Il prof. Luca Addante oggi è un “pezzo di Calabria” in un uno dei centri universitari più prestigiosi d’Europa. Se non sapessi che fa lo storico di professione, e che da una vita frequenta aule universitarie e archivi di mezzo mondo, guardandolo penserei ad un filosofo, o forse meglio ad un poeta.
Elegante, riservato, sobrio, a tratti anche austero e solenne, ma al contempo passionale e affascinante, lo era già da ragazzo quando a Cosenza incominciava a scrivere i suoi primi saggi di storia e a frequentare le prime televisioni private dell’epoca per spiegare le sue teorie.

Per il mondo accademico che oggi più conta le sue ricerche sono in prevalenza orientate verso “questioni storiografiche e personalità e movimenti del dissenso radicale, politico e religioso: eretici e libertini, deisti e panteisti, giacobini e carbonari”.
Elitario anche in questo. Per anni lo studioso si è anche occupato delle radici delle moderne libertà, “del repubblicanesimo, del patriottismo, della fortuna di Machiavelli, di movimenti controrivoluzionari, di forme di governo, di politica e supereroi e di cannibalismo europeo”.
Un intellettuale moderno, insomma, che conosce l’Europa come le sue tasche, e che racconta sé stesso come un “emigrato della prima ora”, in parte anche apolide, e comunque pervaso da quel senso di “Homesick” come gli americani chiamavano il “mal d’animo” dei primi italiani sbarcati a Ellis Island. Comunque, calabrese e cosentino dalla testa ai piedi, senza nessuna mediazione per niente e per nessuno.
In una bellissima intervista al giornalista Paride Leporace, pubblicata sul Corriere della Calabria il 31 agosto scorso, il grande intellettuale calabrese sintetizza il suo pensiero sulla Calabria in questi termini: “Io non amo il termine identità. Ma la Calabria ha un’identità possente. Si percepisce dal Pollino allo Stretto pur con diverse peculiarità e differenze. La frequentazione con un catanzarese come Augusto Placanica e un reggino come Rosario Villari mi fa sostenere che la Calabria è una”.
Quanto basta per capire quanto forte sia ancora il legame tra lo storico e la sua terra, dove ogni anno Luca Addante torna almeno due volte di sicuro, d’estate nella casa al mare ad Amantea e a Natale, per ritrovare gli anni che furono, quando d’estate “Piazza Kennedy a Cosenza si trasferiva a Sangineto”, e dove noi ragazzi cosentini alla fine “non eravamo così distanti o così diversi dai ragazzi che in quegli stessi anni vivevano a Parigi”.
Non a caso forse, Paride Leporace scrive di lui cose molto belle: “Di Luca Addante nel corso del tempo apprezzo sempre più la sua personalità intellettuale che non si adegua, non si rassegna e soprattutto ispirata dalle sue profonde conoscenze che hanno gemmato una raffinata attitudine che lo porta a ragionare con la propria testa. Fattori che mi hanno indotto quest’estate a produrre uno spin off in forma d’intervista realizzata a latere della nostra tradizionale e chilometrica chiacchierata… Ogni anno lo vengo a cercare per una lunga discussione amicale che dura diverse ore, in questo giardino, sulla nostra amata Calabria, dell’altrettanto amata Cosenza, e poi storia, politica, qualche facezia inevitabile e le memorie delle nostre passate stagioni”.
Corsi e ricorsi della storia, Paride e Luca, Luca e Paride, la loro vita continua a incrociarsi, a ritrovarsi, e i due continuano a cercarsi, perché la vita è anche lasciarsi e ricercarsi, e finalmente ritrovarsi. Storia la loro di una generazione straordinaria, di ragazzi ribelli e intellettualmente impegnati a costruire un progetto comune, che già allora sognavano in grande, pieni come erano – lo eravamo tutti noi- di miti e rivoluzioni che hanno poi trasformato il mondo.
