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Nel suo editoriale sul quotidiano Il Tempo di oggi, Luigi Tivelli critica duramente l’evoluzione del Movimento 5 Stelle: tra bonus ai benestanti, retorica assistenzialista e derive populiste. Una sinfonia stonata, tra illusioni sociali e strategie fallimentari.
Nel suo editoriale sul quotidiano Il Tempo di oggi, Luigi Tivelli critica duramente l’evoluzione del Movimento 5 Stelle: tra bonus ai benestanti, retorica assistenzialista e derive populiste. Una sinfonia stonata, tra illusioni sociali e strategie fallimentari.
“Ricchi e poveri” non è solo un famoso gruppo musicale, ma diventa la metafora perfetta con cui Luigi Tivelli descrive il Movimento 5 Stelle nell’editoriale pubblicato oggi su Il Tempo.
Un'analisi spietata e lucida, che affonda il bisturi nelle contraddizioni interne del M5S sotto la guida di Giuseppe Conte, erede di una stagione populista che – secondo Tivelli – ha perso tanto in credibilità quanto in coerenza.
Nel mirino del politologo e editorialista ci sono due volti simbolici del Movimento: Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Il primo, ex premier auto-incensato, oggi leader di un partito che – sottolinea Tivelli – ha saputo elargire bonus e super-incentivi (come il 110%) a una fetta di popolazione privilegiata, senza però rinunciare a corteggiare quella parte di elettorato più fragile, alimentando illusioni assistenzialiste come il Reddito di cittadinanza.
Una dicotomia che per Tivelli si traduce in un populismo contraddittorio: "favori ai ricchi, rendite ai poveri", una politica "per i ricchi e per i poveri", che nulla ha a che vedere con l’equità e la giustizia sociale.
L’attacco a Di Maio è ancora più tagliente.
Tivelli ricorda come l’ex leader grillino, partito come steward allo stadio, sia riuscito con furbizia ad “ottimizzare” il suo ruolo di vicepresidente della Camera – circondato da consulenti esperti – e a guadagnare visibilità fino a proclamarsi “l’abolitore della povertà” dal balcone di Palazzo Chigi. Ma a quale prezzo?
Con ironia, Tivelli evoca quel momento come un déjà-vu tragico-comico della storia italiana, citando toni "tronfi" degni di ben altre piazze.
Non manca il ricordo delle uscite più clamorose di Di Maio: dalla richiesta di impeachment per Mattarella, al sostegno ai gilet gialli contro Macron, passando per gli assalti istituzionali alla Camera durante la legislatura 2013-2018, tra cori sessisti e atti intimidatori, dimenticati troppo in fretta da una politica prigioniera dell’“oggicrazia”.
Ma nel pentagramma stonato dei 5 Stelle – spiega Tivelli – compare anche un nome del PD: Goffredo Bettini, definito “grande stratega” del fallimentare esperimento giallo-rosso. Un uomo politico che ha contribuito a legittimare i grillini nelle stanze del potere, salvo poi ritirarsi “sotto la tenda al centro della vita politica italiana”.
Il verdetto finale?
Secondo Tivelli, i 5 Stelle si sono trasformati in una macchina narrativa fondata su slogan e assistenzialismo, incapace di restituire al Paese una vera visione fondata sul lavoro, come recita l’articolo 1 della Costituzione. E mentre la sinfonia continua a suonare – stonata – sullo sfondo internazionale, ci resta l’ironia amara con cui chiude l’articolo: “Per fortuna possiamo stare tranquilli: i destini del Golfo Persico sono in mano a Luigi Di Maio…”