Pino Nano, il “Miracolo” di Natuzza, Ruggero Pegna: “Ho vinto il cancro solo grazie grazie a lei” - NONA PUNTATA

In questa intervista il famoso promoter calabrese racconta il giorno in cui i medici gli diedero solo qualche settimana di vita, per via di una gravissima forma di leucemia. Allora lui andò a trovare Natuzza Evolo.

di Pino Nano
Giovedì 09 Aprile 2020
Roma - 09 apr 2020 (Prima Pagina News)

In questa intervista il famoso promoter calabrese racconta il giorno in cui i medici gli diedero solo qualche settimana di vita, per via di una gravissima forma di leucemia. Allora lui andò a trovare Natuzza Evolo.

“Conoscevo Natuzza da bambino, grazie a mio padre, molto credente. Per lui, Paravati era una sorta di gita della domenica. Entravamo al piano terra della Sua casa, piena di gente, e stavamo in preghiera nella cappella con la “Sua” Madonnina.

Per me, era quasi un gioco, per la mia famiglia era un riferimento, un’amica speciale, un medico soprannaturale a cui chiedere consigli, soprattutto in caso di malattie. Così, quando a dieci anni mi fu diagnosticata un’infiammazione dell’appendice, con necessità di intervento chirurgico, io stesso chiesi di andare da Lei per chiedere e ottenere il mio “miracolo”.

“Signora Natuzza – le dissi – non voglio operarmi, ho paura!”. Temevo perfino le punture, figuriamoci l’operazione! Lei mi guardò e cerco di convincermi che si trattava di un intervento banale. “E’ come un dente, non ti preoccupare, non è niente!”.

Alle mie lacrime, mi toccò l’addome e mi sorrise: “Digli al medico che è una colite molto forte, non c’è bisogno dell’operazione!”.

Da quel momento, per me, fu subito Santa!” La storia privata e personale di Ruggero Pegna è strettamente legata alla storia di Natuzza Evolo.

Ruggero è un giovane promoter calabrese che da anni porta sui palcoscenici della Calabria il fior fiore della grande musica italiana. Uomo di successo e protagonista di grandi eventi, dovunque e comunque, ospite abituale di mille programmi televisivi e di mille incontri importanti.

Eppure, nonostante questa sua vita apparente da vip, ad un centro punto della sua vita incontra Natuzza e le chiede aiuto. Non deve essere stato facile per uno come lui, apparentemente disilluso, cattolico non praticante ma per via di un lavoro sempre on the road, credere o immaginare che una povera donna come Natuzza Evolo potesse un giorno in qualche modo aiutarlo a guarire da un male incurabile.

-Ruggero, vogliamo partire daccapo per favore?

“Sono tanti gli episodi che mi legano a Natuzza Evolo e a Paravati, in momenti difficili della mia vita, ma uno è, sicuramente, il più prodigioso”. -Quando è successo? “Era esattamente il 4 ottobre 2002. Dopo un’estate di lavoro intenso, con decine di eventi organizzati tra cui lo show per Rai Uno del 25 settembre al Porto di Gioia Tauro, accusai forti dolori all’appendice”.

-Il giorno dopo lei si sarebbe poi sposato?

“Si esatto. Era il giorno precedente a quello fissato per le mie nozze, per cui mi preoccupai e chiamai il mio medico”

-Come finì?

“In principio, si pensò a nulla di grave. Poi quando mi fecero un emocromo, purtroppo, la diagnosi fu completamente diversa. Venni trasferito immediatamente al reparto di ematologia dell’ospedale di Catanzaro, e l’esame del midollo confermò che avevo una leucemia mieloide acuta indifferenziata”.

-Cosa le dissero i medici?

“Fu terribile. A sentire il primario, il mio era un caso senza speranze di sopravvivenza. Mi ricoverarono immediatamente per le prime cure del caso”.

-Matrimonio saltato, o semplicemente rinviato?

“Assolutamente no. Mia moglie desiderò, comunque, che ci sposassimo per come avevamo previsto. Anziché sposarci in chiesa ci sposammo invece nella cappella che stava al quarto piano dell’ospedale dove ero stato ricoverato”.

-Che ricordi ha di quel giorno?

