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Un rientro dopo la partita di basket Real Sebastiani Rieti-Pistoia si è trasformato in un incubo: un gruppo di aggressori ha assalito un pullman di tifosi pistoiesi, causando la morte di un uomo. La follia del tifo violento torna a macchiare il mondo dello sport.
Un rientro dopo la partita di basket Real Sebastiani Rieti-Pistoia si è trasformato in un incubo: un gruppo di aggressori ha assalito un pullman di tifosi pistoiesi, causando la morte di un uomo. La follia del tifo violento torna a macchiare il mondo dello sport.
Un viaggio di ritorno dopo una giornata di sport si è trasformato in tragedia. Nella tarda serata di ieri, un pullman con a bordo tifosi pistoiesi è stato vittima di un agguato lungo la superstrada Rieti-Terni, all'altezza di Contigliano. Un gruppo di persone, nascoste ai margini della carreggiata, ha colpito il mezzo con pietre e oggetti contundenti, sfondando il parabrezza e causando la morte di un uomo seduto accanto al conducente.
Una scena di violenza inaudita, che riporta lo sport italiano in uno dei suoi incubi peggiori: quello dell’odio travestito da passione. Chi ha agito lo ha fatto con la freddezza e la vigliaccheria di chi sceglie l’oscurità per colpire, trasformando una semplice trasferta in una trappola mortale.
Le forze dell’ordine hanno avviato immediatamente le indagini per ricostruire la dinamica dell’assalto e identificare i responsabili. L’ipotesi più accreditata è quella di un attacco premeditato, forse legato a rivalità sportive. Ma al di là delle motivazioni, resta la brutalità di un gesto che cancella in un attimo il significato più autentico dello sport: il rispetto.
La notizia ha gettato nello sconforto l’intera città di Pistoia e il mondo sportivo nazionale. Squadre, tifosi e cittadini si sono uniti nel cordoglio, chiedendo che non si parli più solo di “episodi isolati”, ma di una vera emergenza da affrontare con decisione.
Ogni volta che un fatto del genere accade, si riapre la stessa ferita: la violenza che nasce nei margini del tifo, dove la passione perde il controllo e si trasforma in odio cieco. Ed è proprio qui che serve un cambio di rotta, culturale e morale, prima ancora che legislativo.
Lo sport dovrebbe unire, non dividere. Dovrebbe insegnare il valore della competizione leale, del rispetto dell’avversario, dell’appartenenza sana. Invece, sempre più spesso, diventa terreno di sfogo per rabbie sociali, rancori personali e violenze collettive.
Ogni vita spezzata da questi atti assurdi è un fallimento di tutti: delle istituzioni, delle società sportive, ma anche della società civile, che troppo spesso normalizza linguaggi e comportamenti aggressivi in nome del “tifo”.
Serve una presa di coscienza profonda. Non bastano più i minuti di silenzio o le parole di circostanza: servono azioni concrete, controlli più rigidi, pene esemplari, ma soprattutto educazione.
Bisogna restituire allo sport la sua dignità, e ricordare che chi parte per una partita deve poter tornare a casa, sempre.
La tragedia di Contigliano non è solo un fatto di cronaca: è un campanello d’allarme per un Paese che ama lo sport, ma che troppo spesso dimentica il suo significato più vero.
Perché finché la passione si confonderà con la violenza, nessuna vittoria potrà dirsi completa.