#PinoNano alla ricerca di #GianniGarrucciu, “Uomo dei Papi”, scrittore sardo, giornalista inviato di grande fascino

Gianni Garrucciu ha scritto cinque libri, tra il 1992 e il 2020. Soltanto il primo volume, “Il Telegiornale tra informazione, potere e spettacolo”, è andato in libreria edito da Capone editore; i successivi tre volumi sono stati stampati per la casa editrice Rai Eri e l’ultimo, “Fame – Una conversazione con Papa Francesco”, è edito dalla San Paolo edizioni.

di Pino Nano
Venerdì 22 Maggio 2020
Roma - 22 mag 2020 (Prima Pagina News)

Gianni Garrucciu ha scritto cinque libri, tra il 1992 e il 2020. Soltanto il primo volume, “Il Telegiornale tra informazione, potere e spettacolo”, è andato in libreria edito da Capone editore; i successivi tre volumi sono stati stampati per la casa editrice Rai Eri e l’ultimo, “Fame – Una conversazione con Papa Francesco”, è edito dalla San Paolo edizioni.

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Gianni Garrucciu è davvero uno di quei personaggi che se non lo incontri, e non ci stai almeno qualche ora insieme, tutto ti sembra tranne che uno scrittore o un romanziere di razza, quale egli, invece, in realtà è. Io glielo ripeto da quando l’ho incontrato per la prima volta, lo conosco da almeno vent’anni, ma lui fa finta di non capire, e continua a giocare con la sua vita come se fosse ancora un adolescente.

Uomo pieno di charme, giornalista di razza, Gianni è un cronista ha girato il mondo decine di volte, e che ha conosciuto dal di dentro il cuore del “potere”, quello vero, amico personale di Francesco Cossiga, Beppe Pisanu, Mario Segni, Arturo Parisi, sardo come Enrico Berlinguer, grande appassionato di musica e di poesia, impenitente fantasista e giocoliere delle parole.

L’amore per la radio lo porta a scrivere nel 2004 il libro Buonasera ovunque voi siate: è una breve storia degli 80 anni della radio attraverso le testimonianze di chi ha vissuto la radio e di chi ha costruito l’Italia.

Vi si trovano, tra gli altri, personaggi del mondo politico (Francesco Cossiga, Giulio Andreotti), del giornalismo (Jaeder Jacobelli, Sergio Zavoli, Enzo Biagi, Gianni Bisiach), della religione (il cardinale Ersilio Tonini), dello spettacolo (Renzo Arbore – che ha dato il titolo al libro – Carlo Giuffré e Paolo Villaggio).

Il libro viene presentato al Prix Italia 2004. Nel frattempo, la sua attività di inviato porta Gianni Garrucciu a viaggiare e a seguire alcuni tra i personaggi più importanti in Italia: da Carlo Azeglio Ciampi a Papa Wojtyla. E proprio a Giovanni Paolo II, Gianni Garrucciu dedica il suo terzo libro dal titolo Giovanni Paolo II, l’Uomo che ha cambiato gli uomini.

Anche qui, la tecnica è raccontare Wojtyla uomo e pontefice, attraverso le testimonianze di chi ha condiviso con lui i 27 anni del suo pontificato: il suo segretario, cardinale Stanisław Dziwisz, Joaquín Navarro-Valls, il cardinale Camillo Ruini, l’attore premio Oscar Jon Voight (interprete del Wojtyla televisivo), il regista polacco Zanussi, il cardinale segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone, Chiara Lubich, la monaca benedettina Anna Maria Cànopi.

Il libro ha vinto sei premi: dal Lucca-Autori al Battì-Libro, dal premio Anpci al premio della radio per i giovani Latte-Miele (“…per avere raccontato il Papa che ha saputo comprendere le inquietudini dei giovani”), al premio dell’Istituto Euromediterraneo per il Dialogo Interreligioso, alla Navicella per la Pace.

Nonostante Gianni abbia il cuore in pezzi, ma per colpa del suo mestiere di globetrotter, e quindi per via di una vita sregolata senza orari e schizofrenica, oggi, all’età di sessantasei anni già fatti, sembra invece ancora un ragazzo con un futuro ancora davanti, e soprattutto tutto da vivere.

