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Erano gli anni ’80, e immagino che i cronisti più giovani oggi non sappiamo molto di quella fase così esaltante della vita dei calabresi, ma fu davvero una delle stagioni più vive del mondo del giornalismo calabrese. Non solo calabrese. Ad un certo punto Telespazio Calabria e il suo fondatore Tony Boemi finiscono al centro di una inchiesta giudiziaria.
Erano gli anni ’80, e immagino che i cronisti più giovani oggi non sappiamo molto di quella fase così esaltante della vita dei calabresi, ma fu davvero una delle stagioni più vive del mondo del giornalismo calabrese. Non solo calabrese. Ad un certo punto Telespazio Calabria e il suo fondatore Tony Boemi finiscono al centro di una inchiesta giudiziaria.
Siamo oltre la boa degli anni ’80. È il 1993, quando a New York la Columbia University conferisce a Tony Boemi la laurea Honoris Causa in Ingegneria Elettronica. Ma Tony non ha il tempo di assaporare il profumo e il gusto della sua grande rivincita professionale, perché un anno dopo deve affrontare la prova più difficile della sua vita. Drammatico il racconto che ne fa la figlia giornalista Terri Boemi nel suo libro “Nuda”, edito da Michele Falco. “Quando ti arrestarono io non ero con te. Ti accompagnò un autista. Ti accompagnò in carcere. Era sera. Seguii mentalmente quel tragitto immaginando ogni tuo movimento. Ti eri consegnato spontaneamente perché eri innocente. Ma le penne raffinate e fameliche scrissero invece che il grande elefante bianco era stato abbattuto. A caratteri cubitali lo scrissero. Ad accusarti, un carnefice che lo Stato doveva proteggere. Lui e lo Stato. Che farsa. Nelle sue “rivelazioni”, costruite ad arte, fece il tuo nome. E lo Stato eseguì”.
A farlo fuori dal mercato questa volta fu un grossolano errore giudiziario. Come un fulmine a ciel sereno, proprio mentre si preparava a celebrare l’anno più fortunato delle sue reti televisive, una mattina alla sua porta bussano gli ufficiali del Ros. Lo arrestano, accusato di far parte di un’associazione a delinquere legata al mondo dei ripetitori TV. Era tutto falso! Per sua figlia Terri è l’ennesima tegola sulla testa. “In quell’operazione lo Stato aveva trionfato. Sì, ma sacrificando innocenti. Andai dal magistrato. Feci un po’ di anticamera. Un bel po’. Entrai nel suo ufficio. Ero calma. Mi limitai a chiedergli che ti incontrasse, che ascoltasse le tue ragioni. Le tue e quelle del padre dei miei figli, che con te condivideva quel calvario”.
Al processo che lo vide protagonista, il vecchio Tony Boemi si difese come un leone. Come solo lui sapeva fare. “Alla fine, foste assolti e risarciti. Ma tu eri un uomo distrutto. Tutto cambiò. Ti stabilisti definitivamente all’estero. Le volte che rientravi in Calabria ti chiudevi al mondo. Quasi come se provassi vergogna. E per cosa poi? Per colpe che non avevi? Eri come indifferente a tutto ciò che ti circondava. Tu eri già morto. Dentro”.
