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La cultura della sorveglianza impera. Tutti schiavi di un Feudalesimo digitale.
La cultura della sorveglianza impera. Tutti schiavi di un Feudalesimo digitale.
Collassate le grandi visioni universalistiche del Novecento, i processi di liberazione ed emancipazione dei popoli, l’illuminazione progressiva della razionalità e del diritto, le griglie assiologiche che hanno guidato per secoli l’uomo offrendogli sempre finalità collettive e palingenetiche per cui battersi e morire, tutto accade oggi secondo ribalte effimere, soundbite e mot d’ordre, auto-consacrazioni e scatenamenti, deflagrazioni e ripiegamenti, reacting più o meno pilotati, scepsi e schisi che spaccano l’intero parco sociale trasformando il consenso in una sorta di allergia, di affezione locale.
La tradizionale “opinione pubblica” è composta e squassata da casse di risonanza, campane di vetro, mai permanenti e mai eticamente sedimentate, campi fonetico-visivi che hanno le loro terminazioni nervose nei milioni di megabyte di dati che condividiamo fra web, tv e media integrati, e che occludono il libero dispiegarsi del nostro sentire e capire, fino al punto da risultare periodicamente e pervasivamente soffocanti e di quasi impossibile superamento.
Siamo nell’epoca della Cultura della sorveglianza (Luiss) omonimo titolo dell’ultima opera del grande sociologo David Lyon; una sorveglianza liquida e consensuale, morbida e discreta, non più statale e solo sociale ma frutto della “collusione tra le forze del governo e delle corporation” e di una triade rappresentata, secondo l’autore, da Paura, Familiarità e Divertimento: tutto è desiderio intercettato, conformismo coibentato, cattura di informazioni private strategiche da parte di tecnologie accelerate e ubiquitarie, personalizzazione delle offerte e gamificazione delle vite che perdono l’orizzonte chiaro della servitù e della controffensiva possibile.
“Malgrado Orwell – dice Lyon -, la società della sorveglianza è arrivata e non indossa gli stivali della brutale repressione, ma i vestiti eleganti dell’efficienza hi-tech. Non è arrivata da uno stato autoritario, ma da aziende che dicevano di voler conoscere meglio i loro clienti per poter dare loro proprio le merci e i servizi che desideravano”.
L’unione perversa di vecchi broadcast e di social impazziti e sovraccarichi, televisione e Rete, consumismo, network e spettacolo, ha creato stati infiammatori di quell’organismo chiamato “opinione pubblica”, sempre più depistata, arsa viva dall’aggressione torrenziale di aggiornamenti privi di una dimensione democraticamente vagliata e accettata, ed educativa, bisognosa di un incondizionato legame fiduciario con quegli agenti istituzionali che ormai impongono tempistiche, condotte, mobilità, nuovi obblighi e ci promettono la difesa della Salute, la liberazione dal demone del Pericolo.
Dunque, lo Stato non sparisce, anzi si riposiziona in una versione custodialista e dirigista, tutrice e violentemente bonaria (Draghi docet da noi) che fa uso del cyberspazio in una maniera spavalda e repressiva. Ne sa qualcosa la Cina ben indagata in Red Mirror (Laterza) dal giornalista del Manifesto Simone Pieranni, basti vedere cosa i seguaci di Xi Jinping hanno fatto nella regione dello Xinjiang per tenere sotto controllo la minoranza sgradita degli Uiguri, unendo nella stessa catena perversa investimenti di ri-urbanizzazione, telecamere che monitorano il territorio millimetricamente, telemetrie sui visi delle masse, e addirittura una neo-colonizzazione familistico-poliziesca nelle case stesse degli abitanti attraverso l’ibridazione gruppale con fedelissimi del regime mandati apposta in loco nei domicili dell’etnia discriminata.
Ecco che, allora, unendo la disinibizione del Potere e la reticolarità soft dei nuovi innesti interattivi, si corre il rischio di vivere in una camera ecoica gigantesca a forma di globo terracqueo, in quelle che tecnicamente si chiamano echo chamber, e che come vediamo non riguardano solo Internet - ovvero spazi tele-virtuali dove ci si asseconda reciprocamente auto-rinforzando spesso il proprio nulla conoscitivo, con bias di conferma che si sclerotizzano come pregiudizi aprioristici e una post-verità sempre più cinica e auto-grata che si sostituisce al duro lavoro del confronto e ad una comprensione lucida e finalizzata.
Qui la grotta degli echi sono intere città, intere lande, tendenzialmente l’intero universo transnazionale della comunicazione integrata e della politica globalizzata, come accade, secondo Pieranni, con Terminus, una delle start-up più rampanti del nuovo “tecno-orientalismo” che ingegnerizza compound interi innervando l’Internet of Things (IoT) e l’Intelligenza artificiale, utilizzando videocamere, schermi, reparti di intelligence, impronte vocali, geolocalizzazioni sui comportamenti di chi vi risiede. Senza chiamarla persecuzione, ma in nome della sicurezza e della reciprocità condominiale, of course, riadattate nei termini di una vera e propria enciclopedia di big data che dalle smart city transita direttamente nelle segrete stanze del Governo centrale.