“Guardi fu un’emozione davvero incontenibile per me, che finalmente sposavo la donna della mia vita, il grande amore della mia vita. Il brutto venne immediatamente dopo. Subito dopo la cerimonia nuziale, iniziai e intrapresi il cammino che è comune a tutti gli ammalati di leucemia, tra chemio, flebo, antibiotici, trasfusioni, controlli e terapie di ogni tipo. Davvero di tutto e di più”

-Dopo una diagnosi infausta come la sua, ha mai perso la fiducia o la speranza?

“Che vuole che le dica? Mi avevano detto chiaramente che non ce l’avrei fatta. E comunque dal primo momento, ricordo, ho incominciato a pregare e ad invocare la presenza di Natuzza vicino al mio letto d’ospedale. Avvertivo in quei giorni e in quei momenti di buio totale che Natuzza mi avrebbe aiutato, se non altro, mi avrebbe ridato una luce di speranza”.

-È vero che lei la chiamò al telefono?

“No, andò per la verità in un altro modo. Una mia amica andò subito a trovarla, nella sua casa di Paravati. Le disse che io avevo bisogno di parlare con lei, che ero grave in ospedale ma che speravo di sentirla, e Natuzza le rispose “Chiamalo ora, e se lui è in grado di parlare passamelo al telefono”.

-Si ricorda quel colloquio, Ruggero?

“Come potrei dimenticarlo? “Non ti disperare – mi disse Natuzza dall’altra parte del filo - i medici ti dicono quello che è vero, ma se tu combatti e accetti le sofferenze, vedrai che ce la farai!”.

-E tutto questo bastò a farla guarire?

“No, assolutamente no. Ma quella telefonata con Natuzza fu però per me un’iniezione di coraggio. Ritrovai la forza e la speranza per sopportare le cure che mi facevano. Mi ha aiutato a lottare, e a superare le mille difficoltà di quelle settimane. Dio mio, quante complicazioni! Natuzza mi mandò perfino un suo Rosario in ospedale, che tenevo sempre tra le mani o sotto il cuscino. Ora è sul mio comodino, regalo prezioso!”.

-Dopo quella telefonata cosa successe?

“Cominciò la mia battaglia più difficile per la vita. Mi sottoposero alla prima intensissima chemioterapia. Dieci giorni di inferno e, tra le lacrime del primario che non credeva ai suoi occhi, la prima remissione completa. Poi, secondo e terzo ciclo di chemio. Non lo auguro a nessuno. Non può capire. Furono mesi di durissima degenza, mi misero in una camera sterile. Ricordo che rischiai di morire diverse volte in quella fase per sopraggiunte complicazioni virali, cardiache, respiratorie. Una notte, le mie condizioni peggiorarono. Stavo molto male. I medici mi avevano applicato la maschera dell’ossigeno e, a mia insaputa, avevano avvisato mia moglie Monica delle gravissime condizioni. Non si riusciva a bloccare un’infezione che mi stava producendo ulcera sulla pelle e stava ledendo polmoni e altri organi. Una notte, mentre sentivo che anche il respiro mi veniva a mancare, mi levai la maschera, mi alzai, e mi andai a prendere il Crocefisso che era Appeso al muro”.

-Aveva perso ogni speranza ormai?

“Sentivo che stavo per andarmene. Forse ero alla fine. Mi misi a pregare, chiamando forte Natuzza, e improvvisamente, senza neanche accorgermene, mi addormentai. Mi risvegliai al mattino presto con la certezza di essere stato abbracciato per tutta la notte a Lei e a Papa Giovanni Paolo II”

-E poi?

“In tarda mattinata tornarono da me i medici, e dopo un ultimo tentativo di broncoscopia, finalmente hanno individuato il virus che mi aveva colpito, e nei giorni successivi superai anche questa fase difficilissima”

-Vogliamo tornare a Natuzza?

“Finiti i vari cicli di chemioterapia, chiesi di vederla, mi feci portare da lei, a Paravati. Non fu cosa facile. Allora avevo ancora grandi difficoltà nel camminare e, persino, nello stare in piedi. Duipendevo dagli altri in maniera totale”.

-E Natuzza cosa le disse?