Da quel mare di fango e di ingiurie, di calunnie e di cattiverie, di accuse e di sospetti, di teoremi e di falsi pentiti, Tony Boemi ne uscì a testa alta, assolto con formula piena e con il riconoscimento dell'ingiusta detenzione, ma ormai devastato profondamente nell’anima e nel corpo. Bastava guardarlo negli occhi per capire che non era più lo stesso. Nel suo caso, il processo mediatico fu molto più feroce del dibattimento in aula. I cronisti lo trattarono come fosse un delinquente comune, scrivendo e riportando sui grandi giornali del tempo notizie di reato assolutamente infondate per lui. La verità è che spesso e volentieri i cronisti non leggono mai con la dovuta severità e il giusto equilibro le carte dei processi, affidandosi invece molto più comodamente alle notizie “esclusive” e spesso fuorvianti e di “parte” che vengono sapientemente centellinate da certe Procure. È storia questa che si ripete ormai ogni giorno e dovunque nel Paese. E da questa storia pubblica, che per lei è stata soprattutto una tragedia familiare, Terri Boemi trae una conclusione che più amara non si può. “Mentre restavi rinchiuso in quello spazio freddo e asfittico, la Calabria, quella che tu tanto avevi innalzata donandole una voce, restava muta. Nessuno si indignò. Eppure, la Calabria, spesso, si indigna per niente. Una indignazione insipida che nessuno ascolta; nemmeno la Calabria ascolta sé stessa”.
Dopo il processo decise di lasciare la Calabria per sempre e trasferirsi in Francia, a Montecarlo, per chiudere questa volta in silenzio, e lontano dalla “sua” Catanzaro, la sua ascesa e la storia del suo immenso potere e successo televisivo. Ma a Montecarlo, poco tempo dopo, era il 3 settembre del 2004, muore d’infarto. Troppo dolore gli aveva provocato quell’inchiesta così assurda e così ingiusta. E Terri, corre da lui per l’ultima volta ancora. “Presi un aereo. Volando verso di te. Ma tu non c’eri più. Oddio tu non c’eri più. Riesci a capire che cosa posso aver provato in quegli istanti lunghi una vita? Perché mi hai fatto questo, perché maledizione? Cosa avrai pensato in quegli ultimi istanti? Ti sei alzato dal tuo letto che era ancora presto. Sudavi freddo. Sei andato in bagno. Barcollavi. Poi ti sei diretto nel soggiorno, verso il divano. Ti mancava l’aria. Lo sguardo rivolto verso l’alto. Come ad invocare il tuo Dio a cui, per tutta la vita, avevi offerto una fede incondizionata. Ti sei accasciato. Pochi secondi e già non respiravi più. Ecco, il momento era arrivato. Chissà quante volte ti sarai chiesto come sarebbe stato. Dicono che non hai sofferto. Ora eri lì. Immobile. Steso su una lastra di marmo freddo. Un sorriso appena accennato. Dall’angolo sinistro della bocca un sottilissimo rivolo di sangue. Elegante nei tuoi abiti di sempre. Rigorosi, scuri. Il ciuffo di capelli ormai radi. Tinti. Ti dava fastidio la vecchiaia. L’età che avanzava. Il tempo che passava. Dove accidenti sei stato tutto quel tempo? Con gli altri. Con le altre. Non con me. Guardami. Sì, guardami. Perché sarebbe come guardarti allo specchio”.
Oggi, dopo tanti anni da allora, Tony Boemi mi piace ricordarlo in questo modo: lui che sorride, mentre aspetta di andare in onda. Piero Pulignani ha appena il tempo di presentargli gli ospiti appena arrivati, la sua fedelissima Rina -con lui da 40 anni- risponde continuamente al telefono, Maria Pia Tallarico fa gli onori di casa, da straordinaria regina della televisione: e qui, in questa sua vecchia stanza, piena di monitors e di pulsanti, il vecchio salesiano di un tempo riacquista per intero la sua vera immagine. Che era quella di un “imperatore dei nostri giorni”, moderno, accattivante, affabulatore, dolcissimo nei modi e nel parlare, caritatevole, più poeta che scrittore, più pastore che intellettuale, più povero dei poveri veri. La gente lo aspetta, lui è lì, davanti al televisore, capace persino di piangere in diretta, ma il vero segreto di Filo Diretto è stato proprio quello di saper raccontare magistralmente alla gente comune storie di violenze pubbliche e private con il cuore in mano. E questo, alla gente, è sempre piaciuto, perché nessuno meglio di lui lo sapeva fare. (5-Fine)