Il Concertone del Primo Maggio: il lavoro che resta, è quello per riparare i danni

Mentre Elodie, Achille Lauro, Lucio Corsi & co. si congratulano tra selfie e cachet per aver “celebrato” il lavoro, Piazza San Giovanni giace sfregiata. Ora paghino loro — e chi ha promosso questo rito stanco — la restituzione di un luogo che appartiene a tutti, non solo alla sinistra spettacolarizzata.

di Maurizio Pizzuto
Domenica 04 Maggio 2025
Roma - 04 mag 2025 (Prima Pagina News)

Mentre Elodie, Achille Lauro, Lucio Corsi & co. si congratulano tra selfie e cachet per aver “celebrato” il lavoro, Piazza San Giovanni giace sfregiata. Ora paghino loro — e chi ha promosso questo rito stanco — la restituzione di un luogo che appartiene a tutti, non solo alla sinistra spettacolarizzata.

Il Concertone del Primo Maggio: il lavoro che resta, è quello per riparare i danni
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È passata la sbornia musicale del Primo Maggio, con le sue luci, i suoi slogan sbiaditi e il solito copione da festival più che da giornata di riflessione sul lavoro. Piazza San Giovanni, cuore simbolico di Roma e d’Italia intera, si risveglia oggi non con la forza delle idee o l’eco delle rivendicazioni sociali, ma con panchine divelte, prati distrutti, rifiuti ovunque e un silenzio imbarazzante sul costo reale — materiale e morale — di questa rappresentazione grottesca.

Mentre Elodie, Achille Lauro, Lucio Corsi e gli altri protagonisti del Concertone tornano ai loro tour e cachet generosi (pagati, in parte, anche dalla RAI con i soldi pubblici), ai romani resta una piazza devastata. Eppure nessuno dei cantanti ha pensato di devolvere una parte del compenso per la manutenzione della piazza, per restituirla alla città che li ha accolti. Nessuno — e nemmeno gli organizzatori — ha pensato che forse, dopo aver "risolto" in musica i problemi del lavoro in Italia, sarebbe stato il caso di fare qualcosa di concreto per un luogo che non appartiene solo a una parte politica.

Perché Piazza San Giovanni non è la piazza della sinistra, o meglio, non lo è solo. È la piazza del popolo, dei romani, di chi lavora e di chi cerca lavoro. È la piazza delle manifestazioni vere, non dei palchi patinati. E ogni anno, puntualmente, viene violata da un evento che ha perso ormai ogni legame con le sue origini. Il Concertone non è più un grido per i diritti, ma un contenitore vuoto — un palco da cui si fa più autopromozione che denuncia, più marketing che memoria.

Nel frattempo, le morti sul lavoro continuano a salire, i familiari delle vittime aspettano ancora giustizia e risarcimenti. Nessuno ha ricordato veramente quelle tragedie, nessuno ha dato voce alle storie concrete. Solo frasi fatte, ritornelli da slogan, mentre dietro le quinte tutto resta com’era. Anzi: peggio.

E allora venga chiesto conto anche a chi ha consentito questo ennesimo scempio. Il sindaco Roberto Gualtieri, il segretario della CGIL Maurizio Landini, Luigi Sbarra, Carmelo Barbagallo — paghino loro per i danni a Piazza San Giovanni. Se l’hanno concessa con tanta leggerezza, che ora ne riparino le ferite. Così come paghino simbolicamente anche gli artisti coinvolti, con una donazione pubblica, almeno per dimostrare di non essere solo testimonial di una causa che usano ma non vivono.

Il Concertone è diventato un rito anacronistico, autoreferenziale, incapace di parlare davvero al mondo del lavoro di oggi. E forse è arrivato il momento di archiviarlo. Non perché la musica non possa essere politica — lo è eccome, quando sa essere sincera. Ma perché questa celebrazione ha smesso da tempo di rappresentare chi lavora. E ora, a guardar bene, rappresenta solo chi sale sul palco.


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