“Sono io, il rio che trova il mare. /Rami, linfe mature, sono specchio/dune di sabbia, verde sulle spiagge./In foglie di acaça, luna carnosa/frutta spessa, musica di sapori/fluido nervoso, lunare, il flusso./I suoni di Rio Araguaia e Xingu,/laghi, pantani, isole alluvionate/saltando, pulsa, vene della terra”.
“Eyes in Color”, Gli occhi nel colore.
Devo riconoscere che oggi, nelle tele del maestro Franco Azzinari, resiste forte lo spirito dei versi che negli anni io ho dedicato alla mia meravigliosa terra di Amazzonia.
“Non è la morte a uccidere / ma l’avidità degli uomini / che arrivano in un’immensa barca per saccheggiare la foresta”.
Nei ritratti che l’artista italiano dedica oggi alla mia Amazzonia, non ci sono solo i colori accesi della mia gente, i caratteri forti dei loro volti, la forza espressiva di un popolo eternamente in fuga e depredato, la bellezza dei paesaggi che hanno accompagnato la mia esistenza e la mia formazione culturale, ma ci sono soprattutto i bambini indios della mia terra, e che Azzinari racconta e rappresenta con una luce negli occhi che è quanto di più vero e di più reale si possa cogliere lungo le mille foreste verdi e lussureggianti della mia gente.
“I bambini guerrieri/ ciascuno incarna un mito/hanno cinture di paglia intrecciata/ornate di penne di arara/orecchini di Penne di arara/ collane di unghie di giaguaro/bracciali di conchiglie di fiume…”.
Bambini ultimi del mondo, bambini lontani anni luce dalla civiltà dei popoli occidentali, bambini guerrieri sin dalla nascita, con una fierezza e una forza d’animo che è difficile immaginare o anche solo raccontare, ma che Azzinari ha colto e riprodotto meravigliosamente bene nei loro sguardi e nel loro saper essere icone della resistenza di un popolo disposto a rinunciare a tutto tranne che alla bellezza dei suoi paesaggi incontaminati e baciati dal sole.
Negli affreschi del maestro ritrovo oggi i colori più autentici della mia Amazzonia, la mia “patria”.
I miei nonni paterni sono nati nella foresta. E anche mio padre Djalma. Erano dell’Acre, una regione interna dell’Amazzonia brasiliana, la terra di Chico Mendes. Mio padre lavorava là e là ho trascorso parte dell’infanzia. Giocavo con gli altri bambini, in piena libertà, imitando i versi degli uccelli, nuotando nel fiume, salendo sugli alberi.
Bambini identici a quelli che Azzinari ci racconta oggi nelle sue tele, bambini affogati di luce e di colori, la luce e i colori straordinari che solo la mia terra sa ancora preservare difendere e offrire al resto del mondo, in maniera quasi religiosa.
La nonna mi raccontava i miti antichi, le storie delle sirene e dei folletti. E mi insegnava le voci del vento, le metamorfosi della luna, il linguaggio dei fiori. L’incontro con la loro realtà è l’origine della mia ispirazione poetica. La famiglia di mia madre, invece, di origine portoghese, rappresentava per me la città, la scuola, lo stile di vita europeo. Ho scoperto che nella foresta c’è una lingua autonoma, diversa da quella delle tribù, diversa da tutte le altre lingue. L’ho imparata e, grazie a lei, posso sentire come alita lo spirito della foresta.
I bambini indios che Azzinari ha incontrato, e a cui mi dicono abbia anche insegnato a dipingere, portando loro dalla lontana Europa le tele e i colori giusti per farlo, i bambini indios con cui Azzinari ha trascorso lunghi mesi della sua permanenza in Amazzonia, hanno insegnato anche a lui il vero grande segreto del mio popolo.
Che è la semplicità della vita quotidiana, la serenità con cui si affronta il tempo che scorre, la voglia di crescere felici ma restando in terra indios, sorridendo agli animali e parlando con gli animali. Dalla nascita alla morte.
Solo una donna indios come me può capire fino in fondo quando un artista come Azzinari confessa di avere incontrato e conosciuto un popolo che non sa cosa sia il “grigio”.
Il “grigio” è l’unico colore che manca nella gamma dei colori dell’Amazzonia.
Ma è così per tutti noi che siamo nati laggiù, lontano da tutto e da tutti. Educati a crescere con negli occhi la luce dei colori forti dei pappagalli o dei fiori cui la mia terra è stracolma in ogni giorno e in ogni mese dell’anno.