Ma tutta la sua vita, in realtà, sembra un romanzo d’appendice. Il suo esordio, a Radio Rai, a soli 12 anni, come animatore e imitatore in un programma per le scuole.

Diventa poi attore radiofonico in sceneggiati ambientati in Sardegna, che è la sua terra natale, e che ama più di ogni altra cosa al mondo.

Lavora come attore in sceneggiati nazionali. Poi arriva il giorno del suo esordio in televisione. E’ su Rai 1. Ha appena 20 anni, già autore e interprete di alcuni episodi importanti, con uno spettacolo natalizio che va in onda dagli studi di Bologna. Nel 1974 fonda, insieme a un gruppo di amici, la Compagnia per la Diffusione del Teatro Popolare. Porta in scena le commedie di Eduardo De Filippo, ottenendo dall’autore napoletano la concessione per recitare i suoi lavori.

L’esordio è con Non ti pago. Quindi, nel 1978, Il sindaco del rione Sanità. L’incontro con Eduardo permette a Gianni Garrucciu di approfondire i temi umanistici. Nasce così l’accostamento del teatro di Eduardo con quello di Luigi Pirandello.

La Compagnia per la Diffusione del Teatro Popolare mette in scena uno spettacolo dal titolo La finzione come realtà in Eduardo e Pirandello: tre atti unici, due di Eduardo, Dolore sottochiave e Sik Sik l’artefice magico; uno di Pirandello, La patente. È la strada che decreta il successo in Sardegna del gruppo di studenti trasformatosi in Compagnia teatrale e arricchitosi di elementi napoletani.

Nel 1979 la Compagnia per la diffusione del Teatro Popolare debutta al teatro Civico di Sassari con la commedia di Luigi Pirandello, Pensaci, Giacomino! Nel frattempo, Gianni Garrucciu prosegue il lavoro radiofonico, prima con programmi regionali dagli studi di Sassari e di Cagliari, e poi con quelli nazionali per Radio 11. Nel 1980 scrive e interpreta una breve parodia del film Padre padrone.

Il lavoro viene inserito all’interno di un programma televisivo della Rete ammiraglia della Rai. E da qui, il grande successo di una carriera che non si è ancora spenta, e che è tutta ancora da raccontare.

-Gianni, vogliamo partire dall’ultimo saggio, che -va detto- hai scritto grazie alla grande disponibilità di Papa Francesco nei tuoi confronti, “Fame”. Qual è la cosa più forte che il Papa ti ha raccontato parlando della fame nel mondo?

Io l’ho scritto a chiare lettere nel mio libro. Ad un certo punto il Santo Padre mi ha detto in maniera diretta: “La fame nel mondo non è naturale né ovvia, viene usata come arma di guerra”. È da qui che sono partito ed è questo che mi ha convinto ad arrivare fino in fondo al mio libro.

Con questo libro, partendo dagli ultimi dati ufficiali della FAO, ho cercato di dare volti e storie a numeri che fanno paura, ma che non possiamo più evitare: 821 milioni di esseri umani oggi patiscono la fame.

-Ho ragione io quando dico che il Santo Padre ti ha voluto bene?

Papa Francesco mi ha gratificato di una lunga conversazione privata con la quale abbiamo cercato di stimolare il lettore penetrando acutamente nei più sottili anfratti della riflessione sulla malnutrizione, sulla insicurezza alimentare, sulle migrazioni e sui suoi paradossi.

Il Pontefice ci è riuscito, io non so. Tra le altre cose mi ha detto: «Vedi, il pericolo è che a poco a poco diventiamo immuni alle tragedie degli altri e le consideriamo come qualcosa di naturale: sono così tante le immagini che ci raggiungono, che noi vediamo il dolore ma non lo tocchiamo, sentiamo il pianto ma non lo consoliamo, vediamo la sete ma non la saziamo.

E, mentre cambiano le notizie, il dolore e la fame e la sete non cambiano, rimangono».