Anni che spingono Luca verso il mondo dei ribelli e dei rivoluzionari, lo dico sotto il profilo esclusivamente professionale, nel senso che lo storico incomincia ad approfondire i suoi studi e le sue conoscenze sul mondo del dissenso più radicale, scavando, tra l’altro, nella vita di Tommaso Campanella.
“Un irriducibile ribelle in politica, religione e filosofia; un libertino che ha giocato nell'evoluzione della cultura europea un ruolo fondamentale: questo fu Tommaso Campanella”, ed è a lui che Luca Addante dedica uno dei suoi ultimi libri “Tommaso Campanella.
Il filosofo immaginato, interpretato, falsato”, (Edizioni Laterza), saggio di grande spessore storico e culturale non a caso tradotto poi in francese con un titolo molto più accattivante del primo “Tommaso Campanella: l'invention d'un philosophe (XVIIe-XXIe siècle)”, Classiques Garnier, Paris, 2021.
Un libro che oggi fa parte della migliore letteratura storica su Tommaso Campanella, e che il mondo accademico internazionale ha scelto di adottare come testo fedelissimo di una stagione storica per troppo tempo rimasta sconosciuta e mai ben raccontata.
Questo di Tommaso Campanella, è il ritratto fedelissimo di un Luca Addante che ci conduce lungo più di quattro secoli di rappresentazioni e interpretazioni del grandissimo filosofo, smascherando l'incredibile stratificazione di miti e di usi politici e apologetici della sua figura che ne hanno stravolto le originarie fattezze.
“Dalla centralità riconosciuta alla celebre Città del Sole, ben salda nell'immaginario, alla tesi – oggi spazzata via dalle sue ricerche – secondo cui Campanella avrebbe vissuto una conversione, che dal naturalismo panteistico della giovinezza l'avrebbe portato a rientrare nell'ovile cattolico".
Attraverso un'indagine serrata, condotta su tutta la produzione e la documentazione relativa al filosofo nonché sulle sue opere, in un racconto non privo di colpi di scena, Luca Addante- sottolinea la presentazione del suo saggio- “ribalta queste chiavi di lettura in pagine che si rivelano essere anche un'autentica enciclopedia critica dedicata al filosofo. Oltre i miti e le distorsioni apologetiche e ideologiche emerge con forza la storia di un genio barocco”.
Luca Addante, lo cerco all’Università di Torino, che oggi è la sua seconda casa, è l’Università che lo ha accolto, che lo ha visto crescere e che per lui è stata il vero trampolino di lancio per il prestigioso Institut d’Histoire Moderne et Contemporaine, che unisce docenti e ricercatori della Sorbona e dell’École Normale Supérieure di Parigi, e lo ritrovo ancora meravigliosamente giovane, straordinariamente eclettico, sognatore, grande visionario, esattamente come lo era quando da ragazzo lo incontrai per la prima volta a Cosenza, lui ancora giovanissimo e io appena arrivato alla Rai di Cosenza, e lo intervistai sul primo libro che Luca aveva appena pubblicato.
Ripensando a questi anni mi diventa difficile dargli del lei, ma non ci provo neanche. Alla fine, lui oggi è uno degli accademici italiani amati a Parigi e uno degli storici italiani apprezzati nel mondo.
-Professore, partiamo dalla sua vecchia casa di origine? Sono nato a Cosenza nel 1970, dove ho vissuto fino al conseguimento della maturità classica, nel 1989. Dopodiché, tra frequentazione dell’Università e carriera accademica, ho vissuto per periodi più o meno lunghi a Messina, Siena, Bologna, Roma, Parigi, Venezia e infine Torino dove vivo da quattordici anni, con mia moglie Maria Lupi e nostro figlio Federico, che è nato qui a Torino.
-Una famiglia importante alle spalle, si può dire? Guardi, ho un solo fratello, Gianni, che è il mio fratello maggiore e che oggi è un bravissimo e affermato musicista. Sia lui che io avremmo dovuto proseguire nella professione paterna, ereditando lo studio d’avvocato di nostro padre Lucio, non a caso siamo entrambi laureati in Giurisprudenza. -Ma non è andata così? Abbiamo preso strade diverse, seguendo e inseguendo le nostre più grandi passioni.
