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I media tradizionali, in testa quotidiani e televisione, restano per la maggioranza degli italiani le fonti di informazione più affidabili, c’è scetticismo verso le news guidate dall’intelligenza artificiale.
I media tradizionali, in testa quotidiani e televisione, restano per la maggioranza degli italiani le fonti di informazione più affidabili, c’è scetticismo verso le news guidate dall’intelligenza artificiale.
Si informano scegliendo gli strumenti digitali che hanno a portata di mano (social media e motori di ricerca) ma in realtà si fidano di più di giornali e telegiornali. Considerano importante l’informazione (68,4%) ma poi la maggioranza dedica meno di mezz’ora al giorno (63,5%) a scoprire cosa succede in Italia e nel mondo. Ammettono però, 8 su 10, di avere difficoltà a capire se una notizia è vera o falsa. Chiedono più regole, anche per chi fa informazione senza essere un giornalista, e temono l’intelligenza artificiale, che non sembra portare nulla di buono in termini di affidabilità e imparzialità.
Sono gli italiani al tempo della disintermediazione, l’informazione senza filtri professionali, che arriva loro incontro da mille fonti, affidabili e non, e li disorienta.
Spingendoli – è il primo paradosso fra i tanti riscontrati dalla ricerca – a un consumo dettato più dalla convenienza e dall’abitudine che da una scelta di fiducia. Gli italiani attingono da fonti che essi stessi, in larga misura, non reputano attendibili, evidenziando una vulnerabilità strutturale nel modo in cui la società accede alla conoscenza.
Ecco il quadro che emerge dalla ricerca demoscopica "Senza filtri: l’informazione nell’epoca della disintermediazione tra opportunità e caos" condotta a maggio 2025 da AstraRicerche su un campione rappresentativo della popolazione italiana (1.023 interviste, metodo cawi, su un campione 18-70enni residenti in Italia).
L'indagine è stata promossa da INC, una delle principali società italiane di consulenza e PR, che quest’anno celebra 50 anni di attività. Con un team di 60 persone, tra Roma e Milano, un portfolio di oltre 50 clienti tra cui numerosi brand di primo piano italiani ed internazionali ed un fatturato che nel 2025 supererà i 6,5 milioni di euro (che negli ultimi cinque anni ha registrato un tasso annuo di crescita dell’11%), INC è oggi una delle principali agenzie di PR del Paese, inserita quest’anno da PRovoke Media tra le 50 migliori agenzie PR in Europa.
Resi noti oggi, i dati fotografano una nazione che ritiene i giornalisti sempre più affidabili ma sempre meno seguiti, con una crescente difficoltà nel distinguere le fake news ed un timore condiviso verso nuove formule di accesso all’informazione come l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
“In questo contesto, fatto di informazione onnipresente e fiducia intermittente, emerge, da parte degli Italiani, una domanda di competenza e affidabilità che chiama in causa tutti noi che ci occupiamo di comunicazione: giornalisti, influencer e creators, professionisti che operano in azienda e nella consulenza. La ricerca offre spunti di riflessione cruciali anche per le strategie di comunicazione di brand e organizzazioni. Perché in un mondo dove tante persone trovano difficoltà a distinguere le notizie vere da quelle false, il rischio che una fake news, alimentata da algoritmi, intelligenze artificiali e condivisioni inconsapevoli, possa danneggiare la reputazione di un’azienda o di una NGO, è reale e tangibile. Ed è un rischio che va gestito con attenzione e professionalità” dichiara Pasquale De Palma, Presidente e Amministratore delegato di INC.
Nell'era della disintermediazione e dell’informazione senza filtri, gli italiani vivono un rapporto profondamente contraddittorio con l'informazione. La consumano voracemente attraverso gli strumenti digitali che hanno a portata di mano, ma quando si tratta di fiducia guardano ancora con convinzione ai media tradizionali, con in testa quotidiani e telegiornali.
