Silvia Romano e Carlo Celadon: analisi e raffronto tra i due sequestri

Fischiettante e sorridente Silvia al momento del rientro in Italia, piegato in due con trenta chili di meno Carlo,che non si reggeva in piedi.

di Gregorio Corigliano
Venerdì 15 Maggio 2020
Cosenza - 15 mag 2020 (Prima Pagina News)

Fischiettante e sorridente Silvia al momento del rientro in Italia, piegato in due con trenta chili di meno Carlo,che non si reggeva in piedi.

Silvia Romano e Carlo Celadon: analisi e raffronto tra i due sequestri
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Silvia e Carlo. Carlo e Silvia. Oggi Silvia Romano, trent’anni fa Carlo Celadon. Tutti e due prigionieri per più di cinquecento giorni. Silvia in Africa- Kenia o Somalia che sia- Carlo, in Aspromonte.

E’ possibile un raffronto? Certo che sì, almeno ci provo. Di un rilascio, quello di Celadon, sono stato testimone diretto, qualche ora dopo. Della Romano, testimone indiretto, attraverso tv e radio, come la gran parte degli italiani. Il raffronto.

Per rispetto della ragazza, comincio da lei. All’arrivo, all’aeroporto di Ciampino, già sulla scaletta dell’aereo, Silvia Romano è apparsa felice e sorridente, come se avesse trascorso cinquecento giorni in vacanza, in un posto esotico, alle Seychelles o alle Maldive. Carlo, quando, accompagnato dall’illustre ex capo dei Naps, Ennio Gaudio, concittadino di Palmi, all’aeroporto di Lamezia, era provato.

Provato? No, era una “larva” ( e mi scuso), non si reggeva in piedi. Dovevano tenerlo per le braccia, padre e sorella. Che, mi pare, avessero raggiunto anche la località aspromontana dove è stato trovato, dopo che aveva girovagato piegato in due e camminando carponi. Silvia, sembra di vederla, appena scesa dalle scalette dell’aereo, correre verso i genitori e la sorella.

La cosa che ha colpito tutti, l’abbigliamento. Eh?, ci siamo detti. Sarà un vestito alla bisogna, recuperato al momento della partenza da Mogadiscio(?), poi se lo toglierà e tornerà agli abiti di ragazza italiana venticinquenne. No! L’abito non era un caso, ma una scelta che, non sappiamo da quanto tempo aveva fatto, per aver deciso di diventare musulmana, con una esse( è più corretto, Francesco Merlo!) E di cambiarsi il nome in Aishaa.

Come e perché lo abbia deciso non appartiene a noi, ma solo ed esclusivamente a lei. Carlo Celadon, invece. Carlo Celadon, ragazzo più che ventenne, al momento del sequestro ad Arzignano, in provincia di Vicenza, e quindi con tutta la gioventù e la forza possibili in un ragazzo di quella età, dopo 500 giorni, pesava venti-trenta chili di meno.

Dalla scaletta è sceso con una camiciola ed un pantalone che qualcuno, un sequestratore, forse, gli aveva recuperato. Certo non freschi di bucato e non di lusso. Il lusso che la famiglia di Carlo gli avrebbe pur consentito, per essere molto benestante. Altrimenti perché il sequestro? Silvia Romano, con sorrisi a trentadue denti ha abbracciato chiunque le si sia avvicinato, prima papà,mamma e sorella.

Un paragone? Anche Cesare Casella, che pure era stato prigioniero, forse, in Aspromonte era, più o meno fischiettante, quando dopo un duro alterco con le forze dell’ordine che ubbidivano agli ordini del magistrato, sono riuscito ad intervistarlo sull’aereo che lo avrebbe portato a Pavia, da sua mamma che tante sofferenze, lei sì, aveva patito per ottenere la liberazione del figlio. Non c’è che da essere soddisfatti per il rilascio di Silvia, ci mancherebbe altro. Da qui agli osanna sperticati, però…. La famiglia Celadon aveva pagato un riscatto di ben cinque miliardi di lire, eravamo nel 1988, tutti di tasca propria, frutto del lavoro del padre Candido.

E giustamente ne aveva ben donde ad essere contenta. Non ci sperava, dopo 500 giorni di prigionia in Aspromonte, prigionia vera ed autentica, in una buca. Silvia Romano, è stata più che fortunata. E’ tornata allegra, fischiettante con un altro nome, con un bel vestito, senza aver sborsato una lira, in questo caso, un euro. Così pare. I soldi del riscatto consegnati ai criminali di Al-Shabaab, li avrebbe pagati lo Stato. Come altre volte è avvenuto, anche per qualche sequestro.

Non sono d’accordo, ovviamente, con quanti hanno gridato contro Silvia, anche in maniera vergognosa. Non sono d’accordo, neanche con quanti Le vorrebbero fare un monumento. Avrebbero potuto, perché no?, farla arrivare a Roma, senza squilli di tromba. Come senza squilli di tromba o di un semplice piffero, è stato accolto Carlo Celadon al suo rientro a Vicenza.

Un trattamento, anche mediatico, diverso. Si dirà, lei era andata a fare la cooperante coi bambini del Kenia, Carlo, invece, senza colpa alcuna, ha pagato, anche e soprattutto in termini di sofferenza incredibile, per essere figlio di un benestante.

Ecco perché c’è differenza tra i due “rapimenti”! Se, per Silvia Romano, ci fosse stato il silenzio pressocchè totale, al momento del rientro in Italia, non ci sarebbero state tutte le prese di posizione, quasi, tutte ingiustificate, contro di lei.

Come non si è parlato, trent’anni fa di Carlo che avrebbe avuto diritto, ripeto diritto, ad osanna affettuosi per essere riuscito a resistere alle violenze fisiche e psicologiche, che abbiamo visto –queste sì- al momento del rilascio.

L’immagine di Carlo che ho impressa nella mia memoria è quando il ragazzo dimenticato mi è caduto davanti perché non si reggeva in piedi.


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