-Immagino la delusione di suo padre… Devo dirle che sia la passione per la musica sia quella per la storia sono comunque retaggio paterno. -In che senso professore? Mio padre da giovane fece anche il cantante: come sanno bene i suoi amici, conserva tuttora la sua tonante voce da tenore. E ha da sempre affiancato alla professione legale lo studio della Numismatica. Ricordo, tra le sue ricerche, il più recente libro: Le monete dei Brettii, ma anche una straordinaria passione per la storia che mi trasmise sin da piccolo. Credo di poter dire, pertanto, che comunque nostro padre sia orgoglioso delle nostre scelte.
-Che ruolo ha giocato invece nella sua vita la mamma? Nostra madre, Maria Luisa Falcone, è stata determinante nella crescita mia e di mio fratello, più che per la sua professione di dietologa per la sua ars diplomatica, che ne fa da decenni un’intensa animatrice di varie associazioni femminili della nostra città. Inoltre, da lei ereditiamo i nostri lombi di cosentinità. Mio nonno Oreste ricordava che in origine la famiglia provenisse da Acri, ma è almeno da metà Ottocento che i Falcone da cui discende mia madre sono stanziati a Cosenza.
Invece, per quanto riguarda nostro padre, la situazione è più mossa: suo padre Giovanni era pugliese, ma il cognome Addante ha un’antica origine napoletana. Mentre sua madre, Rosa, era nata a Panama e si chiamava Coronel, poi italianizzata in Coronello. Essendo rimasta orfana, si era trasferita con i fratelli presso alcuni parenti a Castrovillari, da dove proveniva la famiglia di sua madre e dove è nato nostro padre, che però poi si spostò subito con la famiglia a Napoli, dove trascorse l’infanzia per poi ritornarvi negli anni universitari.
-Che infanzia ricorda?Un’infanzia felice, direi anche normale, come tanti bambini del tempo, tra studio, gioco, cartoni animati, libri e fumetti di supereroi, e con i mesi trascorsi al mare, sulla costa tirrenica.
-Ha qualche ricordo personale di quella stagione? Certo, molti. Stavamo al mare da giugno a settembre con mia nonna materna, salvo agosto, quando c’erano anche mamma e papà. Ho vivi ricordi di quel mare stupendo e cristallino, purtroppo sfregiato da oltre trent’anni. Vivi sono anche i ricordi di momenti come la Fiera di San Giuseppe a Cosenza, e soprattutto delle domeniche in cui mio padre mi portava a passeggiare al centro storico.
-Bello come ricordo… Sa una cosa? Per anni, da bambino, mio padre mi ha portato a spasso per vicoli di Cosenza, dove peraltro vivevano i miei nonni paterni, in piazza Duomo, facendomene conoscere ogni angolo e trasmettendomi quell’amore viscerale che nutro ancora oggi per Cosenza vecchia. Che è sempre al contempo anche grande sofferenza, nel vederla abbandonata e cadente, mentre dovrebbe costituire la nostra principale ricchezza.
-E le sue prime scuole a Cosenza? La scuola materna a Corso d’Italia, dove abitavamo, e le elementari a Via Negroni. Poi ho frequentato le medie al Conservatorio "Stanislao Giacomantonio", studiandovi pianoforte, e le superiori al Liceo Classico «Bernardino Telesio». -Ricorda qualche insegnante di quella stagione? Certo. In primis le due bravissime maestre della materna e delle elementari, Maria Marozzo e Amalia Vetere, da cui ho imparato tantissimo. E tra i docenti delle medie ricordo con grande riconoscenza il professore di Italiano, il compianto Antonio Tucci, un allievo di Antonio Guarasci che ha molto segnato la mia crescita in quella fase; e il professore di Matematica, Pasquale Vetere, anch’egli figura per me importante in quegli anni.
