Sei sicuro di voler sbloccare questo articolo?
CIDA denuncia irregolarità e confusione nella gestione degli incarichi dirigenziali. Intanto il caso Brugnoni potrebbe trasformarsi in un nuovo fronte di scontro con la Corte dei Conti.
CIDA denuncia irregolarità e confusione nella gestione degli incarichi dirigenziali. Intanto il caso Brugnoni potrebbe trasformarsi in un nuovo fronte di scontro con la Corte dei Conti.
Al Ministero della Cultura si allunga l’ombra della confusione. La gestione delle nomine dirigenziali, già segnata da anomalie e proteste, continua a far discutere. La CIDA – Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità ha denunciato gravi criticità nell’interpello che ha coinvolto ben 175 posizioni dirigenziali: obblighi di preferenze forzate, criteri legali ignorati, incarichi assegnati senza trasparenza e modalità operative differenti da una direzione all’altra. Il risultato? Una macchina amministrativa disallineata, con dirigenti costretti a spostamenti improvvisi e continuità gestionale compromessa.
A questa situazione già problematica si somma ora il caso più delicato: la nomina del nuovo Direttore generale Cinema e Audiovisivo. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha individuato in Giorgio Carlo Brugnoni il successore di Nicola Borrelli. Ma la normativa è stringente: per ricoprire un ruolo di tale livello occorrono almeno cinque anni di esperienza dirigenziale, requisito che il candidato non ha.
Il rischio di una nuova bocciatura da parte della Corte dei Conti è concreto. Già nel 2022, l’organo di controllo aveva fermato una nomina analoga – quella di Stefano Lanna alla guida della Direzione Archivi – costringendo il Ministero a un passo indietro che si tradusse in un vero e proprio imbarazzo istituzionale.
L’impressione è che il Ministero della Cultura stia percorrendo strade già battute, senza fare tesoro degli errori del passato. Puntare su figure prive dei requisiti normativi non solo espone l’amministrazione a nuovi stop, ma rischia di alimentare la percezione di un sistema poco trasparente e piegato a logiche di spoil system.
La denuncia di CIDA si inserisce dunque in un quadro più ampio: quello di un apparato amministrativo che, invece di valorizzare competenze ed esperienza, sembra avvitarsi in procedure opache e sperimentazioni azzardate. Il messaggio è chiaro: il patrimonio culturale italiano non può essere gestito tra incertezze, nomine discutibili e caos organizzativo.
La Corte dei Conti ha oggi la possibilità di ristabilire ordine e credibilità, rigettando richieste di nomina che non rispettino la legge. Perché se il Mic vuole tornare a essere un motore di valorizzazione della cultura, deve prima di tutto dare prova di rigore, trasparenza e rispetto delle regole.