-Ma non solo il Papa ti ha voluto bene…

Si è vero, Papa Francesco mi ha aperto le porte di un mondo straordinario, e che è il mondo di chi studia da anni il tema della fame dovunque ci sia un essere umano che si muove. A sostegno delle numerose e profonde osservazioni del Santo Padre, ho voluto far seguire il racconto dalle riflessioni di David Beasley, il direttore esecutivo del WFP , è il Programma alimentare mondiale, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare, e la più grande organizzazione umanitaria del mondo: assiste una media di 100 milioni di persone in 78 paesi del pianeta.

Poi ancora ho approfondito le tematiche con due economisti della FAO, un medico della OMS, che ogni anno studiano ed elaborano dati e pubblicazioni sul tema della fame.

Insomma, ho solo tentato di portare i lettori nel cuore del problema, con passione, ma soprattutto con estrema attenzione ai dati di numerose realtà, raccolti fra i testimoni più importanti delle Istituzioni mondiali. Sono i volontari da una parte, e gli abitanti delle zone più a rischio del pianeta dall’altra.

-Ma perché un saggio sulla fame?

Perché la questione della fame nel mondo, non riguarda solo la descrizione delle sofferenze di interi popoli della terra, ma anche la volontà di riscatto sociale ed economico di vaste aree del pianeta. Spero solo di aver saputo catturare il lettore con la forza dei dati e della narrazione, magari obbligandolo a pensare a quello che vogliamo essere e che vogliamo che il mondo intorno a noi sia in futuro.

-Parliamo di Gianni Garrucciu ora: ma è vero che non saresti dovuto sopravvivere alla nascita?

Eh, be’, quel cordone ombelicale che mi stava stringendo il collo stava per soffocami e per rimandarmi là da dove ero appena arrivato…

-Ecco allora che è intervenuto il tuo angelo custode?

No, nessun angelo custode. Molto più semplicemente è intervenuto il primario della clinica ,perché l’ostetrica aveva forse sbagliato la manovra, o io mi dibattevo troppo fin dalla vita intrauterina. Allora ̶ era il 1954 ̶ raramente si nasceva in ospedale, ma a casa propria. E così fu per me, e prima ancora per mia sorella.

Poi mia madre, provata dalle due precedenti esperienze, per il terzo figlio – quello venuto dopo di me – volle la sicurezza della clinica. Sì, sono nato a Sassari, che non era e non è il capoluogo della Sardegna da un punto di vista geografico, ma lo era per via di una vivacità intellettuale.

È stata la sede della prima Università sarda; della prima Banca sarda (il Banco di Sardegna e poi la Banca di Sassari); mentre Cagliari viveva della sua vivacità imprenditoriale e commerciale.

-Sassari, la città dei Presidenti Segni e Cossiga…

Non solo: Sassari la città di Enrico Berlinguer e della sua famiglia; di banchieri come Siglienti e di tanti altri. È come se in quella sonnacchiosa e pacifica cittadina che oggi conta 130 mila abitanti, ci fosse più tempo e più voglia di studiare, di applicarsi, di interessarsi agli impegni umanistici.

C’è una vecchia storia che racconta come l’Autonomia della Sardegna sia stata inventata dai nuoresi (grandi intellettuali), per farla gestire ai sassaresi e arricchire i cagliaritani. Non per niente Sassari, come dicevi, ha dato due presidenti della Repubblica – Antonio Segni e Francesco Cossiga – ma anche tanti altri politici che hanno contribuito alla crescita del Paese: il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, il ministro della Giustizia Arturo Parisi; vari sottosegretari come Mario Segni, Bruno Dettori, Nino Giagu, Pietrino Soddu (questi ultimi, due pilastri di 50 anni della vita politica sarda).

-Tutta gente che tu hai frequentato: una buona scuola…

Io sono nato nel rione di Cappuccini, una piccola collina sopra la città, il quartiere della buona borghesia. Ma ci sono nato per caso: ad appena due anni la mia famiglia si è spostata nel quartiere più popolare, Monte Rosello, limitrofo a Cappuccini ma separato (o meglio, unito) da un ponte.

Ed è proprio a Monte Rosello che ho imparato a vivere con gente autentica e solidale che era quella del ceto più umile. Poi a sei anni, il grande salto nel quartiere di San Giuseppe, nel cuore di Sassari, il quartiere dove si sistemava la nuova borghesia cittadina.