-E delle scuole superiori? Sicuramente due docenti straordinarie come Giuseppina Gaudio e Luigia De Theo, con quest’ultima in particolare ho mantenuto stretti e affettuosi rapporti ben oltre gli anni di scuola, fino alla sua scomparsa. Fu lei a proporre a Luigi Gullo la mia nomina a socio corrispondente dell’Accademia Cosentina.
-Professore, come nasce poi la sua scelta universitaria?Nasce dalla mia passione politica.
-In effetti, la ricordo a Cosenza dapprima giovane dirigente liberale e poi tra i leader del movimento No-Global… La politica è la mia più grande, viscerale, passione. Ho iniziato a fare politica a 18 anni, e quando all’Università diedi l’esame di Diritto Costituzionale fu un’illuminazione.
-In che senso?Mi resi conto che la politica, oltre che praticarla, la potevo studiare. E fu decisiva l’assidua frequentazione romana con un giornalista del "Corriere della Sera", Enzo Marzo, da cui ho appreso molto più di quanto possa sintetizzare. Così, pur restando iscritto a Giurisprudenza sostenni oltre metà degli esami a Scienze Politiche, mi laureai con una Tesi in Scienza della Politica e il mio primo Dottorato di ricerca lo vinsi in Sociologia politica.
Poi, un’insoddisfazione crescente per discipline eccessivamente schiacciate sulla contemporaneità, e una serie di fortunati incontri, da Augusto Placanica ai miei maestri, Massimo Firpo e Rosario Villari, mi hanno riportato alla mia passione iniziale, la storia, seppure anche da storico studio soprattutto la dimensione politica.
-Perché a un certo punto ha deciso di partire?Non ho affatto deciso di partire. Volendomi iscrivere a Giurisprudenza, in Calabria al tempo non c’erano Facoltà da poter frequentare. È stata una scelta obbligata.
-E dopo la laurea? Dopo la Laurea alla Sapienza di Roma avrei voluto tornare, e ho vinto un primo Dottorato di Ricerca all’Unical. È vero anche però che dopo tre anni ho lasciato quel Dottorato per vincerne un secondo a Roma, in Storia moderna, avendo nel frattempo maturato la scelta di passare dalla politologia alla storia.
-La ricordo benissimo all’Università della Calabria, e ricordo che lei aveva un rapporto straordinario con i suoi studenti… La ringrazio molto, eppure, senza nessuna polemica, non posso dire che all’Unical abbiano fatto qualcosa per spingermi a restare. Anzi, al contrario.
-Sento tanta amarezza professore nelle cose che mi dice...Direi che posso affermare con certezza assoluta che la mia carriera accademica non sarebbe proseguita, se non me ne fossi nuovamente andato dalla Calabria. Purtroppo, non si tratta di un problema individuale. Una volta esportavamo braccia, oggi esportiamo cervelli. Siamo davvero tanti i calabresi disseminati per il mondo ad avere cattedre universitarie, a dirigere aziende, a divenire primari e a ottenere altri incarichi di prestigio e alta responsabilità.
-Che prezzi si pagano rinunciando a non restare? Prezzi enormi, è una nostalgia continua che diventa parte costitutiva di te. La famiglia, gli amici, i luoghi d’infanzia e dell’adolescenza… Per quanto io sia anche fortunato, perché alla fine mia moglie è come me di Cosenza, e il mio più caro amico degli anni cosentini, Umberto Nigro, alla fine si è trasferito pure lui qui a Torino.
-Eternamente “on the road”? Una cosa va detta, ambientarsi al di fuori del proprio contesto non è affatto facile, come sanno bene i milioni di nostri corregionali costretti a lasciare casa da ben più di un secolo. Spesso, quando dico che per lavoro frequento molto Parigi, mi sento dire: beato te! E mi affretto subito a precisare che un conto è andare a Parigi per un viaggio di svago, ben altro è viverci: le assicuro che non è per niente facile. Naturalmente, poi, è una città meravigliosa che ha un posto elettivo nel mio cuore. Ma la dimensione del viaggio e quella della vita altrove sono due fenomeni estremamente diversi. Certo, l’aver vissuto in tante città differenti credo mi abbia molto arricchito e sprovincializzato, e mi piacerebbe condividere oggi questo bagaglio nella mia città.
