Da Gerace al cuore pulsante della LUISS, Francesco Maria Spanò & la magia della sua terra natale, la Calabria

Presentazione oggi a Roma,  alla  Gangemi Editore.

(Prima Pagina News)
Giovedì 17 Ottobre 2019
Roma - 17 ott 2019 (Prima Pagina News)

Presentazione oggi a Roma,  alla  Gangemi Editore.

Da Gerace al cuore pulsante della LUISS, Francesco Maria Spanò & la magia della sua terra natale, la Calabria
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Francesco Maria Spanò, intellettuale e giurista di grande fascino, che per mestiere fa il Direttore delle risorse umane dell’Università LUISS Guido Carli, presenta oggi a Roma, nella sala di rappresentanza della Gangemi Editore di Via Giulia 142, l’ultimo suo libro, “Gerace Città Magno-greca delle Cento Chiese, Storie e immagini rivissute”, 192 pagine, una sorta di diario, e album fotografico insieme, sulla sua terra natale, che è la Calabria, sul paese dove è lui è nato e cresciuto da bambino, che è Gerace, e sulla gente della Locride che oggi, a buona ragione, lo considera uno dei “geracesi più illustri d’Italia”.

Il testo che segue è il racconto personale che questo straordinario figlio di Calabria fa del suo saggio, edito da Gangemi, e che oggi alle ore 17 sarà presentato alla stampa dal Presidente della Corte dei Conti Angelo Buscema, da Lorenzo Infantino Professore di Filosofia delle scienze sociali Università Luiss Guido Carli, e da Elisabetta Migliorelli Giornalista del TG2. Un vero e proprio evento letterario per i calabresi di Roma.

“Vorrei raccontarti il sentimento che mi ha accompagnato nel corso di questa mia felicissima esperienza. Rivivendo gli episodi di un tempo “raccontato” e lasciandomi trasportare dalla loro intensità, mi è inconsapevolmente accaduto di dare nuova vita agli avvenimenti stessi e di vederli alla base della mia identità.

E da ciò è derivata la profonda spinta emotiva che ha poi dato vita a questo volume. Riportare in primo piano momenti intensi della nostra esperienza esistenziale non equivale semplicemente a recuperare una traccia del tempo passato. Significa soprattutto beneficiare di una carica energetica e di un calore che rendono possibile la matura riappropriazione della propria individualità, delle proprie origini e del senso di appartenenza alla propria comunità: perché quello di ciascuno di noi è tempo storico e non immaginario. L’esperienza visiva ha fatto in tal modo rivivere vecchie emozioni e ne ha alimentate di nuove. Immagini in bianco e nero che raccontano del nostro vissuto, preziosi “contenitori di momenti” non più attuali, ma non più nella teca dell’oblio: vivi, veri, ritrovati e non persi. Si tratta di un’“esperienza quasi miracolosa” (Marcel Proust), che coinvolge strati profondi del nostro io, quelli legati alle prime esperienze di vita e su cui è cresciuta la nostra identità. Le foto sono state accuratamente scelte da me, come pezzi di un puzzle volto a completare il quadro di un periodo che ha visto svolgere la vita della mia famiglia, dei miei concittadini e della mia città. Mi sono affidato alla guida speciale di Marcel Proust.

Quando a Combray andava a salutare la domenica mattina la zia Léonie, questa gli offriva, inzuppate nel tè, delle focaccine chiamate “maddalene” e poi, molto più tardi, a Parigi, di nuovo una “maddalena” inzuppata nel tè gli ha fatto rivivere lo stesso sapore di quelle mattine domenicali, provocando in lui quel flusso di memoria involontaria che ha poi alimentato la sua Ricerca.

“La vista della maddalena, prima d’assaggiarla, non m’aveva ricordato niente. Ma quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo”.

Così, quando, osservando una delle foto raccolte, ho riconosciuto Giuseppe, un caro compagno di gioco, anch’egli emigrato, che correva lungo i muri di quel palazzo che per tanti anni ho costeggiato pure io – correndo con i miei fratelli, i miei cugini e i miei amici –, sono stato attraversato da un flusso di memoria che ha ridato vita al passato, proiettando l’attimo del ricordo oltre i suoi stessi confini, in un’area inattaccabile dal tempo.

Conclusa la scuola, correvamo su e giù per il paese tutto il giorno per tutto il mese di giugno “come uno sciame d’api smarrito sul mare”. Un gruppo affiatato si radunava sotto casa mia e lì iniziava l’eterno gioco alla conquista dei luoghi più abbandonati: i vecchi casalini con tetti e pavimenti sfondati, la scalata al castello. L’incursione più affascinante era entrare nel Palazzo dell’Episcopio e del Seminario.

Le scorribande attraverso il quasi illimitato edificio erano interminabili. Si partiva come verso una terra ignota, respirando le antiche testimonianze, con la vista di libri lasciati qui e là, librerie vuote, cocci, sedie e mobili vari, arredi sacri, saloni immensi con carta da parati ancora in scena, appartamenti di rappresentanza, altari, marmi, cappelle, scuderie, serre afose, passaggi, scalette, terrazzini e porticati, la grande cucina, la tipografia e mille altri scenari, tutto dismesso e disabitato.

Abbandonato da decenni, era un tortuoso e misterioso labirinto. E poi a luglio, con l’arrivo degli amici dal nord Italia, iniziavamo i bagni sulla spiaggia antistante gli scavi della Locri antica, isolata e tutta per noi. La giornata prevedeva che la mattina si andasse al mare con i grandi; nel pomeriggio un po’ di riposo, seguito dallo studio e dal resto. Ma il tempo del gioco è presto finito: ha subìto una progressiva limitazione, fino a scomparire del tutto. I miei sentimenti non riguardano solo il vissuto legato alla raccolta fotografica ma l’intero fluire del tempo, di cui queste foto sono unicamente dei frammenti. Ritrovare, recuperare e rivivere in momenti inaspettati e magici tutto quanto si è vissuto anche inconsapevolmente, incerti di essere stati in quel tempo davvero vivi. Proust fa riaffiorare in me una vera nostalgia, non soltanto della fanciullezza o dell’adolescenza, non solo della famiglia, della mia terra o della mia città, ma di un “qualcosa” che, in questo periodo della mia vita, sento annidato nella parte più profonda del mio animo e, forse, è così nascosto che difficilmente lo potrò intravedere e raccontare in questa circostanza.

Senz’altro ha trama della mia nuova vita, riaffiorata in me dopo il settembre del 2017. Come che sia, la memoria della sensazione ha valicato i confini della narrativa fotografica. E sono stato travolto da un torrente di momenti felici, di attimi extratemporali, che poi sono diventati la Gerace dei volti, dei gruppi, della chiesa, dei personaggi illustri e delle famiglie a me care, dei simboli, delle stagioni di una terra che vede da sempre i colori del mare, dei miei amici, delle pause del ricordo, dei legami bizzarri della memoria, come la viennese che mio padre mi comprava ogni domenica, dopo la santa messa celebrata in cattedrale. Così mi puoi seguire in questo viaggio di memorie per le vie di Gerace”.


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