Sei sicuro di voler sbloccare questo articolo?
Alla “Giostra cavalleresca di Sulmona”, l'Arma dei Carabinieri è stata presente con due pattuglie ippomontate del 4° Reggimento a Cavallo.Un evento nell’evento, che ci riporta al Carosello Storico dei carabinieri a Cavallo. Pino Nano ci racconta la storia del mitico Franz Chiaravalloti, il Colonnello Comandante del Reggimento dell’Arma.
Alla “Giostra cavalleresca di Sulmona”, l'Arma dei Carabinieri è stata presente con due pattuglie ippomontate del 4° Reggimento a Cavallo.Un evento nell’evento, che ci riporta al Carosello Storico dei carabinieri a Cavallo. Pino Nano ci racconta la storia del mitico Franz Chiaravalloti, il Colonnello Comandante del Reggimento dell’Arma.
Franz Chiaravalloti è un uomo solenne, un pezzo dello Stato al servizio del Paese, una delle tante eccellenze italiane che in tutto il mondo invidiano se non altro per avere il grande privilegio di guidare lo storico carosello dei carabinieri a cavallo che ogni anno a Piazza di Siena affascina intere generazioni di appassionati.
“Sono cresciuto guardando e cavalcando i cavalli, e la prima volta che mio padre mi mise sulla groppa di un cavallo avevo solo cinque anni. Da quel giorno i cavalli sono stati la mia grande e forse vera e unica passione di vita. Da giovanissimo ufficiale dell’Arma ero stato assegnato a questo reparto, dove oggi ho chiesto di poter ritornare prima di lasciare l’Arma per sempre”.
Al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri tutti lo conoscono meglio come il Colonnello Comandante Francesco Maria Chiaravalloti, “L’uomo che sussurra ai cavalli”, il grande “amico calabrese degli animali”, il “re del carosello storico”, “padre-padrone” di questa nicchia dorata dove l’Arma dei Carabinieri alleva custodisce e allena i suoi migliori puledri di razza.
Esperto di strategie militari, profondo conoscitore della diplomazia militare, una bella parentesi della sua vita vissuta da Capo di Stato Maggiore a Parigi, documentatissimo, una memoria di ferro, Franz Chiaravalloti ricorda di ogni cosa nomi cognomi e luoghi di riferimento. Non c’è anno che non gli ricordi qualcosa, non c’è missione all’estero che non lo riporti all’attualità della guerra in Ucraina, lui che di guerre ne ha viste tante e in presa diretta, lui che riannoda i fili di decine di inchieste passate sotto le sue mani come se giocasse e rimontasse il cubo di Kubrik, la più famosa forse la vecchia indagine della procura di Palmi sulla massoneria deviata di Licio Gelli, ne era titolare il procuratore Agostino Cordova, lui che tra i ricordi del cuore si porta dentro il carisma di Antonio Martino, allora Ministro degli esteri, e che lo scelse per mettere in piedi la grande commemorazione del terremoto di Messina del 1908 in onore della Marina Russa che nel febbraio del 2006 venne gemellata con la Marina Militare Italiana, una sorta di riconoscimento postumo a chi in quelle ore e in quei giorni aiutò le nostre popolazioni violentate dal sisma. Di tutto questo ed altro ancora Franz Chiaravalloti è testimone esclusivo.
Icaro, Bruco, Cupido, Asia, Asia forever, Bizzarro, Brasco, Bandito, Boriosa, Duilio, Imbroglio, Impavido, Impaziente, Lupin, Mosaico, Maestoso, Tempesta d’aria, Pagaso, Pindaro, Raggio d’estate, Pluto, Tempesta, Tornado, Uragano del Tirso, Zefiro, Zapatero, Baltico, Pippo, Tango, Ritmo, Stravinsky, Sogno notturno, Milton, e via dicendo.
Sono solo alcuni dei “carabinieri a quattro zampe”, solo alcuni dei tanti nomi di fantasia assegnati ai puledri della scuderia dei Carabinieri, che qui sono 250, sempre pronti, sempre allenati, sempre perfettamente puliti, sempre meravigliosamente fieri e forti della loro possente bellezza. Animali trattati come ospiti d’onore di un resort di lusso, a cui non far mancare nulla di nulla, da servire di tutto punto, e da trattare con enorme dolcezza.