-Il suo primo incarico?Il primo corso interamente assegnatomi è stato all’Università Ca’ Foscari di Venezia, nel 2010, ma avevo già avuto diversi contratti di insegnamento e ricerca nei dieci anni precedenti.
-E la sua prima esperienza importante? La frequentazione dei seminari all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, la famosa scuola delle «Annales», dal 2003 al 2009, dove poi io stesso ho tenuto seminari e dove sono stato ricercatore post-dottorato dal 2009 al 2011.
-Posso chiederle qual è la ricerca a cui lo storico Luca Addante è più legato? Ogni libro è un po’ come un figlio, e dunque è davvero difficile se non impossibile esprimere delle preferenze.
-Me ne indichi almeno uno…Diciamo che quello a cui si è più legati è sempre l’ultimo nato, e dunque oggi richiamerei il mio ultimo libro, in uscita tra qualche mese per il mio editore Laterza, di cui le do anticipazione: Le Colonne della democrazia. Giacobinismo e società segrete alle radici del Risorgimento.
-Di cosa si tratta? È il racconto della nascita del primo movimento politico italiano, il movimento giacobino, che diede avvio al Risorgimento e nel quale – mi pare doveroso sottolinearlo qui – ebbe un ruolo di vertice anche un calabrese.
-Me lo spiega meglio per favore?Tra i principali leader di quel vasto movimento che lottò per l’unità dell’Italia in una Repubblica democratica, garante dei diritti politici, civili e sociali, ci fu un cosentino, Francesco Salfi, un personaggio enorme, un rivoluzionario di cui non è stata colta ancora appieno la grandezza e al quale sono particolarmente legato. Come forse ricorderà, nel 2003 ne promossi la traslazione delle spoglie da Parigi, dove era finito in un ossario precluso al pubblico, a Cosenza.
-Le è mai capitato in giro per l'Italia di "vergognarsi" per un solo attimo di essere figlio della Calabria? Guardi, sono perfettamente consapevole degli enormi problemi della nostra regione. Ma io sono orgogliosissimo di essere calabrese. Nonostante siano ormai più gli anni in cui ho vissuto fuori che quelli trascorsi nella mia città, il mio accento cosentino, alquanto marcato, è rimasto tale e quale. Non ho mai fatto nulla per simularlo. E quando vedo nel civilissimo Nord, spesso ancora razzista nei nostri confronti, sacche profonde di inciviltà, non perdo mai occasione di far notare alla gente: dite che siamo noi calabresi, noi meridionali a essere incivili, ma poi non c’è grande differenza. Siamo pur sempre Italiani. Nel bene e nel male.
-Che consiglio darebbe ad un giovane ricercatore che oggi volesse intraprendere la sua carriera?Ricorderò sempre quanto mi diceva Augusto Placanica, negli anni in cui iniziavo le mie ricerche, evocando il grande sociologo Robert Michels, che sosteneva: la strada del professore universitario è lastricata di nefandezze. Purtroppo, sebbene ho avuto la grande fortuna di avere maestri e anche colleghi bravissimi pure sul piano umano, non posso dire che Placanica avesse torto. La carriera universitaria è estremamente particolare e difficile. Detto ciò, se si ha il sacro fuoco della ricerca, è doveroso provarci, e sono determinanti la tenacia e lo studio rigoroso e indefesso.