“Assistiamo a un fenomeno nuovo, che potremmo definire di masochismo informativo... Consideriamo importante l’informazione ma poi scegliamo soprattutto i canali - social media, aggregatori di notizie, amici e familiari - che pure riteniamo meno attendibili rispetto ai media tradizionali, on line e cartacei, nei quali invece abbiamo massima fiducia. Spetta a noi professionisti dell'informazione cercare di capire cosa si può fare per uscire da questo vicolo cieco e come aiutare gli italiani che sembrano disorientati e non in grado di farcela da soli. Bisogna anche avere il coraggio di dire che la disintermediazione oggi è un rischio per le democrazie, fortemente voluta da poteri politici ed economici e dagli interessi delle piattaforme social, che la guidano e la alimentano, sempre perseguendo un interesse personale che non coincide con la verità” commenta Paolo Mattei, vice Presidente di INC, che ha coordinato il gruppo di lavoro sulla ricerca.
“Urge colmare il divario tra consumo e fiducia, investire in alfabetizzazione mediatica per dotare i cittadini degli strumenti per orientarsi, e definire un quadro di regole che responsabilizzi tutti gli attori dell'ecosistema informativo, vecchi e nuovi. Dalla ricerca emerge chiaramente come la richiesta non sia di tornare a un passato di pochi detentori dell’informazione, ma di costruire un futuro in cui la libertà di informazione sia sinonimo di qualità e non di caos” spiega Cosimo Finzi, Direttore di AstraRicerche.
La dieta mediatica giornaliera: 7 italiani su 10 si informano dalla tv
Più ascoltati amici e conoscenti rispetto ad un quotidiano
Gli italiani sono attivamente impegnati nel consumo di informazioni attraverso una pluralità di canali. I mezzi tradizionali mantengono una forte presa, ma convivono con l'ascesa delle piattaforme digitali e la perdurante forza del passaparola. La TV si conferma il mezzo più utilizzato regolarmente (70,8%), seguita a ruota da familiari, amici e conoscenti (61,6%), dai social network (60,0%) e dagli strumenti di messaggistica con canali dedicati (57,1% - un ‘salto’ in avanti enorme). Interessante notare come gli aggregatori di notizie (46,5%) e i siti/portali Internet (42,6%) siano anch'essi ampiamente utilizzati, superando in diffusione i quotidiani (40,4%) e i periodici/riviste (29,7%), sia cartacei che online. Questo evidenzia il cambiamento nelle abitudini di consumo, con un'utenza che cerca rapidità e aggregazione di contenuti.
I podcast e i video, sebbene in crescita (38,1%), non raggiungono ancora la radio (43,7%) e sono sempre più percepiti come intrattenimento a discapito dell’informazione.
Affidabilità dell'informazione: i paradossi del cittadino disorientato
Quando si tratta di affidabilità, emerge un quadro più complesso. Nonostante la vasta diffusione, i social network e gli strumenti di messaggistica sono percepiti come meno affidabili rispetto ai media tradizionali. La TV (42,3%) e i quotidiani (40,8%) sono considerati i più attendibili, quasi a pari merito. Sorprendentemente, i familiari, amici e conoscenti, pur essendo una fonte ampiamente utilizzata, sono ritenuti affidabili solo dal 29% degli intervistati, allineandosi a siti e portali Internet (29,4%) e aggregatori di notizie (29,4%). I podcast e i video, così come i blog e le community online, sono ancora lontani dai livelli di fiducia dei media tradizionali.
La percezione di affidabilità di una notizia è fortemente legata a chi la diffonde e a come viene presentata. La maggioranza degli intervistati (45,7%) ritiene più affidabile una notizia data da un divulgatore non giornalista (scienziati, ricercatori, docenti), superando di poco i giornalisti (41,7%) segno di una crescente ricerca di competenze (vere o presunte) e autorevolezza specifiche. In netta minoranza si trovano influencer, youtuber, tiktoker (8,2%) e personaggi pubblici (17,6%), a conferma della scarsa fiducia riposta nella loro capacità di veicolare informazioni veritiere.
In mezzo alla classifica i rappresentanti delle Istituzioni e i politici (25.6%).
