Ricercatori precari: il Consiglio di Stato, rimette il Ricorso alla Corte di Giustizia Europea

Confidiamo che l’Unione Europea possa restituire a una generazione di studiosi dimenticata dal proprio Paese quella dignità che, da ormai un decennio, con la complicità di tutte le forze politiche che si sono succedute al Governo, le è stata tolta.

(Prima Pagina News)
Lunedì 13 Gennaio 2020
Roma - 13 gen 2020 (Prima Pagina News)

Confidiamo che l’Unione Europea possa restituire a una generazione di studiosi dimenticata dal proprio Paese quella dignità che, da ormai un decennio, con la complicità di tutte le forze politiche che si sono succedute al Governo, le è stata tolta.

A partire da febbraio 2018, con l’assistenza dello Studio Legale Grüner Dinelli per la tutela, tra gli altri, dei ricercatori a tempo determinato delle Università, il Consiglio di Stato, su ricorso di alcuni ricercatori precari di Perugia, ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea cinque questioni pregiudiziali di interpretazione della c.d. legge Gelmini, nella parte in cui essa precarizza strutturalmente la figura del ricercatore universitario (in coda a questo Comunicato Stampa il dettaglio dei quesiti posti dal Consiglio di Stato alla Corte di Giustizia). Anche il Consiglio di Stato, quindi, dopo che già il Tar aveva adottato un’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia, dubita della conformità al diritto dell’Unione Europea, e in particolare all’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, del diritto nazionale in materia di ricercatori a tempo determinato delle università. A questo punto si attende la decisione della Corte di Giustizia, che, qualora dovesse essere nel senso della illegittimità del diritto nazionale, aprirebbe scenari di stabilizzazione anche per l’unica categoria finora sistematicamente esclusa da ogni forma di tutela, vale a dire quella dei ricercatori precari delle università. Il CIPUR auspica che le ordinanze del Consiglio di Stato possano servire da monito per il legislatore nazionale, affinché quest’ultimo voglia finalmente mettere mano alla riforma di una legge iniqua, che non solo ha prodotto effetti negativi sulla qualità della ricerca universitaria, ma ha anche peggiorato enormemente la qualità della vita dei protagonisti della ricerca. Giovani e meno giovani che, nonostante brillanti percorsi accademici alle spalle, e nonostante il conseguimento, in molti casi, della ASN (Abilitazione Scientifica Nazionale), si sentono abbandonati a loro stessi e senza un futuro, costretti dopo anni di precariato ad elemosinare ancora un assegno di ricerca o un altro contratto precario, pur di non vedersi estromessi dal circuito della docenza universitaria. Le risposte dei Governi finora sono state affidate a piani straordinari per il reclutamento di ricercatori a tempo determinato di tipo B, che, oltre a risultare del tutto insufficienti dal punto di vista quantitativo, non fanno altro che aggravare ulteriormente la condizione di precari di migliaia di ricercatori che hanno già ampiamente dimostrato di essere meritevoli e di potersi occupare stabilmente della didattica e della ricerca. Anziché agire sulla causa dell’emergenza e della disfunzione, rottamando finalmente una legge ingiusta, gli ultimi Governi si sono limitati a somministrare dei palliativi, indebolendo sempre di più un ambito strategico per la crescita del Paese, quello della ricerca e della didattica universitarie. Basti pensare che, a fronte della perdita di 10 mila unità di personale negli ultimi dieci anni da parte del sistema universitario, l’unica categoria che è aumentata esponenzialmente è stata quella dei precari. Tutto ciò, evidentemente, conduce a risultati molto distanti dagli obiettivi dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato di cui alla direttiva n. 1999/70/CE, secondo cui «i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento». Allo stesso modo, la Carta Europea dei Ricercatori prevede che «I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero garantire che le prestazioni dei ricercatori non risentano dell’instabilità dei contratti di lavoro e dovrebbero pertanto impegnarsi nella misura del possibile a migliorare la stabilità delle condizioni di lavoro dei ricercatori, attuando e rispettando le condizioni stabilite nella direttiva 1999/70/CE del Consiglio». 


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