-Mi dice almeno quale è stata la vera arma del suo successo? La ringrazio, è generoso, ma non lo definirei successo. Spero solo di fare al meglio che posso il mio lavoro. In ogni caso, nel raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissati credo abbiano giocato un ruolo decisivo proprio una tenacia inscalfibile e lo studio «matto e disperatissimo», come lo definiva Leopardi. Ovviamente mi guardo bene dal fare paragoni improponibili. Ma la gran quantità di acciacchi che affliggono il mio corpo, nonostante i miei 53 anni, è direttamente causata dai 9 libri e quasi 100 saggi che ho pubblicato finora, senza dire di qualche centinaio di articoli di giornale. E credo che questo sia quel che più mi ha permesso, insieme alle esperienze internazionali e alla caparbietà, di riuscire a divenire professore universitario, come desideravo, superando la lunga e durissima fase della precarietà accademica.
-Da Cosenza a Roma, da Venezia a Torino, ora a Parigi, immagino sia fiero di una carriera così brillante.Parigi, come le dicevo, la frequento dall’inizio della mia carriera. Certo, aver potuto lavorare in importanti sedi accademiche, l’essere divenuto professore di Storia moderna a Torino, una delle scuole più illustri della modernistica italiana, e ora essere accolto in un’istituzione di prestigio mondiale come l’Institut d’Histoire Moderne et Contemporaine, che riunisce docenti e ricercatori della Sorbona, dell’École Normale Supérieure e del CNRS, è una soddisfazione enorme, e ovviamente ne sono molto fiero, augurandomi di esserne all’altezza.
-Professore, posso chiederle che idea si è fatta della Calabria vista da lontano?Da lontano fino a un certo punto. Con mia moglie e mio figlio torniamo ogni anno per le vacanze di Natale e gran parte dell’estate. Inoltre, sia sentendo continuamente amiche ed amici, sia compulsando quotidianamente periodici calabresi online, sono sempre molto ben informato di come procedano le cose. Pertanto, non posso nasconderle la sofferenza che provo ad ogni rientro. Sono anni che colgo un arretramento preoccupante, soprattutto culturale, ma anche economico, politico e sociale. Sia chiaro, alcuni problemi sono comuni a tutta l’Italia. La decadenza culturale e lo sconcertante basso livello del ceto politico non sono drammi che vive solo la nostra regione. È anche vero, però, che i segnali positivi non mancano mai, e dunque lo sconforto è sempre affiancato dalla speranza. -Le faccio un’ultima domanda, poi la lascio al suo lavoro.
- Da storico, posso chiederle come la vede la sua Calabria tra vent'anni?Lo storico non è mai un profeta che prevede il futuro, semmai è un "profeta del passato", secondo la bella immagine di Friedrich Schlegel. Tradirei il mio mestiere, dunque, azzardando previsioni.
-Così non risponde alla mia domanda… Vede, posso solo esprimere auspici. A partire da quello che, finalmente, la nostra splendida terra permetta ai suoi abitanti di vivervi felicemente. Che non sia più luogo di emigrazione ma di restanza, come auspica il mio amico Vito Teti, e semmai di accoglienza, come ci ha indicato Mimmo Lucano. Ho viaggiato molto, per lavoro e per svago, e posso dire che la Calabria è una regione stupenda, che non avrebbe nulla da invidiare ad altre parti del mondo. Se solo fossimo capaci di farne esplodere tutta la bellezza e di farne implodere tutte le bruttezze. In fondo, lo dimostra la storia, questo dipende soprattutto da noi. E come ci ha insegnato Tommaso Campanella, uno dei calabresi più grandi di sempre, il sogno di un futuro migliore non ce lo potrà mai rubare nessuno.
-Immagino lei abbia ancora un sogno nel cassetto...Vorrà dire, mille sogni nel cassetto? Ma certo, come potrei non averli. Sono nato e cresciuto in un epoca storica del mondo in cui tutto ci è sembrato possibile e realizzabile, e non c’era traguardo che per noi fosse impossibile da raggiungere. Ma immagino che sia stato così anche e ancor più per la sua generazione.
-Spero di rivederla professore…Lo spero anch’io, con immenso piacere. A Natale sarò a Cosenza, mi chiami, avremo modo di raccontarci nuove cose.
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Prima Pagina News