Ecco il supplizio di un cyberspazio che allea spaesamento e fissità, turbamento e pietrificazione, inquietudine e omologazione dentro i dettami di una Fobocrazia generalizzata, priva della nobiltà della sovranità, ma non della spartana concretezza e consecutività degli ordigni della Paura: pose e postulati di un Potere che scolpisce e ammala le coscienze, come tanti trombi che creano un ictus psichico e sociale nella circolazione del senso.
Siamo nel Feudalesimo digitale (Asterios) secondo la felice espressione usata in uno degli ultimi libri del filosofo Emanuele Bazzanella. Viviamo in una “bolla onnicomprensiva e climatizzata”, dice l’autore, e quella che un tempo era la funzione del signore-cavaliere rispetto ai suoi braccianti, quella cioè di offrire protezione militare in cambio di servigi e coltivazioni, ora è assolta da un sistema di delega e vincoli che intratteniamo con circuiti impersonali, amministrativi, procedurali, tecnicistici e spesso immateriali ai quali chiediamo di non farci rischiare l’incolumità personale, pena però il cadere in nuove forme di terrore e paranoia innescati proprio dai servomeccanismi e dalle governance definite “scientifiche” che ce ne dovrebbero affrancare.
Al prezzo, rimarca Bazzanella, di una deprivazione (chi in realtà ci aiuta se non guardiamo in faccia nessuno?) e di una alterazione profonda (non sono più una persona umana ma la somma delle peculiarità e degli skill che gli algoritmi aggregheranno e si prenderanno la “responsabilità” di capire).
E non è quello che sta accadendo proprio con le minuziosità regolari e iper-ramificate che sono state adottate ormai da quasi due anni per affrontare il Covid, la cui invisibile ostilità è ormai utilizzata per creare i presupposti di una totale sedazione cognitiva nelle popolazioni, atterrite alla sola idea di ammalarsi e finire “intubate”, e dunque capaci solo di assimilare i diktat di una Casta deliberante di incapaci - e spesso impostori - pronti solo a ventilare il mantra vaccinale, dimenticare i propri orrori istituzionali e bastonare i dissidenti con idranti e tecniche anti-sommossa di tipo cileno?
Ancora una volta dobbiamo ammetterlo: lo Stato non cessa di esistere, ma nella sua versione meno parlamentare e inclusiva, e più demo-crassica, demenziale e depistante che abbiamo mai vissuto prima, in un costante vilipendio di diritti, libertà e confronto che credevamo tesori mai sacrificabili.
Siamo in quello che il filosofo Diego Fusaro nella sua ultima fatica letteraria Golpe globale (Piemme) – testo lucido e composto, anche se con delle ridondanze che ne ripetono ossessivamente pagina dopo pagina concetti ed espressioni già evidenziati– chiama sull’onda di Anders “Leviatano terapeutico”, un’entità vampiresca e asimmetrica, paternalistica e assassina, clinica e monetaria, basata contemporaneamente su misperception studiate a tavolino e su uno tsunami informazionale garantito da una classe giornalistica ormai al collasso intellettuale: “Ha preso forma un terrifico monstrum tecnico-sanitario, che, con le sue sembianze dispotiche e, insieme distopiche, assume la sopravvivenza della mera vita come unico programma d’azione”. Il regime biopolitico di stampo foucaultiano – fa notare Fusaro con grande limpidezza e icasticità – oramai è dispiegato.
La disciplina si applica a corpi e menti, movimenti e intenzioni, e una traiettoria di “pandemia infinita” non può che giovare a quei poteri assiomatici che perseguono lo stravolgimento dell’antropologia in pura zootecnia, la metamorfosi delle masse in greggi docili e sopite, la costruzione di un assetto economico-politico piramidale dove un establishment capace di tutto e dotato di risorse titaniche fronteggia una neo-gleba di infelici e imminenti disoccupati che devono chiedere il permesso per lavorare e guadagnarsi fettine di socialità, e dove la digitalizzazione, l’e-commerce, i mondi virtuali e il capitalismo delle piattaforme spiazza del tutto bandiere, passioni, vicinanza e sensi comunitari.
Siamo vicini al “Grande Spostamento”, come lo chiama il filosofo Flavio Cuniberto in un interessantissimo cameo filosofico dal titolo L’onda anomala (Medusa), ovvero una opportunistica e mortifera negligenza verso l’Umano che sta assumendo sempre più i contorni sfigurati di un “colossale esperimento ingegneristico-sociale” spinto verso l’ecatombe del “non-pensante” come abominio finale del nostro caro vecchio esserci heideggeriano.
Il potenziamento dei dispositivi e delle reti, delle shut economy – avverte Cuniberto – sta stratificando nuove necessità, nuovi habitus, spodestando vecchi canoni epistemologici e realistici, incistandosi, e spappolandole dall’interno, nelle nicchie dell’istruzione, dello studio, delle relazioni interpersonali, dello stare insieme, della politica assembleare.
Ma mai trasformare – ammonisce – questo infernale traghettamento in una rinuncia al pensiero, in una sua débâcle da nuova età della pietra, quella, per intenderci, carica di spaventi e sospetti nonostante i robot, la domotica e l’entertainment a flusso continuo come nel peggiore dei cosmi futuribili alla Bradbury.