Codice Rosso in Calabria, Attilio Sabato e Arcangelo Badolati denunciano una “Sanità in odore di mafia”.
“Disastro pandemico in Codice Rosso. La Sanità calabrese, tra mafie e paradossi”, appena fresco di stampa, l’ultimo saggio scritto a quattro mani da due vecchi cronisti di razza calabresi, Attilio Sabato e Arcangelo Badolati, obiettivo puntato questa volta sullo stato della Sanità in Calabria, che storicamente fa acqua da tutte le parti, e che ha anche tragicamente segnato la storia di questa regione del Sud così lontana da tutto e da tutti.
di Pino Nano
Sabato 05 Giugno 2021
Roma - 05 giu 2021 (Prima Pagina News)
“Disastro pandemico in Codice Rosso. La Sanità calabrese, tra mafie e paradossi”, appena fresco di stampa, l’ultimo saggio scritto a quattro mani da due vecchi cronisti di razza calabresi, Attilio Sabato e Arcangelo Badolati, obiettivo puntato questa volta sullo stato della Sanità in Calabria, che storicamente fa acqua da tutte le parti, e che ha anche tragicamente segnato la storia di questa regione del Sud così lontana da tutto e da tutti.

Un libro denuncia, un’inchiesta a tutto campo, ma anche un appello al Paese per questo eterno stato di abbandono in cui versa la Calabria. Questo nuovo saggio di Attilio Sabato e Arcangelo Badolati è tutto questo e altro insieme.

Ma partiamo dagli autori, cosa che fa sempre bene. Attilio Sabato e Arcangelo Badolati. Sono due cronisti di razza, due giornalisti che lavorano in Calabria da lunghissimi anni, e che conoscono la Calabria come le loro tasche. Hanno scritto diversi libri, sia insieme sia da soli, ma da un anno a questa parte lavorano insieme su un progetto televisivo che ha avuto grande successo di ascolti e di commenti entusiastici. Insieme, da un anno a questa parte, “fanno” un TG TEN “allargato” sulla pandemia, partono alle 14.30 e ogni giorno vanno avanti per un’ora e mezza di filato, un approfondimento continuo, durato un anno, sul Covid in Calabria, un’analisi serrata e meticolosa del “giorno per giorno”, un viaggio reale nel cuore dei tanti ospedali della regione, con collegamenti tutti rigorosamente in diretta dalle corsie ospedaliere dei reparti più critici, dalle case di cura più colpite dal contagio, dalle RSA dove tanti sono stati anche i morti, dalle contrade più lontane della regione dove il Covid ha lacerato intere famiglie. Parte Attilio Sabato, che è il direttore responsabile di Teleuropa, e dà la linea ad Arcangelo Badolati, in collegamento dalla sede cosentina della Gazzetta del Sud di cui è il massimo responsabile, e insieme ogni giorno da un anno a questa parte tracciano il bilancio del momento, con ospiti che dall’Università della Calabria analizzano numeri diagrammi dati e statistiche di ogni genere. Un lavoro certosino, maniacale, fuori dalla norma, frutto di grande esperienza professionale e di grande pratica giornalistica, che probabilmente ha poi dato vita a questo nuovo saggio di grande impatto mediatico per i lettori.

Lo stesso titolo del saggio è emblematico di uno status ormai riconosciuto da tutti gli indicatori possibili e immaginabili: “Disastro pandemico in Codice Rosso. La Sanità calabrese, tra mafie e paradossi”. 277 pagine, Pellegrini Editore per la Collana “L’Inchiesta”, con un indice che la dice lunga sul lavoro affrontato a realizzato. Basta dare una scorsa ai vari paragrafi del libro per capirlo meglio: Due miliardi mai spesi, Il disarmo degli ospedali, Il trucco per svuotare le casse, La morte compagna di corsia, I nuovi ospedali “fantasma”, Il prete amante dei lussi e lo scandalo del “Papa Giovanni”, L’onorata Sanità, L’omicidio “eccellente” di Francesco Fortugno, La depressione virtuale dei boss, e infine “I medici uccisi.