Noi ci andammo non per rango ma per necessità e opportunità: mio padre faceva il geometra all’ufficio tecnico erariale, mia madre la maestra elementare nella scuola, appunto, di san Giuseppe: entrambi gli uffici avevano sede vicino alla chiesa.

Il quartiere prendeva il nome dalla parrocchia, che fu la prima costruita fuori le mura, a ridosso dell’università e per questo, abitato dai docenti che vi venivano a insegnare. Intorno a quella chiesa, in quello che Cossiga consegnò alla storia con il nome di “Quadrilatero Magico”, nasceva la città che avrebbe contato: di fronte alla chiesa abitavano i Berlinguer; alle spalle (ma non più di 10 passi), abitava la famiglia Cossiga.

Di lato, Parisi. Poco più dietro, alle spalle del Museo archeologico, la palazzina dei Segni. Si racconta che il giovane Cossiga quando distoglieva l’attenzione dai libri, allungava il braccio e dalla finestra della sua cameretta, toccava con la mano le campane della chiesa. Tutti frequentatori della parrocchia.

Segni, anche da presidente della Repubblica, tornava ogni sabato a Sassari. Una volta, io ero chierichetto da poco tempo, lui scendeva i pochi scalini della canonica e passando in sagrestia per accedere al coro dietro l’altare, lo sentii dire al parroco: “Stamane ho fatto la comunione a San Patrick a New York, stasera la posso fare qui? E i Berlinguer. Enrico fu battezzato a San Giuseppe. Bianca, la figlia, la nostra collega, non lo sapeva: le ho dovuto regalare il certificato di battesimo. C’è da dire una cosa fondamentale: tutto ruotava intorno a un parroco illuminato – monsignor Giovanni Masia – che “regnò” per 56 anni e fu il secondo parroco di quella parrocchia.

Insegnava nel vicino liceo classico dove faceva un po’ da talent scout per i giovani che sarebbero poi diventati i protagonisti della vita del Paese. Quegli stessi giovani che lasciati i banchi, la sera frequentavano la parrocchia. Di monsignor Masia lo stesso Cossiga mi disse nella prima intervista che rilasciò una volta eletto Presidente della Repubblica: “Io stesso non saprei pensarmi qui, in questo posto, se non ci fossero stati nella mia vita la presenza e gli insegnamenti di monsignor Masia.”

-Dunque, una buona scuola la sagrestia di san Giuseppe…

Sono entrato in sagrestia quasi per caso: avevo cinque anni. Mi fecero l’esame per sapere se conoscessi le risposte della Messa: fu un esame in latino! Ma lo passai. Non sono stato proprio uno studente modello. Alle elementari potevo contare su una maestra che mi chiamava “Giovannimio” tanto mi voleva bene, e a casa avevo un’altra maestra: era mia madre. Alle scuole medie (sempre di fronte alla parrocchia) cominciai a conoscere il teatro e il palcoscenico.

Le scuole elementari mettevano in scena nel teatro della città, il teatro Verdi, uno spettacolo che durava tre ore e mezza: ci voleva un ragazzo che reggesse la scena per tutto quel tempo, interpretando svariati personaggi. Dopo tante audizioni scelsero me, avevo 12 anni.

La sera della prima in sala c’era un programmista della Rai che mi segnalò e cominciai a fare le imitazioni per radio Sardegna; poi i doppiaggi per il Radioteatro; poi (ma siamo già a 19 anni, dopo il diploma), i primi programmi regionali e nazionali tutti miei: autore, attore e regista.

-Nel frattempo, prosegue la tua vita scolastica…

Sì, frequento il liceo classico dove – contro ogni previsione – mi diplomo con le mezze tasse: un trionfo, per me! E mi iscrivo in medicina. Qui, allo studio preferisco la frequenza.

E riesco a entrare in Patologia speciale chirurgica già dal secondo anno. Al professore piaceva il mio fiuto nel riconoscere i sintomi e nel dare il nome alle patologie. Diceva ai colleghi: “Vedete, Garrucciu non studia un cazzo ma ci azzecca sempre!” Cioè facevo il percorso inverso: dalla pratica al libro: funzionava.

