Pubblico e privato tra burocrazia, ignoranza e malafede

Come complicare inutilmente la vita.

di Giorgio Riondino
Sabato 27 Giugno 2020
Roma - 27 giu 2020 (Prima Pagina News)

Come complicare inutilmente la vita.

Quando l'Ordine dei Giornalisti informò tutti gli iscritti che dovevamo obbligatoriamente possedere una casella PEC, posta elettronica certificata,provai un senso di ribellione perché mal sopporto le imposizioni di cui non comprendo l'utilità.

Mi rimproverai in silenzio, mi informai in merito e credetti di comprendere che in questo modo i miei rapporti epistolari (e non solo) con tutti gli uffici pubblici e privati sarebbero stati enormemente semplificati: bastava servirsi della PEC e non sarebbero più state necessarie infinite operazioni di identificazione , in entrata ed in uscita; avrei anche potuto evitare le lunghe code agli uffici postali per ricevere o inviare una raccomandata: il computer avrebbe permesso, attraverso la PEC, di compiere una infinità di operazioni senza uscire di casa e senza alcuna attesa.

Credevo di aver capito, ma ero solo all'inizio di un percorso che ogni giorno si rivela pieno di trabocchetti, tutti a danno del povero utente.

Ho ben presto scoperto che gli unici messaggi che arrivano, oltre quelli dell'Ordine,sono quelli dell'Agenzia delle Entrate, sempre funesti e forieri di notizie di obblighi di pagamento, mai che ti annuncino che, per puro errore, hai versato un euro di tasse in più o che sia stato riconosciuto un credito di imposta a tuo favore.

La filosofia sottostante è "non mi sfuggi più": hai una PEC ed io ti colpisco, anche se poi ti indico dove devi recarti per far valere tue eventuali ragioni o quali procedure di sopravvivenza ti restano. Arriva un'ingiunzione di pagamento iscritta a ruolo per conto del Dipartimento risorse economiche e contravvenzioni (interessante questa doppia denominazione!) di Roma Capitale: contravvenzione al Codice della strada, maggiorazione, recupero spese procedurali e notifica...totale euro 229,68.

Tra i diversi modi di richiedere spiegazioni al Dipartimento un indirizzo di posta certificata. Scrivo, questa volta fiero della mia PEC, chiedendo di aver copia della documentazione relativa alla presunta infrazione e noto poco dopo, con soddisfazione, la comunicazione automatica di ricevuta. Passano pochi giorni e mi perviene non la documentazione, ma una richiesta di integrazione documentale: copia leggibile fronte/retro di un documento di identità,recapiti telefonici.

Rispondo che non capisco il motivo della richiesta: se il mio indirizzo PEC è valido per ricevere le notifiche, perchè non ha valore nella risposta, quando chiedo spiegazioni? In ogni modo indico i miei recapiti telefonici , dichiaro di non essere capace di inserire foto del documento, ma indico tutti gli estremi della carta di identità rilasciata dall' enfatico comune di Roma Capitale e quindi già in possesso dell'Amministrazione richiedente. Nessuna telefonata di risposta. Altra PEC il cui "succo"è: per proteggerti dobbiamo avere certezza della tua identità: o ci mandi copia del documento o nulla da fare.

Studio il computer, perdo tempo, ma riesco a fare ed inviare la copia richiesta. Per farla breve, una volta arrivata la documentazione scopro, tra le altre irregolarità, che la contravvenzione era stata notificata al mio vecchio indirizzo di residenza e non a quello dove sono ormai da un paio di anni:un cambio immediatamente e regolarmente certificato dal Comune stesso.

Tramite PEC documento all'Amministrazione le mie ragioni e chiedo ( e successivamente solleciterò) di revocare l'atto per "autotutela" visto che gli errori sono stati commessi dal Comune.

PEC regolarmente recapitate, risposte zero. So che alla fine dovrò scegliere tra pagare l'obolo al Dipartimento che incrementa le risorse economiche con le contravvenzioni o fare causa ai dirigenti responsabili, strada quanto mai lunga e costosa. Vorrei però che qualcuno mi spiegasse perché la mia PEC è valida in entrata (nessuno mi invia copia del documento del responsabile del procedimento) e non in uscita.

Questo col pubblico: burocrazia? ignoranza? Peggio ancora con il privato o dall' intreccio tra pubblico e privato. Malgrado vari solleciti ai miei "advisors" bancari, gli estratti conto non mi arrivano al nuovo domicilio ma al vecchio. Telefonate , discussioni, perdite di tempo: la banca, per effettuare il cambio vuole copia di un documento che riporti il nuovo indirizzo.

Il Comune di Roma Capitale (pomposo) non riporta più sulla carta di identità il cambio di domicilio ( e vorrei sapere perché: troppa fatica per l'impiegato addetto?). Il passaporto non fornisce indicazioni, idem la patente di guida. Il porto d'armi è completo nei dettagli ma non è riconosciuto come documento valido, al pari della tessera dell'Ordine. Le informazioni inviate tramite PEC sono irrilevanti.

Si può presentare agli advisors un documento accompagnato da un certificato di residenza, che in questi tempi di coronavirus è rilasciato... immediatamente. E poi per quale motivo dovrei perdere tempo perché il Comune non effettua trascrizioni, la banca ( sempre pronta a ricevere e gestire i nostri soldi ) non si fida dei clienti e ancor di più evidentemente diffida dei suoi dipendenti che pur conoscono i correntisti.

Non riesco più a capire se si tratti di burocrazia, di ignoranza o di malafede, nel pubblico e nel privato, senza che nessuno intervenga a correggere le storture. So per certo che la PEC non ha alcuna utilità, solo svantaggi : chiederò all'Ordine di iniziare una campagna contro l'obbligo di possederne una.


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