Un saggio-denuncia in cui gli autori proclamano la propria convinzione di fondo, che è questa: “In Calabria soprattutto la Sanità è da decenni il più ambito dei “passaggi” per carriere possibili, “parcheggio” dorato per burocrati giunti a fine corsa spediti dal governo centrale in Calabria, indipendentemente dal grado di competenze in materia. Tutto è Sanità: attenzione, lavoro, risorse, inchieste, progetti, ambizioni, futuro”.

Ma nella prefazione che ne fanno sono ancora più diretti ed espliciti: “Rieccoci. Undici anni dopo aver raccontato storture, sprechi, paradossi e contraddizioni della sanità calabrese ci siamo rimessi a scrivere. L’arrivo della pandemia ha messo a nudo ciò che in tanti tentavano di nascondere dietro le insegne luminose e ingannevoli di ospedali riammodernati solo a parole, strumentari ultramoderni mai entrati in funzione e nosocomi ingiustamente chiusi in nome di un “taglio” agli sprechi che era, invece, un colpo d’ascia alla sanità di prossimità e all’assistenza alle popolazioni. L’incedere del Covid 19, le decine di morti registrate nella regione, hanno rappresentato la tragica opportunità per rimettere tutto in discussione e levare la patina sparsa a piene mani su strutture e servizi, aziende ospedaliere e sanitarie, trasformate in sepolcri imbiancati. L’ipocrisia politica, l’improvvisazione riscontrata nell’agire di molti dirigenti di settore, il ciarliero festival inscenato quasi quotidianamente per annunciare soluzioni e interventi puntualmente disattesi ci hanno indotto a indagare e raccontare quanto stava realmente accadendo”.

Naturalmente, -sottolineano Attilio Sabato e Arcangelo Badolati- tutte le vicende riferite nel libro sono tratte da documenti e provvedimenti giudiziari, e le persone, a qualsiasi titolo coinvolte nei fatti narrati, devono considerarsi estranee a responsabilità penali e innocenti sino alla dimostrazione del contrario con sentenza passata in giudicato”. Ma è questa la grande civiltà di chi crede di dover essere garantista fino all’ultimo.

In realtà per i due cronisti calabresi non è stato difficile scoprire l’esistenza di centinaia di milioni di euro mai spesi.

“Bilanci artefatti, casse delle Asp depredate attraverso pagamenti doppi o tripli delle stesse fatture, interferenze partitiche costanti e dannose, interessi striscianti della ‘ndrangheta nei settori delle forniture, condizionamenti delle lobbies nelle scelte strategiche e negli investimenti, ingerenze della massoneria deviata nelle carriere dei medici, guadagni milionari ottenuti da legali senza scrupoli, corruzione imperante a tutti i livelli e gravi casi di malasanità. Non solo: l’azione svolta dalla magistratura antimafia ci ha consentito di verificare il perpetuarsi di una condizione di connivenza risalente ai lontani 80 del secolo scorso con le odierne Aziende sanitarie provinciali infiltrate in più settori dalle cosche come lo erano le vecchie e traballanti Usl. E il quadro è apparso tante grave da determinare lo scioglimento per mafia, in poco tempo, delle Aziende di Reggio Calabria e Catanzaro”.

Il quadro generale è davvero devastante, e se non conoscessimo la serietà e lo scrupolo con cui gli autori raccontano la sanità calabrese verrebbe naturale nutrire qualche dubbio. Ma loro restano categorici nel giudizio finale: “In questo libro- spiegano con forte determinazione- che è il naturale seguito di quello pubblicato nel 2010, troverete la mappa d’uno scempio che ha dunque radici nel passato e freschi e velenosi germogli nel presente. Ogni cosa che abbiamo deciso di raccontarvi trova puntuale riscontro in atti pubblici e provvedimenti giudiziari e la sola ragione che ci ha indotto a scriverne è l’indignazione”.