Da bambina ricordo ho imparato la lingua della foresta e non ho fatto altro che tradurla per far conoscere al mondo, agli uomini sensibili, i suoi significati. Nella speranza che anche gli insensibili possano ravvedersi perché quel mondo possa essere salvato, preservato, amato.
Dentro l’Amazzonia c’è il mio cuore che batte e dentro il mio cuore c’è l’Amazzonia che respira.
La poesia, come anche la pittura, è strumento libero, vero, senza condizionamenti. Colpisce il cuore e la mente. Ecco perché io ho scelto la poesia come arma di riscatto della mia terra. Sapevo che prima o poi la forza delle parole avrebbe conquistato il resto del mondo.
Avrà pensato la stessa cosa Azzinari.
Tutto può essere business, non la poesia. Attraverso di essa, gli uomini e le donne possono capire che gli alberi siano noi. E che noi siamo alberi. Siamo uniti. Uccidere loro è uccidere noi stessi. Disboscare migliaia di chilometri quadrati è pura crudeltà, non solo verso la natura, bensì verso il genere umano che senza il soffio di quella membrana verde, si estinguerebbe.
Capisco la commozione del maestro Azzinari quando dice “Vorrei poter essere sepolto un giorno nella terra degli Indios, dove i bambini Indios mi hanno ridato la gioia di vivere e mi hanno aiutato a capire perché l’Amazzonia sta morendo”.
“Il bambino giaguaro/si trasforma in tutte le cose/che vivono nell’acqua/si trasforma in tutte le cose/che vivono sulla terra/non c’è differenza tra animali e Piante/ciò che vive nella foresta è dentro la dea…”.
Ho imparato a scrivere a cinque anni e, subito, agli occhi della famiglia di mio padre sono diventata “Márcia la scrivana”. Scrivevo le lettere per mia nonna, poesie d’amore per le amiche da dedicare ai loro fidanzati, racconti da recitare. Ho composto i primi versi a tredici anni. La poesia è venuta naturale: è la mia compagna, la mia seconda pelle, la mia preghiera. Si fonde coi miti e i riti del Brasile, nella sua cultura mistica e sensuale.
Da adolescente divoravo i capolavori della letteratura portoghese e brasiliana. Adoravo le cronache dei grandi viaggi verso le Americhe e dei primi contatti tra indios e conquistatori. Leggevo anche i classici francesi e russi, soprattutto Racine, Victor Hugo, Camus, Tolstoj e, soprattutto, Dostoevskij.
Il mio eroe era, però, Don Chisciotte. Dei grandi autori italiani adoro Mario Luzi che ha scritto anche la prefazione del mio poema sui bambini giaguari. Un grande onore. E’ stato un vero maestro e un amico.
Ora, dopo di lui, tornano nella mia vita i bambini Indios grazie al tratto deciso con cui Azzinari li racconta e li rappresenta.
“Cominciano a danzare in girotondo/i bambini, danza in loro la pelle di animali/kaiku-si ma gelê tapé-wai/lo dicevo che questo era un giaguaro/che esce dal cerchio/kaiku-sí ma gelê tapé-wai/lo dicevo che questo era un giaguaro…”.
Pensate che ho studiato antropologia solo per comprendere meglio l’identità indigena del mio popolo. L’antropologia, però, è una disciplina scientifica che privilegia la cultura materiale. Mi considero, dunque, piuttosto una poetessa– antropologa: al centro del mio lavoro c’è lo spirito della foresta. È la stessa foresta che si coglie alle spalle dei bambini ritratti di Azzinari.
“E’ lei la divinità Giaguaro/come la foresta/antica è la sua vita…”.
Di fronte ai ritratti di Azzinari mi torna in mente un mio vecchio scritto, che recitava più o meno così: “I sognatori, gli artisti, sono il senso dell’universo, qualcosa in più della scienza, sono l’anima della materia, imprevedibili e profondi quanto l’universo infinito. Quanto dura nell’essere umano il bambino che è in lui? Esiste un’universalità del mondo creativo dei bambini? I bambini sentono gli esseri naturali e soprannaturali, gli esseri che volano e cantano, e con l’allegria della loro immaginazione nel quotidiano vissuto, anche una lattina, una ruota o una scatoletta, sono il principio di tutti i sogni”.
Nelle tele di Franco Azzinari si coglie con mano la forza dei sogni e delle illusioni fantastiche dei nostri bambini Indios. Amazzonia meu amor”.
Màrcia Theòphilo
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