Teatro, Lecce: Pino Quartullo in scena con l'"Oreste" di Euripide

Appuntamento domani alle 21, all'ex Convento dei Teatini, nell'ambito della rassegna "Mitika".

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Lunedì 18 Agosto 2025
Lecce - 18 ago 2025 (Prima Pagina News)

Appuntamento domani alle 21, all'ex Convento dei Teatini, nell'ambito della rassegna "Mitika".

A Lecce, ex Convento dei Teatini, per “Mitika, teatro e mito nella contemporaneità”, rassegna del Comune di Lecce-Puglia Culture in collaborazione con Aletheia teatro, direzione artistica di Carla Guido, domani 19 agosto alle 21 in scena Pino Quartullo con Oreste, di Euripide, adattamento e regia di Alessandro Machìa (Làros di Gino Caudai/Compagnia Zerkalo).

Insieme a Pino Quartullo: Marco Imparato, Giulio Forges Davanzati, Alessandra Fallucchi, Claudio Mazzenga, Silvia Degrandi, Alessia Ferrero, Tommaso Garré, Valeria Cimaglia.

Rappresentato per la prima volta nel 408 a.C. in un’Atene logorata dalla guerra e ormai vicina alla sconfitta definitiva, l’Oreste di Euripide è la libera e corrosiva rilettura di uno dei miti più rappresentati nel teatro tragico. Oreste, braccato dalle Erinni e preda dei rimorsi per il matricidio commesso, viene condannato a morte dall’assemblea degli Argivi.

Abbandonato al suo destino dal dio Apollo – che l’aveva spinto al delitto – e dal pavido zio Menelao, che ritorna vanesio e trionfatore fingendosi estraneo a ogni responsabilità; perseguitato dalle Erinni e in preda al deliquio, in uno stato di allucinazione e di profonda prostrazione psichica, Oreste medita una sanguinaria vendetta su Elena e Menelao – forse l’unico atto totalmente libero e pienamente cosciente del giovane figlio di Agamennone.

Ma non riuscirà a portare a termine il suo piano omicidiario, il suo gesto di libertà, per il bizzarro ed estremo intervento di Apollo, che imporrà la pace tra il giovane matricida e Menelao, divinizzando addirittura Elena.

Vicenda cupa e angosciosa dal finale solo apparentemente lieto, questa tragedia, oltre a essere una delle più riuscite prove drammaturgiche di Euripide, è una vera e propria indagine sul sacro e sul divino coi mezzi della tragedia.

Qui, ancor più che nell’Ifigenia in Aulide, Euripide ingaggia un corpo a corpo con le divinità olimpiche, facendo emergere la loro insufficienza e la necessità di un ordine superiore. Euripide sembra spingere contro le pareti del tragico, sembra volerlo mettere in discussione, decostruire un genere, una tradizione che gli arriva dal modello soprattutto eschileo. Prova ne è la convenzionalità del deus ex machina euripideo, qui ancora più artificioso che nelle altre tragedie, che interviene nel momento di più alto parossismo per stabilire una pace molto poco credibile.

È proprio l’artificiosità della soluzione finale euripidea a rivelare da un lato la distanza siderale del dio, la sua differenza ontologica rispetto agli umani; dall’altro l’impossibilità di ogni conciliazione e l’illusione della catarsi, resa tale dalla pervasività del tragico connaturato all’umano. Rimane allora l’uomo, abbandonato alle sue scelte e alla sua coscienza.

L’irruzione del dio Apollo, che ferma Oreste e il suo piano omicidiario, è un gesto di umiliazione dell’umano a cui il Dio non consente nulla di veramente libero, neanche nel male. Euripide anticipa così – per contrasto e in maniera vertiginosa – un tema che si affaccerà soltanto col cristianesimo per poi diventare il tema par excellence della modernità: la libertà.


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