Sei sicuro di voler sbloccare questo articolo?
Sono passati sei anni esatti. Era esattamente il 13 agosto 2014, quando le agenzie internazionali diedero per prime la notizia della morte, su un campo di guerra, di un giovane giornalista italiano.
La mattina del 13 agosto 2014, a Beit Lahya, siamo a Nord della Striscia di Gaza, Simone Camilli viene investito in pieno dall’esplosione di una bomba, proprio mentre stava filmando con la sua cinepresa le operazioni di un gruppo di artificieri alle prese con ordigno inesploso e sganciato qualche giorno prima da un F16 israeliano.
Sono passati sei anni esatti. Era esattamente il 13 agosto 2014, quando le agenzie internazionali diedero per prime la notizia della morte, su un campo di guerra, di un giovane giornalista italiano.
La mattina del 13 agosto 2014, a Beit Lahya, siamo a Nord della Striscia di Gaza, Simone Camilli viene investito in pieno dall’esplosione di una bomba, proprio mentre stava filmando con la sua cinepresa le operazioni di un gruppo di artificieri alle prese con ordigno inesploso e sganciato qualche giorno prima da un F16 israeliano.
L’esplosione che investe Simone Camilli è devastante, improvvisa, inaspettata, lacerante sotto tutti i profili, e alla fine delle operazioni di soccorso la polizia locale conta, accanto al corpo senza vita di Simone, altri cinque cadaveri.
Giornata nera per il mondo del giornalismo. Simone diventa per la cronaca il diciassettesimo giornalista morto durante il conflitto nella Striscia di Gaza, e l’ultimo dei 66 cronisti di guerra uccisi nel mondo nel 2014.
35 anni non ancora compiuti, Simone Camilli aveva scelto per il futuro della sua vita il mestiere più intrigante e più bello del mondo, e che suo padre, Pierluigi Camilli, storico Vicedirettore della TGR della RAI, gli aveva inculcato sin da bambino.
Ma a differenza di suo padre, allevato e cresciuto alla prestigiosissima scuola del TG1, dopo aver trascorso gran parte della sua vita a insegnare giornalismo nelle aule universitarie di mezza Italia, lui invece, Simone aveva preferito il giornalismo per immagini.
E’ inutile ripeterlo, per fare giornalismo per immagini non hai altra scelta che non quella di prendere una telecamera a e correre là dove c’è qualcosa di interessante da filmare.
Non puoi stare seduto davanti ad una scrivania ed aspettare che la notizia ti venga portata sul tavolo, in quel caso la notizia te la devi andare a cercare da solo, e spesso anche nei posti più maledetti della terra. Così è stato per lui.
La conferma ufficiale della morte di Simone ci venne dall’allora Ministro degli Esteri Federica Mogherini.“La morte di Simone Camilli è una tragedia, per la famiglia e per il nostro Paese” - annuncia il ministro, esprimendo il suo cordoglio ai familiari e agli amici del professionista ucciso.
Poi aggiunge: “Ancora una volta è un giornalista a pagare il prezzo di una guerra che dura da troppi anni e per la seconda volta in pochi mesi piangiamo la morte di ragazzi impegnati con coraggio nel lavoro di reporter.
“Se ve ne fosse stato bisogno, l'uccisione di Simone dimostra ancora una volta quanto urgente sia arrivare a una soluzione finalmente definitiva del conflitto in Medio Oriente”. Papa Francesco, in volo quel giorno verso Seul, informato della morte del giovane reporter dal Portavoce della Sala Stampa Vaticana padre Federico Lombardi, ai giornalisti in volo con lui e in attesa di salutarlo dice: “Vi ringrazio della vostra presenza qui ma dopo aver sentito Padre Lombardi vi faccio una proposta: restiamo in silenzio e dedichiamo una preghiera a Simone Camilli, uno dei vostri che oggi se ne è andato in servizio.
Queste sono le conseguenze della guerra! È così”. Oggi la foto di Simone è ancora su tutti i siti internet del mondo.
Suo padre e sua madre, e le sue sorelle, ne siano fieri: perché un cronista che muore sul campo, così come è accaduto a Simone Camilli, con tanto di cinepresa a tracolla e cellulare pronto a trasmettere e smistare quelle immagini in ogni parte del mondo, è più che un eroe nazionale.
È un esempio per tutti noi, che giovani non siamo più, e che da giovani cronisti come Simone Camilli abbiamo ancora tanto da imparare.
I funerali si tennero nella chiesa di Pitignano, il paesino di cui suo padre Pierluigi era diventato sindaco, e al momento del congedo finale Pierluigi confessa ai cronisti presenti in Chiesa quello che forse nessuno di noi si sarebbe mai aspettato da un padre distrutto dal dolore per la morte di un figlio:“Con Simone avevo parlato l'altro giorno.
Gli avevo detto di stare attento ma mi aveva risposto di non preoccuparmi, che la situazione era tranquilla. Aveva questo lavoro nel sangue, e oggi io sono fiero di lui”.
È la riconciliazione finale tra padre e figlio, padre e figlio di nuovo insieme, fortissimamente uno accanto all’altro, più vicini che mai, il padre maestro di giornalismo e il figlio in questo caso allievo prediletto del maestro.
Nessuno dei due, certamente, avrebbe mai potuto mettere in conto che prima o poi sarebbe potuto accadere anche a loro una tragedia così devastante.