinviato a giudizio anche l’avvocato Polo Pardo, calabrese residente a Treviso, con l’accusa di essersi appropriato di 800 milioni che la famiglia Celadon gli avrebbe dato per condurre a buon fine la trattativa con i carcerieri. Per “ungere le ruote” aveva detto il legale. Furono prosciolti,invece, sia la moglie di Pardo che l’ex campione del mondo di ciclismo, Marino Basso, accusati di aver collaborato con Pardo nel “raggiro” della famiglia Celadon.

Ed il tempo, intanto, per il rilascio del ragazzo si allungava. Il padre non ha mai nascosto la sua disperazione, nonostante gli appelli lanciati attraverso la radio, i telegiornali, i giornali.

I carabinieri non si mossero mai a pietà. Il rilascio di Cesare Casella, a fine gennaio, aveva fatto sperare nel rilascio di Carlo.

Invano. Il padre, così, si decise a chiedere il silenzio stampa, per facilitare la felice conclusione della trattativa. Nel frattempo, per riciclaggio di danaro proveniente dal riscatto sono state arrestate altre persone, tra queste Leonardo Nucera, la moglie Annina Panniti, di Africo; Michele Grillo, operaio forestale, sua moglie Laura Musolino, bloccati mentre tentavano di versare in banca venti milioni della famiglia Celadon; Vincenzo Zappia, trovato in possesso di un milione e mezzo proveniente sempre dal riscatto.

L’ostaggio dimenticato adesso è libero. Ha pagato, la famiglia, un prezzo superiore a quello pagato dagli altri 123 –centoventitrè- sequestrati calabresi, soprattutto in termini di privazioni e di condizioni subumane con le quali è stato trattato.

A facilitare, probabilmente, il rilascio di Carlo è stato l’ennesimo sequestro portato a termine in Calabria, quello di Domenico Palo, rapito a Locri, qualche giorno dopo, probabilmente dalla stessa banda che teneva il ragazzo vicentino, la banda degli africoti.

All’aeroporto di Lamezia, dove l’ho intervistato per la Rai, Carlo non si reggeva letteralmente in piedi e non riusciva a parlare.


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