Forse non riusciamo a rendercene ancora conto, ma la fase successiva alla fine dell’emergenza Covid, potrebbe presentare alcuni aspetti e condizioni tali da rivedere l’intera rete dei rapporti tra le nazioni quasi come avvenne nei primi anni 90, dopo il crollo del Muro di Berlino e il dissolversi dell’URSS.
Anche di questo, probabilmente, non vi è piena consapevolezza, ma le condizioni e gli accadimenti di allora stavano ponendo le basi per un nuovo mondo che, dopo le tragedie e le guerre del XX secolo, poteva riprendere un cammino di matrice illuministica e accentrare il focus globale più che sugli aspetti geopolitici su quelli socio economici.
Così non avvenne e il mondo si incamminò verso successive crisi. Venne persa una grande opportunità e oggi, forse, si ripresenta la possibilità di una svolta e perdere una seconda occasione potrebbe avere effetti irreparabili.
Nei primi anni 90 si presentava al mondo un contesto completamente nuovo con un cambio quantomeno di atteggiamento dei protagonisti della politica mondiale. Era venuta meno l’Unione Sovietica come contraltare al gigante americano: Gorbaciov prima e Eltsin poi si stavano muovendo verso il liberalismo; la Cina non era ancora la potenza economica e politica che è oggi e risentiva ancora l’effetto di Tienanmen mentre l’India era solo all’inizio del suo percorso che la vede oggi tra le prime economia mondiali e con un potenziale ancora da scoprire appieno.
Gli Stati Uniti, fedeli al loro modello di “Reluctant Sheriff” erano l’ultima grande potenza mondiale e il mondo democratico moderno aveva la possibilità di entrare nella prospettiva che la fine del conflitto ideologico tra comunismo sconfitto e capitalismo liberale che ne usciva se non trionfante quantomeno come soluzione ottimale per favorire i mercati, gli scambi e le interazioni anche in considerazione che eravamo agli albori dell’era digitale e le sue potenzialità erano ancora tutte da sfruttare.
Era il momento in cui i leader mondiali, guidati magari da un’Unione Europea che ancora aveva la possibilità di porsi come esempio di cooperazione strutturata tra Stati, potevano dare una svolta liberale all’intero pianeta; forse non quella magari romantica di Kant che immaginava un mondo di governi liberali e quindi senza guerre ma quantomeno entrare nella prospettiva di Montesquieu quando scriveva che “Dove c’è commercio ci sono buone maniere e principi morali.”
Non a caso il giornalista Martin Walker scriveva che “I nuovi simboli di virilità sono il volume delle esportazioni, la produttività e i tassi di crescita e i grandi avvenimenti internazionali sono i patti commerciali delle superpotenze economiche.” Jeremy Rifkin parlava non certo a caso di sogno europeo come nuova grande possibilità di svolta in sostituzione di quello americano.
Non è andata come poteva e forse doveva andare. Forse è stato il fallimento del progetto per una Costituzione Europea o l’avvento di Putin che ha rialzato il nazionalismo sovietico a dare le prime avvisaglie che si stava invertendo rotta e tornando al passato. Più probabilmente è stato lo shock mondiale dell’undici settembre che ha chiamato l’attenzione su pericoli estremistici ad oggi non certo sopiti.
Sicuramente ha molto influito la presa di posizione in Cina del nuovo corso che, ben lontano dalle idee di autarchia e dalle pretese di egemonia culturale di Mao sul popolo sta ponendo il gigante asiatico in una posizione di globale che l’hanno vista a suo tempo anche stringere accordi non certo utili sulla rotta del petrolio.
Non hanno certo aiutato né la Brexit né i continui rigurgiti di anacronistici particolarismi locali, dalla Catalogna alla Scozia, fino a quelli estremi e illogici della Padania, ma quando si era presentata la possibilità di andare verso le grandi istituzioni sovranazionali dopo un secolo caratterizzato da guerre e tragedie, sembra essere tornati indietro verso gli Stati nazionali perdendo d’occhio la direzione globale che sta prendendo il mondo.
L’emergenza Covid potrebbe rappresentare un punto di svolta o comunque porsi come segnalibro e dividere le pagine di un libro in cui i rapporti tra Stati e Istituzioni sovranazionali dovrebbero cambiare in una prospettiva più collaborativa e mossa dalla considerazione che le emergenze globali non possono essere affrontate a livello locale, in maniera spezzettata e non coordinata.
Oltre agli aspetti medici sanitari e quelli economici e del commercio, la nuova presidenza americana potrebbe contribuire a richiamare l’interesse sul problema ambientale in maniera più effettiva di quanto non possano esserlo scese in piazza di occasione e, forse primo problema, una gestione della rete che se lasciata completamente senza regole o controlli, oltretutto con accesso libero da parte di analfabeti funzionali, potrebbe essere il casus belli di conflitti non solo informatici.
Queste osservazioni su alcuni dei temi più salienti, che possono apparire soltanto una semplice e logica premessa di buonsenso, dovrebbero essere invece una premessa per un approccio sincretico e scevro da particolarismi e interessi dei singoli nell’affrontare problemi le cui soluzioni non possono essere arrogate da entità locali, marginali, mosse da demagogia o, peggio ancora, da interessi in contrasto con quelli di altri.
E’ un quadro ovviamente diverso da quello dei primi anni novanta; ma l’occasione per affrontare l’intero contesto non è detto che si presenti di nuovo. Iniziare a parlarne magari già durante la prima campagna vaccinale potrebbe essere un passo avanti.
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