30 minuti al giorno per informarsi. 4 su 10 hanno condiviso notizie false
La maggior parte degli intervistati (63,5%) dedica meno di 30 minuti al giorno all'informazione, con un 30,5% che si limita a 20 minuti o meno. Solo il 13,4% degli italiani si informa per un'ora o più. In un mondo complesso e ricco di informazioni, è un tempo medio molto basso.
Capita con una certa frequenza di verificare una notizia altrove: lo fa spesso il 28,2% del campione, a volte il 50,6%, mentre solo il 21,2% lo fa raramente o mai.
La preoccupazione per le fake news è piuttosto diffusa: alla maggioranza degli intervistati capita di leggere una notizia e pensare che possa essere falsa (59,5% a volte, 24,2% spesso).
La difficoltà nel capire se una notizia è falsa è percepita come media (così così per il 41,7%, abbastanza 34,2%, solo il 6,9% lo considera molto difficile). In sintesi, solo 4 su 10 ritengono che sia molto o abbastanza difficile: una possibile sottovalutazione del problema.
E infatti un'alta percentuale di italiani (83,8%) ammette di aver creduto a notizie false in passato (10,3% più volte e 73,5% qualche volta).
Un dato significativo è che il 42% ha condiviso notizie poi rivelatesi false.
Di fronte a una notizia che smentisce le proprie convinzioni, la maggioranza tende ad approfondire e verificare con altre fonti, sia che la notizia provenga da giornalisti (64,9%) che da influencer (66,2%). Tuttavia, c'è una netta differenza nella reazione iniziale: se la notizia viene da un giornalista, solo il 7,1% tende a pensare che sia falsa, mentre questa percentuale sale al 24,5% se la fonte è un influencer.
Nel confronto con familiari e amici che hanno idee diverse, la maggioranza (59,7%) preferisce ascoltare senza cercare di convincere o farsi convincere, o al limite ascolta per capire se le sue opinioni possano essere sbagliate (24,7%), dimostrando una certa tolleranza e apertura.
Abbastanza comune anche il confronto attivo per verificare la veridicità di una notizia (a volte 55,9%, spesso 16,2%).
Sull'influenza e il controllo dell'informazione, la percezione è che i poteri economici (60,9%) e politici italiani (60,5%) siano i principali responsabili della diffusione di notizie "di parte" o fake news, seguiti dagli interessi delle piattaforme social (55,9%) e dai poteri politici esteri (55,8%).
Più regole per i comunicatori del web. Chi controlla i controllori?
C'è una chiara richiesta di maggiore regolamentazione per tutti i comunicatori online: il 62,3% ritiene che le regole deontologiche dei giornalisti dovrebbero essere applicate a chiunque comunichi sui mezzi di informazione. Tuttavia, quasi la metà (50,1%) crede che anche molti giornalisti non rispettino tali regole.
Il controllo delle fake news da parte delle piattaforme è un tema caldo. Il 65,0% degli intervistati ritiene che il gruppo di persone che controlla le notizie dovrebbe essere scelto senza preconcetti, e il 60,8% vede un rischio nel controllo basato solo sugli utenti.
Interessante è la percezione di chi determina il flusso delle informazioni online: i giornalisti e i media tradizionali (45,1%) sono ancora visti come i principali attori, seguiti a ruota dalle piattaforme con i loro algoritmi (43,8%). Meno influenti in questo senso i cittadini che condividono contenuti sui social networks (28,0%), istituzioni e governi (27,1%) e – ancor meno - influencer e creator (16,5%).
News personalizzate un rischio, dall'AI il timore di informazioni false
La maggior parte degli utenti (70,0%) è consapevole che siti e portali online mostrano notizie personalizzate in base alle loro abitudini.
Questo è percepito come un rischio - sia perché tende a confermare le opinioni preesistenti degli utenti (59,9%) sia perché limita l'ampliamento degli interessi (61,8%) - più che un aiuto nel trovare le notizie rilevanti per loro senza fatica (40,7%).
Infine, anche l'introduzione dell'Intelligenza Artificiale nella sintesi delle notizie è vista più come un rischio che come un aiuto: prevalgono i timori di informazioni non corrette (58,4%) e di una minore sollecitazione alla verifica delle fonti (57,0%), rispetto all’aiuto dato agli utenti (37,9%).