“Natuzza mi accolse sorridente. Mi prese le mani tra le sue e mi disse: “Il tuo Angelo custode mi dice che sei nelle mani di ottimi medici. Segui le loro indicazioni. Io prego per te, ma tu combatti e prega anche tu. Chiedi quello che vuoi, nella vita bisogna chiedere per ottenere!”. Non mi bastò, però. Ricordo che lasciai la casa di Natuzza con enorme tristezza e soprattutto con dentro un grande senso di scetticismo. In quei mesi avevo avvertito il respiro pesante della morte”.

-Lei poi tornò in Ospedale?

“Era obbligato per me tornare in Ospedale. L’ospedale era diventata la mia vita e la mia vera casa. Così, terapia dopo terapia, ad un certo punto i medici mi dissero che era arrivato il momento di dovermi sottoporre ad un trapianto di midollo osseo, e non era una cosa semplice”.

-Lo fece subito?

“Non subito. Ma già la notizia di dovermi sottoporre al trapianto mi sconvolse. L’idea di un trapianto mi faceva terribilmente paura. È in quel momento che decisi di riparlare di nuovo con Natuzza. Se Lei mi avesse detto che il trapianto non sarebbe stato necessario, non lo avrei mai fatto. Avevo deciso di ascoltare lei e solo lei, non più i medici”

-Ruggero, che cosa fece a quel punto? Tornò a Paravati?

“Dovevo per forza di cose tornare da lei, a casa sua. Così feci. Ma il giorno in cui andai a trovarla Natuzza stava male. Ricordo che le portarono nella sua stanza un bigliettino su cui io avevo scritto per lei delle domande. Era da lei che volevo una risposta ai miei dubbi e alle mie incertezze”

-E Natuzza le rispose mai?

“Lo fece subito, quel giorno stesso. Un miracolo, mi creda. Dettò la sua risposta al prete. Che io lessi subito. Mi aveva risposto in questo modo: “Segui scrupolosamente quanto dicono i medici, altrimenti muori”.

-Si ritenne soddisfatto di quella risposta?

“Non mi lasciava alternative Natuzza, in quella frase che aveva dettato. Stavo per riprendere le mie cose ma al sacerdote che mi aveva accompagnato da lei Natuzza chiese di potermi salutare. Voleva vedermi. Provarono ad evitare che lei si stancasse, ma lei fu irriducibile. Ricordo che appena salii nella stanzetta in cui lei riceveva persone che arrivavano in Calabria da ogni parte del mondo, mi accolse con un abbraccio. Mi lasciò di stucco. Mi disse: “L’Angelo mi sta dicendo che mi chiami in continuazione. Non ti preoccupare, io sono in ospedale con te! Però segui i consigli dei medici. Fai il trapianto. Vai tranquillo a Genova, lì per i trapianti sono bravissimi!”. Le sue parole mi fecero venire la pelle d’oca”.

-Perché?

“Perché era vero quello che mi aveva appena detto. Era proprio che io la invocavo in continuazione”.

-Andò a Genova come Natuzza le aveva suggerito di fare?

“Immediatamente, nel giro di pochi giorni. Finii al San Martino di Genova ma, dal controllo che i medici fecero alla banca internazionale del midollo, risultò che non c’erano donatori con me compatibili”.

-Che cosa fece a questo punto?

“Stanco e amareggiato, tornai in Calabria, e tornai a Paravati da Natuzza. Sentivo che dovevo informarla di ogni cosa, anche dei dettagli più inutili della mia vita”.

-La incontrò di nuovo allora?

“Certo. Natuzza quel giorno mi guardò amorevolmente, mi trattò con una dolcezza fuori dal comune, forse più di quanto non avesse fatto nei nostri incontri precedenti, e mi rispose ancora una volta sorridente: “Torna subito a Genova. Stai tranquillo, che c’è la donatrice per te…Vedrai, una ragazza americana ti darà il suo midollo. Non avere paura, fai questo trapianto, e guarirai!”.

-Lei cosa fece a quel punto?

“La cosa più naturale del mondo. Scoppiai a piangere, a dirotto. Non sapevo cosa aggiungere o cosa dirle di più, e prima di andare via, mi inginocchiai e ricordo che le baciai le mani, mani “ferite”, macchiate di sangue, e la ringraziai così, piangendo e in silenzio”

-E Natuzza?