D’estate frequentavo l’ambulatorio del mio padrino, il dottor Castiglia, che aveva lo studio nel cuore del cuore del centro storico cittadino: un apprendistato non solo scientifico, professionale, ma soprattutto umano. Però contestualmente facevo teatro in Sardegna. Grazie anche ai programmi in Rai avevo incontrato i Grandi.

E fra tutti, Eduardo De Filippo, il grande fra i grandi. Fu una rivelazione. Recitati (col suo permesso, negato a tutti) diverse sue commedie ma il trionfo fu con “Il sindaco del rione Sanità”, nel quale io facevo il sindaco: avevo 24 anni e dovevo essere un vecchio di 75.

Ogni recita, quattro ore di trucco. Intanto i miei lavori in Rai mi portavano sempre più a Roma, e per seguire gli studi di medicina mi trasferii nella capitale. Ero diventato il figlio putativo dei miei zii: zia Matilde, sorella grande di mio padre che aveva terminato la sua carriera come segretaria particolare del presidente Antonio Segni, e del marito zio Guglielmo, dirigente al Viminale.

A lui devo la mia passione per la cultura partenopea; la carezza che mi diede Totò; le prime recite di Eduardo; le miei visite guidate nella Napoli più vera.

 Ma la medicina andava seguita e studiata: così, quando la Rai mi offrì di passare dal settore programmi alla redazione giornalistica (per giunta nella sede di Sassari, la mia città), ci pensai qualche notte e poi optai per il ritorno a casa. Lasciai gli avviati studi di medicina e a Sassari mi laureai in materie letterarie.

-Senza però interrompere le frequentazioni romane…

Tutt’altro! Anzi coltivandole meglio. In Sardegna seguii i maggiori avvenimenti della cronaca: dai sequestri (De André, Farouk Kassam) alle estati dei Vip in Costa Smeralda. Facendo poi conoscere i grandi avvenimenti culturali, sociali, storici, della tradizione sarda a tutto il mondo attraverso Rai International, o i servizi e gli approfondimenti per i Tg e i Gr nazionali.

-Nel 1990 il salto al GR2 per i mondiali di calcio a Roma…

Fu una scuola fantastica e irripetibile. Ho lavorato con le più grandi firme del giornalismo. Mi prese a ben volere Enrico Ameri, il quale – da cattolico praticante – mi offri un’occasione unica: leggere la domenica mattina nella chiesa di San Giacomo al Corso a Roma insieme a lui e a Giulietta Masina, le tre letture della Liturgia della Parola.

Ma ricordo anche il programma sportivo del mattino che facevo insieme con Ameri, Rino Icardi, Sandro Mazzola e Luciano De Crescenzo. Ho pensato tante volte di accettare le offerte dello stesso Ameri, di Mario Giobbe, di Manfredi Renda, di trasferirmi ma l’amore per la mia terra e la vicinanza alla mia famiglia, mia moglie Vannalisa, mio figlio Andrea, mi hanno sempre convinto del contrario.

Però Roma è sempre nel cuore. Roma non si può dimenticare. Le frequentazioni sono continuate. Tante volte il presidente Cossiga mi telefonava e mi diceva: “Garru’ (mi chiamava così), ci vieni domani a casa che ti devo parlare?” Prendevo il primo aereo.

Una volta gli chiesi di intervenire per evitare la paventata chiusura degli uffici Rai di Sassari: “Presidente”, gli dissi, “chiami il direttore generale, il presidente, il ministro, ma guardi che ci chiudono!” – Lui mi guardò e mi rispose: “Ma da quando per chiedere una cosa del genere dobbiamo impegnare i B-52?”

Voleva significare che non c’era bisogno di scomodare il potente aereo bellico da 35 mila kg di bombe per salvare una piccola redazione come quella di Sassari.

E poi e poi tante altre storie, tante altre vicende che mi hanno portato ad attraversare i miei 40 anni di carriera in Rai: da quel timido dodicenne che faceva le imitazioni, al programmista ragazzino, al redattore ordinario, all’inviato speciale, al capo servizio, al vice capo redattore al redattore capo.

