Caro Calderoli, “l’autonomia” che conviene ai ricchi e alla mafia
A distanza di più di centocinquanta anni dall’Unità- scrive il meridionalista Mimmo Nunnari- il nodo dell’Italia è ancora sostanzialmente legato al compimento del processo di unificazione.
di Mimmo Nunnari
Martedì 29 Novembre 2022
Roma - 29 nov 2022 (Prima Pagina News)
A distanza di più di centocinquanta anni dall’Unità- scrive il meridionalista Mimmo Nunnari- il nodo dell’Italia è ancora sostanzialmente legato al compimento del processo di unificazione.

Calderoli non è Miglio (Gianfranco, primo ideologo della Lega Nord) e Salvini non è Bossi (Umberto, nume del movimento leghista) ma la filosofia è sempre la stessa: una filosofia predatrice, che pensa di togliere al Sud per dare al Nord.  Prima, in passato, agli albori del movimento padano, minacciando la secessione e adesso inseguendo ossessivamente l’autonomia differenziata che è, anch’essa, una forma secessione: “dei ricchi”, l’ha battezzata il professore Gianfranco Viesti, economista e meridionalista, massimo esperto in materia. L’espressione autonomia differenziata, dal punto di vista tecnico amministrativo, fa riferimento alla retorica del saldo tra contributi versati e risorse ricevute dall’Unione Europea, cioè alla differenza fra ammontare dei tributi raccolti e risorse pubbliche da spendere nel medesimo territorio. L’intenzione, stando alla “bozza Calderoli” - al di là degli edulcorati e infidi riferimenti ai dettati costituzionali - è di trattenere al Nord una quota maggiore di risorse a discapito dei territori del Sud. La storia è vecchia, come il cucco, ed è un tema attorno al quale la Lega fin dall’inizio è riuscita a canalizzare con successo una domanda che veniva dal ventre del Nord, da un contesto sociale economicamente centrale nel Paese, che ha appetititi insaziabili.

Nessuno, lo dice chiaramente, ma dietro l’idea fissa della Lega si nasconde un ampio trasversale disegno nordista di sostenere sempre più lo sviluppo del Nord, come in effetti già accade, fin dal tempo dell’Unità d’Italia. L’ambizione di autonomia per il Nord è un desiderio allargato: non c’è solo la Lega a bramare, ma c’è un sentimento - a volte nascosto e altre volte esplicitato - molto diffuso e plurirappresentato. Il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, candidato alla segreteria del Pd, è favorevole, e lo dice chiaramente - e non è solo nel Pd, partito che almeno ufficialmente e’ contrario. Nel dibattito di queste ultime settimane, con tanti temi importanti e vitali sul tappeto - anche sovranazionali - a molti sarà sfuggita un’intervista a fondo pagina al Corriere della Sera di Piero Fassino: piemontese, già segretario del Pd, parlamentare di lungo corso. L’ultima volta, è migrato in Veneto per essere eletto con sicurezza e tranquillità.  

Alla domanda se l’autonomia è una priorità per il Paese, Fassino ha risposto: “Penso che uno dei temi dell’agenda politica sia proprio l’autonomia dei poter locali che peraltro è sempre stato un tema del centrosinistra”. Chiaro? Un tema del centrosinistra cominciato con l’approvazione del titolo “V” (col governo Prodi) che ha inaugurato un nuovo ruolo delle regioni nel rapporto tra lo Stato e l’Unione Europea, proprio mentre s’intravedevano le prime crepe nella funzionalità delle Regioni.  Al giornalista che osservava se l’appello a favore dell’autonomia non fosse esplicitamente nordista, Fassino ha risposto: “Se è vero che c’è una questione meridionale irrisolta che resta un’assoluta priorità è altrettanto vero che esiste anche una questione settentrionale, con profilo e caratteri del tutto diversi, ma non meno importanti”.

Con questa intervista passata inosservata anche dentro il Pd Fassino ha introdotto il tema delle contraddizioni e delle ambiguità del sistema di questo nostro incompiuto Paese, cioè del contrasto tra centro e periferia, fra Nord e Sud, fra società civile e partiti. Qualunque riforma si voglia fare - ancorché prevista dalla Costituzione - non può prescindere da una riflessione sul modo come è stato costruito lo stato unitario italiano che da subito ha creato un contrasto forte tra centro e periferia caratterizzato da un centralismo debole spesso scivolato verso un policentrismo che ha dato vita a governi di poteri forti al Nord e di poteri forti al Sud che in questo caso si chiamano mafie Su questo nessuno discute, né a destra, né a sinistra, tutti uniti in un silenzio complice su un’anomalia unica (la divaricazione Nord Sud) nell’Europa e nell’Occidente. Questo vuoto nel sistema di governo non può certo colmarlo l’autonomia che, anzi, indebolirà, non solo il Sud, ma anche il cuore dello Stato, della sua unità amministrativa. L’Italia giunge dunque all’appuntamento con l’autonomia con uno Stato che non ha voluto colmare il divario Nord Sud, dimostrandosi inefficiente, impacciato e non capace di guidare processi di vera riforma e di rinnovamento. Non è solo una coincidenza, l’intervento puntuale da statista raffinato, saggio, dell’”arbitro” presidente della Repubblica Sergio Mattarella che all’Anci, associazione che riunisce i circa 9000 comuni italiani, ha richiamato tutti alla 2coesione nazionale”, ricordando il “principio di uguaglianza” sancito dalla Costituzione, che vale - ha sottolineato - sia “per i cittadini, che per i Comuni”.  Mattarella ha parlato di Autonomia, pur senza mai citarla, e lo ha fatto di fronte al ministro per gli Affari regionali il leghista Roberto Calderoli - che si sta battendo risolutamente per il progetto di Autonomia - ricevendo dall'Assemblea dell'Anci una pioggia di applausi.

“Punti fermi - ha detto Mattarella - sono la garanzia dei diritti dei cittadini, che al Nord come nel Mezzogiorno, nelle città come nei paesi, nelle metropoli come nelle aree interne, devono poter vivere la piena validità dei principi costituzionali”.  L’ambiguità di fondo, sulla questione “autonomia”, risiede nel mal risolto incontro “fra popolo e Stato”, osserva Lorenzo Castellani in un saggio apparso sull’ultimo numero di Limes. Il filo rosso che unisce il passato al presente è quello delle vecchie intolleranze e delle nuove i intolleranze, dei vecchi e nuovi rancori, dei deficit originari della costruzione statuale, che continuano a pesare sulla vita della Repubblica.

Se non si sanano questi vizi originari è pericoloso, per il futuro dell’Italia, parlare di autonomia: c’è il rischio che si creino quelle condizioni che aveva profetizzato molti anni fa l’economista e politico Giorgio Ruffolo nel libro “Un paese troppo lungo”;  e cioè che prevalgano le spinte sempre più forti verso “una decomposizione del tessuto nazionale al Nord con forme politiche provocatorie e al Sud con una forma ambigua di secessione criminale delle mafie, che sottraggono sovranità allo Stato”. A distanza di più di centocinquanta anni dall’Unità il nodo è sostanzialmente legato al compimento del processo di unificazione, per cui soltanto in un quadro di vera unità sarà possibile affrontare la questione “autonomia” senza provocare danni incalcolabili alla tenuta del Paese.


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