Franz Chiaravalloti prima ci porta a vedere le loro stalle, la loro clinica veterinaria, i loro spazi verdi, la loro lavanderia, poi al rientro nella sua stanza ci prega di leggere insieme a lui la preghiera del cavallo e “questa forse -sorride l’alto ufficiale- è la parte più vera di questo nostro mondo”.
Franz Chiaravalloti e i cavalli sono una cosa sola, lo si coglie con mano dal modo come li guarda, come li accarezza, come si avvicina ad ognuno di loro, ne conosce nome caratteristiche età e origine di provenienza, è come se al posto del cervello questo “guardiano di cavalli” avesse un archivio sempre aperto e pronto per l’uso, e se uno di loro ha una macchia sul dorso o un qualcosa di strano sulle zampe chiama il fantino che lo segue e che lo ha in consegna per informarsi meglio.
Ma come si fa a ricordarsi di tutto e di tutti? È più forte di lui, da quando Franz è rientrato a casa, non fa che vivere per loro e per gli uomini a cui ogni puledro è stato assegnato.
La “squadra”, ecco la vera “fissa” di questo alto ufficiale dell’Arma. Per tutta la durata del nostro incontro lui non fa che parlare al plurale, non conosce la parola “io”, non usa mai questo termine “io”, in continuazione parla invece come se insieme a lui ci fosse sempre il suo battaglione, i suoi uomini, i suoi cavalli, i suoi stallieri, “noi” “noi” e poi ancora “noi”, esasperatamente, amorevolmente, con insistenza, a volte in maniera anche parossistica, come se avesse paura di stare solo o di ritrovarsi un giorno da solo.
In questa stanza, in questo suo studio di Comandante del Reggimento Carabinieri a cavallo Franz Chiaravalloti ha di fatto traslato sé stesso e la sua vita. Definirlo uno studio è quasi ridicolo. Più che uno studio questa suo mondo è una museo parlante, dove lui ci ha messo di tutto e di più, fotografie di ogni tipo, a colori e in bianco e nero, le foto dei suoi avi, carabinieri come lui, le foto dello storico carosello dei suoi uomini, le staffe che i carabinieri a cavallo usavano un secolo fa, in una teca gelosamente custodito un drappo dello stendardo del Reggimento, le sciabole di ordinanza, pezzi di puro antiquariato, un grande affresco cavalleresco alle spalle della scrivania e mille oggetti personali sparsi per l’aria. Dire un museo è davvero molto riduttivo, ma la cosa che più colpisce di questa stanza rivestita di legno noce come solo un tempo gli artigiani sapevano fare nelle case più aristocratiche è l’ordine quasi maniacale dell’esposizione di tutti questi oggetti, alla parete di sinistra entrando da fuori una tela d’autore, il dipinto di un famosissimo artista spagnolo, una chicca di grande valore che non tutti per fortuna sanno riconoscere a prima vista. Solenne come location, va detto, in aperto contrasto con quello che da fuori potrebbe sembrare invece a prima vista un semplice maneggio per cavalli lipizzani di razza.
-Comandante, ma il giorno in cui lei dovrà lasciare per raggiunti limiti di età il suo compito e il suo ufficio cos’altro farà nella vita?
“Tornerò in pensione a Pizzo. La mia è la casa più alta di Pizzo, nel senso che è la casa che dall’alto domina meglio Pizzo, e mi piacerebbe trasformarla in un sorta di piccolo museo, museo della mia famiglia, museo della mia vita in giro per il mondo, museo del mio mondo più segreto e più intimo. Poi vorrei poter regalare al comune di Pizzo la grande biblioteca di casa nostra, che è enorme, vorrei che tutto questo possa essere utile a qualcuno dopo la mia morte, e vorrei poter lasciare un segno d’amore tangibile alla gente del mio paese natale. Dopo la pensione non ho nessun dubbio, tornerò sul mare, tornerò a vivere sul mare e per il mare, e mi metterò al servizio della mia gente di sempre”.