-E in mezzo Renzo Arbore…

In radio da giovanissimo facevo un programma di intrattenimento con l’indimenticabile Salvatore Stangoni che purtroppo ci ha lasciati, con buoni ascolti: ci chiamavano gli Arbore e i Boncompagni dei poveri.

A Renzo Arbore devo molto, con lui ho fatto due libri, una sulla radio, uno su di lui. Lui stesso presentandolo con me da Fabio Fazio ha detto: “Gianni, sa più cose lui di me, che io di me!” Davvero gli devo molto, soprattutto il suo affetto e la sua amicizia.

-Parliamo dei Papi che hai incontrato e che ti hanno anche voluto bene?

Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco… Vedi, a Giovanni Paolo II devo la profondità della mia vita: uno sguardo che non potrò mai dimenticare, come il suo esempio e i suoi insegnamenti. Il libro che ho scritto su di lui con l’aiuto dei suoi collaboratori più stretti fu definito “Una sinfonia di voci.” Di Benedetto XVI ricordo la simpatia e la cordialità.

A Papa Francesco devo soprattutto la pazienza che ha avuto nell’ascoltarmi, e nel rispondere alla mia richiesta di una conversazione su un tema a lui molto caro: la Fame, da cui è nato il libro. E non dimenticherò mai la sua semplicità e la sua frase nel salutarci: “Vai fino in fondo. Perché quando questi tempi li trattiamo noi, Chiesa, sembra un atto dovuto.

È quando li trattate voi laici che assumono un significato più ampio.”

-Un ricordo su tutti?

Quando, dopo undici anni di precariato mi hanno finalmente assunto in Rai, la prima telefonata che ho ricevuto è stata quella di Cossiga. Mi ha detto: “Garru’, auguri. Mi hanno detto che in Rai assumono a quattro a quattro: un comunista, un socialista, un democristiano e uno bravo.

Spero che tu sia il quarto!” Qualcuno oggi griderebbe “E’ la stampa bellezza!” Dopo una parentesi come critico teatrale del quotidiano La Nuova Sardegna, dal 1981 al 1983 Gianni Garrucciu diventa redattore de L’altro giornale, un nuovo quotidiano pubblicato in Sardegna

. Ha quindi una intensa esperienza come Direttore dell’Ufficio Stampa dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Sassari dove – con musicologi e uomini di cultura – organizza i Colloqui di musica mediterranea, una sorta di confronto tra le comuni radici culturali e musicali della Sardegna con i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente.

Tra una parentesi e l’altra del suo “correre”, perché questa è stata tutta la sua vita, trova anche il tempo e soprattutto il gusto elitario di scrivere un volume sulla sua città natale, Sassari, tradotto -pensate- in inglese, francese e tedesco, e ottenendo la segnalazione alla Fiera internazionale del libro turistico e pubblicitario “per la sua originalità, il suo taglio giornalistico, l’impostazione grafica”. Una carriera spesa tutta all’insegna del giornalismo di qualità, la sua.

Collaboratore ai programmi sempre per la Rai, Garruccio negli anni conosce diversi personaggi del mondo della cultura, del giornalismo, del teatro e della musica. Scrive e dirige numerosi programmi radiofonici nazionali specializzandosi in inchieste di cronaca e di cultura, e nel 1990 per lui è l’esordio a Radio-2 per i mondiali di calcio.

È qui che conosce le grandi firme dello sport, e con Enrico Ameri – oggi non ci crederebbe davvero nessuno- conduce Anteprima Sport. Immediatamente dopo il vice-direttore della Testata Giornalistica Sportiva Rino Icardi gli affida una rubrica settimanale sul calcio di serie C per i programmi di Rai International. Gianni non vede l’ora di invitare i grandi personaggi dello sport passato e presente, e con cui commenta le giornate sportive di quegli anni.

Una vera sorpresa ma anche una vera rivelazione. Il programma viene diffuso sui canali internazionali della RAI in tutto il mondo e ci sono puntate che registrano oltre 10 milioni di ascoltatori.

Il sogno segreto di tutti quelli che per mestiere come lui “vendono parole” in televisione.

Buona vita, professore!


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