Di grande suggestione il capitolo dedicato ai medici uccisi

“Nella terra della ’ndrangheta un errore medico può costare la vita. I boss, che amministrano privatamente giustizia e che condizionano l’economia e la politica, non tollerano sbagli. Quando mettono piede in un ospedale vogliono essere accolti, serviti e riveriti come monarchi assoluti. I padrini, presuntuosi e prepotenti, pretendono perfino che il Padreterno non metta il naso nelle malattie dei loro familiari. Perciò se qualcosa, per colpa di una negligenza sanitaria o di una zampata del destino, non va per il verso giusto sono guai. Ma guai seri”.

Il libro ripropone e ripercorre la storia di Gino Marino (È una sera ventilata quella del 22 ottobre del 1988 quando il primario chirurgo Gino Marino lascia l’ospedale di Locri per tornare a casa. Ha finito il turno e spera di rilassarsi a casa con la moglie, incinta al settimo mese, e il figlioletto), di Nicolò Pandolfo (Nella città di Zaleuco, cinque anni dopo Marino, verrà assassinato un altro medico. Si chiama Nicolò Pandolfo, ha 51 anni, ed è il primario del reparto di Neurochirurgia degli “Ospedali Riuniti” di Reggio Calabria). A lui tocca morire alla vigilia del solstizio di primavera, la sera del 20 marzo 1993), di Costanzo Catuogno (Il 30 gennaio 2001, in un corridoio dell’ospedale di Vibo Valentia, viene ucciso il primario di Urologia Costanzo Catuogno. Cade fulminato da sei colpi di pistola sparati da un elettricista di ventisette anni, Saverio Mesiano, che lo ritiene responsabile della morte della moglie, Donatella Labate, che ne aveva ventiquattro)

Ma di grande efficacia e di forte impatto giornalistico è anche il capitolo dedicato alla ndrangheta che usa la sanità calabrese per sfuggire alla galera. “Lo testimonia -scrivono gli autori- una singolare epidemia che ha investito larghi strati della classe dirigente mafiosa. Capi ’ndrina e picciotti, azionisti e “contrasti onorati” di tutta la regione sono stati infatti infettati, negli ultimi anni, da un virus silente e micidiale. Un virus capace di trasmettere una malattia non trasmissibile: la “depressione maggiore”. Una patologia curabile solo dagli “specialisti” operanti in due strutture sanitarie private dell’area cosentina”.

Così come tutti sanno in Calabria- concludono amaramente i due giornalisti- “che c’è l’interesse politico-sanitario della ’ndrangheta pure dietro l’assassinio di Francesco Fortugno, uno dei pochi delitti “eccellenti” consumati da una mafia abituata a muoversi in immersione e ad evitare attacchi diretti ai rappresentanti istituzionali”. Ne segue la ricostruzione storica dettagliatissima di questi ultimi 50 anni di vita calabrese: “In Calabria le cosche hanno alzato il tiro in rarissime occasioni. È accaduto nel luglio del 1975, a Lamezia Terme, con l’omicidio dell’avvocato generale dello Stato Francesco Ferlaino; nel marzo 1985, a Cosenza, con l’eliminazione del direttore del carcere Sergio Cosmai; nell’agosto del 1989, a Bocale, con l’eliminazione dell’ex presidente delle Ferrovie dello Stato Lodovico Ligato; a Campo Calabro, nell’agosto del ’91, con l’assassinio del sostituto procuratore generale presso la Cassazione Antonino Scopelliti”.

Ma nel saggio di Attilio Sabato e Arcangelo Badolati troverete molte altre suggestioni giornalistiche che arricchiscono il loro bel lavoro, e il cui ricavato della vendita andrà tutto in beneficenza.

 


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