Monica Maggioni, il grande ritorno dalla finestra: Rai e il paradosso italiano che non muore mai

Dimissioni formali, rientro immediato con un contratto esterno più ricco: il caso Maggioni diventa l’emblema dei privilegi in Rai, tra regole aggirate, due pesi e due misure e il silenzio imbarazzato della politica.

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Giovedì 11 Settembre 2025
Roma - 11 set 2025 (Prima Pagina News)

Dimissioni formali, rientro immediato con un contratto esterno più ricco: il caso Maggioni diventa l’emblema dei privilegi in Rai, tra regole aggirate, due pesi e due misure e il silenzio imbarazzato della politica.

Dimissioni lampo, contratto esterno più ricco e fuori dai vincoli di legge. Nel CdA scoppia il caso, con il consigliere Davide Di Pietro che chiede trasparenza. Ma la vera domanda è: come possono accadere certe cose proprio sotto gli occhi della destra di Palazzo Chigi?

 

C’è qualcosa di profondamente stonato nella vicenda Monica Maggioni. L’ex presidente Rai, già direttrice di RaiNews24, del TG1 e del D.E.O.I., si dimette dal suo incarico con tanto di protocolli ufficiali, salvo poi rientrare quasi subito, non dalla porta principale ma dalla finestra, con un contratto esterno ben più remunerativo del tetto dei 240mila euro fissato per i dirigenti pubblici.

 

Uno schema che conosciamo bene in questo Paese: si esce per rispettare la forma, si rientra con un abito nuovo e una busta paga più ricca, dribblando i vincoli della legge. Il gioco delle tre carte applicato al servizio pubblico.

 

A denunciare l’operazione è stato il consigliere dei dipendenti RAI in CdA Davide Di Pietro, che ha preso carta e penna e scritto all’amministratore delegato Giampaolo Rossi e agli altri membri del Consiglio. Chiede chiarezza, perché non si può far finta di nulla: la legge di bilancio 2025 impone alla Rai di razionalizzare i costi delle consulenze esterne. E invece qui assistiamo all’ennesima “deroga di fatto” che somiglia tanto a un privilegio cucito su misura.

 

La questione non è tecnica, ma politica. Come può la Rai, controllata oggi dagli uomini della destra di Palazzo Chigi, consentire un’operazione che va contro il mantra del rigore e del contenimento dei costi? È un autogol gigantesco di credibilità. Perché se davvero il servizio pubblico vuole mostrarsi vicino ai cittadini, non può permettersi di gestire contratti con logiche opache da vecchia Prima Repubblica.

 

E poi c’è il paradosso che brucia ancora di più: viviamo in un Paese dove la Funzione Pubblica nega il parere persino a quei dipendenti che chiedono di rimanere un altro anno a titolo gratuito. Avete letto bene: gratuito. Eppure no, non si può. Ma invece chi si dimette strategicamente, con tempismo perfetto, riesce a rientrare con un contratto esterno più pesante per le casse pubbliche. Due pesi e due misure che gridano vendetta.

 

La vicenda Maggioni, quindi, non è solo una questione di cifre. È l’ennesima fotografia di un sistema che ha fatto dell’elasticità delle regole un’arte, soprattutto quando si tratta di figure apicali e ben collegate. Nel frattempo, ai comuni mortali si ricordano i sacrifici, la spending review, i vincoli di bilancio, le rinunce necessarie.

 

La domanda finale è tanto semplice quanto amara: il servizio pubblico finanziato dal canone degli italiani può davvero permettersi questi giochi di prestigio? O siamo di fronte all’ennesima conferma che in Rai – come spesso accade nella politica italiana – le regole valgono solo per chi non ha santi in paradiso?


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