Mi volle abbracciare e poi mi disse ancora “Devi ringraziare Dio, non me. E’ lui che vuole questo, io non so niente, non capisco niente! Quello che dico me lo suggerisce l’Angelo che è vicino a te. Ringrazia Dio, Ruggero, e prega!”. Mi disse proprio così”.

-Lei tornò a Genova come le aveva chiesto Natuzza?

“Lo feci qualche giorno dopo. Ripartii per Genova, e qui a Genova, tra lo scetticismo di tutti, a cominciare dai medici naturalmente, arrivò la notizia che nessuno ormai pensava arrivasse mai: una ragazza di ventiquattro anni, americana, si era appena iscritta al registro mondiale dei donatori ed era assolutamente compatibile con me. E una mattina, come d’incanto, in ospedale, nella mia stanza si materializzò improvvisamente la mia donatrice, questa ragazza americana di cui Natuzza mi aveva parlato mesi prima e di cui nessuno al mondo sapeva prima di allora nulla”.

-Fece quindi il trapianto? Andò tutto bene?

“Era il 16 luglio 2003 quando mi portarono in sala operatoria per il trapianto. Un miracolo d’amore si era compiuto. Tornavo così alla mia vita, si è vero con un pò di segni evidenti sulla pelle, e dentro il cuore nuovi amici e tante piccole storie condivise in corsia”

-E dopo?

“Il dopo fu il ritorno alla vita normale. E poi devo dirle anche che molti dei sogni che facevo di notte durante le terapie estenuanti a cui venivo sottoposto, si sono avverati davvero. Sono stato davvero dietro al palco di Elton John e di Mark Knopfler. E dietro tanti altri palchi ancora...".

-È vero che per ringraziare Natuzza del dono ricevuto ha portato la grande musica davanti alla sua casa?

“Non potevo non farlo. Al rientro dal trapianto, ho voluto mettere in piedi una grande manifestazione in suo onore, l’ho chiamata “La Notte degli Angeli”, proprio sulla spianata antistante la grande Basilica, un vero megashow con orchestra e celebri artisti che è stato poi trasmesso in tutto il mondo da Rai International”.

-È vero che il giorno in cui Natuzza è morta lei ha affidato al mondo dei social un biglietto che grazie alla rete ha poi fatto il giro del mondo?

“Se ha tempo e spazio glielo leggo: “Cara Natuzza, mi viene difficile continuare a darle del Lei. Con i propri angeli si fa confidenza, si parla di tutto e ci si dà del tu. Sono quelli che sanno ogni cosa di te. Si trasformano in un raggio di sole se le nuvole coprono il tuo cielo. Sono dentro i tuoi pensieri quando sei confuso o triste, al tuo fianco quando ne hai bisogno. Ti volano intorno. Dei propri angeli ci si approfitta, desiderandoli sempre vicino, come se appartenessero soltanto a noi, ma un angelo è di tanti, di ognuno che nelle sofferenze e nel dolore ne ha bisogno. Conoscerti è stato un privilegio, sin da bambino. Mi hai protetto il cammino e sostenuto quando solo un angelo poteva riuscirci. Ora piango, ma so che da oggi mi sarai ancora più vicino. Da lassù, ti sarà anche più facile dare un sorriso a chi te lo chiederà da ogni parte dell’universo. Ciao Natuzza e grazie, per aver pregato anche per me, per avermi consentito di baciare le Tue mani, per essere stata un angelo della mia vita. Grazie, per i tuoi tanti miracoli d’amore, compresi quelli che hai regalato anche a me.”.

-Come crede che andrà a finire il processo di beatificazione già avviato da tempo in Vaticano?

“Francamente mi interessa molto poco, perché comunque andrà a finire, per me, Natuzza è già Santa da molto prima.

Lo era già Santa, per me, Natuzza, quando in ospedale veniva a trovarmi, e io avvertivo che lei c’era.

Lei non mi ha mai lasciato da solo, e mi creda, è una sensazione, o meglio è una certezza che non mi ha mai più abbandonato per il resto della mia vita”. (PUNTATA 9-Segue)


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