Le Leggende dell'Alpinismo: Il Ragno delle Dolomiti e il giallo della Patagonia
Nel 1959 Cesare Maestri sale sul Cerro Torre insieme all'austriaco Toni Egger. Uno solo torna a casa portandosi dietro un mistero ancora irrisolto. Sono arrivati veramente in vetta? Una foto scattata a quota 3128 metri potrebbe risolvere l'enigma, ma non è stata mai trovata. "Non è vero che il cielo purifica, che più si è in alto e più si è vicini a Dio, che gli alpinisti siano tutti cavalieri senza macchia. Quella vittoria mi ha disgustato. Odio quella montagna maledetta!".
di Antonio Panei
Mercoledì 05 Aprile 2023
Roma - 05 apr 2023 (Prima Pagina News)
Nel 1959 Cesare Maestri sale sul Cerro Torre insieme all'austriaco Toni Egger. Uno solo torna a casa portandosi dietro un mistero ancora irrisolto. Sono arrivati veramente in vetta? Una foto scattata a quota 3128 metri potrebbe risolvere l'enigma, ma non è stata mai trovata. "Non è vero che il cielo purifica, che più si è in alto e più si è vicini a Dio, che gli alpinisti siano tutti cavalieri senza macchia. Quella vittoria mi ha disgustato. Odio quella montagna maledetta!".
Dopo cento ore di scalata Toni Egger, nel primo pomeriggio del 31 gennaio del 1959, fotografa Cesare Maestri mentre affonda la piccozza imbandierata sulla vetta del Cerro Torre. Poi Egger ripone la macchinetta nello zaino e sotterra in cima una latta con dentro un foglio su cui c'è scritto il suo nome, quello del compagno di cordata e la data. Lassù il tempo cambia ogni cinque minuti ed ora soffia un vento caldo da ovest che scioglie il ghiaccio allentando grosse piastre. I due alpinisti devono iniziare la discesa e devono farlo in fretta, il rischio slavine è massimo.


"Per scendere - scrive Cesare Maestri - adottiamo il sistema che si usa nei salvataggi: uno di noi si lega ai capi della corda doppia e l’altro lo cala di peso, passando la corda fra due moschettoni frenanti. Dobbiamo fare così altrimenti le corde verrebbero portate via dalla forza del vento". La prima notte la passano in un dormiveglia assordante, tra il boato di continue valanghe e il rumore delle raffiche di vento. La seconda, dopo una serie di sesti gradi superiori, li attende sul bordo di un piccolo nevaio pensile. Ma a Egger quel luogo non convince. Scende di qualche metro in perlustrazione per cercare un posto più comodo e sicuro per il bivacco notturno. Ad un certo punto un rombo terrificante.


Maestri si appiattisce sulla parete. L'austriaco non fa in tempo. Una valanga si è staccata dall'alto e lo travolge. La corda si tende, si allenta, si spezza e lui sparisce in un burrone. Sparisce con lui anche la macchina fotografica contenente le prove, le immagini, dell'impresa. Maestri il giorno dopo riesce ad arrivare giù in stato confusionale, esausto, con una gamba rotta per una caduta. Si accascia, privo di sensi, sulla neve morbida del fondo. L'italo-argentino Cesarino Fava, l'altro componente della spedizione che è rimasto al campo III, gli presta i primi soccorsi. Il 12 febbraio Maestri con un cablogramma inviato al Club Alpino di Milano, dà la notizia: "Vinto Torre. Addolorato, comunico morte amico Toni".


La Stampa titola: "Egger travolto da una valanga dopo aver espugnato con Maestri una delle pareti più spaventose del mondo". Per la leggendaria guida di Chamonix, Lionel Terray, si tratta della "più grande impresa alpinistica di tutti i tempi". Il Cerro non è altissimo ma è perennemente ricoperto di ghiaccio, con cornici giganti strapiombanti, esposto ai fortissimi venti che provengono dall'Atlantico, dal Pacifico e che vanno a scontrarsi sui suoi fianchi. Negli anni cinquanta è una montagna inespugnabile con le attrezzature dell'epoca. Per questo Cesare Maestri non viene creduto da tutti. La scalata è considerata impossibile. Persino Walter Bonatti e Carlo Mauri, qualche mese prima, hanno fallito.


Passa qualche anno e la relazione tecnica del "Ragno delle Dolomiti" viene messa ufficialmente in dubbio. Alcuni alpinisti, negli anni settanta, salendo la stessa parete, dichiarano che le tracce della scalata della cordata Maestri-Egger si fermano diverse decine di metri sotto la cima; della latta con i nomi dei presunti vincitori del '59 non c'é traccia. Non un chiodo, non un moschettone o un cuneo di legno oltre i trecento metri di dislivello. La soluzione dell'enigma è racchiusa nella foto di vetta. Quel rullino, però, non è stato trovato nemmeno vicino ai resti del corpo di Toni Egger. Il giallo della Patagonia rimane ancora vivo 64 anni dopo.


Cesare Maestri, nel 2021, si è portato la verità nella tomba. Ex partigiano comunista, figlio di attori, allievo dell'Accademia d'Arte Drammatica di Roma, maestro di sci bocciato sei volte all'esame di maestro, escluso dal K2 da Ardito Desio per un'ulcera inesistente, tremila salite in parete in solitaria, rivale di Bonatti, appassionato di automobilismo e di vela, lui che per la Domenica Sportiva entrò in casa scalando il muro del palazzo fino al terzo piano, il trentino con la faccia da play boy, non aveva certo bisogno del Cerro Torre per essere considerato un mito: "Non vorrei essere mai andato in Patagonia. Ho perso un amico, un compagno di cordata. Poi qualcuno ha anche cercato di farmi perdere l'onore! Avevo 30 anni, Toni ne aveva 33. Non è vero che il cielo purifica, che più si è in alto e più si è vicini a Dio, che gli alpinisti siano tutti cavalieri senza macchia. Quella vittoria mi ha disgustato. Tutto quello che è venuto dopo mi ha disgustato. Sono Cesare Maestri anche senza il Cerro, odio quella montagna maledetta!".

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