La trasparenza amministrativa arretra dinnanzi alla privacy

Il recente orientamento della Corte Costituzionale

(Prima Pagina News)
Giovedì 23 Gennaio 2020
Roma - 23 gen 2020 (Prima Pagina News)

Il recente orientamento della Corte Costituzionale

La trasparenza amministrativa arretra dinnanzi alla privacy
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Nel corso degli ultimi anni il legislatore e gli enti pubblici si sono uniti in un sforzo corale finalizzato a rendere concreta la suggestiva immagine della Pubblica amministrazione come “casa di vetro”. La trasparenza, infatti, non è solo, un antidoto all’inefficienza, all’inefficacia ed agli sprechi che possono interessare l’azione amministrativa, ma costituisce - oggi più che mai - un presidio anticorruzione. Non è solo, dunque, un valore a sé stante, ma funzionale al più ampio obiettivo di sterilizzare l’agire pubblico dalla cattiva amministrazione, grazie al controllo esercitabile dalla collettività attraverso la conoscibilità dei dati, documenti e informazioni mediante i vari istituti presenti nel nostro ordinamento. Accesso documentale, accesso civico “semplice” e generalizzato (quest’ultimo meglio noto come FOIA italiano) sono alcuni degli strumenti che hanno reso più concreto il concetto di trasparenza nella P.A., nel tempo arricchito da continue novità normative che hanno rinnovato la dinamica relazionale tra il cittadino ed i soggetti pubblici, promuovendo la partecipazione al dibattito pubblico attraverso un’ampia conoscibilità degli atti. La strada ad “un pieno diritto all’informazione amministrativa” ha, però, recentemente subito una battuta d’arresto ad opera della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 20/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 33/2013 nella parte in cui si prevedeva la pubblicazione a carico delle PP.AA. dei dati previsti dall’art. 14 comma 1, lett. f) del medesimo decreto, relativi a tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualunque titolo conferiti. Prima della declaratoria di incostituzionalità la norma in questione prescriveva, infatti, la pubblicazione di una serie di dati reddituali e patrimoniali di tutti i dirigenti pubblici, ivi inclusi quelli di pertinenza dei parenti entro il secondo grado che vi acconsentissero, ponendosi in contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 7, 8 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), all’art. 8 della CEDU, nonché all’art. 6 e 8 della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali. Nel valutare un bilanciamento tra diritto alla riservatezza e l’obbligo alla trasparenza dell’attività amministrativa, la Consulta ha ritenuto prevalente - nel caso di specie - il primo interesse e, pur riconoscendo che la pubblicazione dei succitati dati e informazioni sia funzionale alla prevenzione della corruzione, ha ritenuto inappropriata la misura prescelta dal legislatore in quanto contrastante con i principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza sanciti anche dalla recente normativa in materia di protezione dei dati di cui al Regolamento (UE) n. 2016/679 del 27 aprile 2016, meglio noto come GDPR. Per tali ragioni il legislatore ha inserito nel D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, recentemente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 2019 (c.d. decreto “milleproroghe” 2020), la previsione della sospensione delle misure sanzionatorie nel caso di violazione degli obblighi di trasparenza, “nelle more dell’adozione di provvedimenti di adeguamento alla [citata] sentenza della Corte Costituzionale”, che dovrà avvenire mediante l’emanazione di un regolamento entro il 31 dicembre 2020. Il passo segnato dalla Corte costituzionale è indicativo di come il diritto all’informazione amministrativa non sia assoluto, ma debba essere temperato da contrapposte esigenze di riservatezza del singolo, da valutare caso per caso. Il giudice delle leggi ha così posto un ampio interrogativo sulla complessiva efficacia dell’intera architettura, che sembra costruita su equilibri precari. A ciò si aggiunga che l’obbligatoria ostensione di un’eccessiva mole di dati non sempre contribuisce ad un’effettiva trasparenza, ma spesso determina un inutile appesantimento della macchina amministrativa, con il concreto rischio di confondere ulteriormente il cittadino non dotato di specifiche competenze nel discernimento tra le miriadi di informazioni.


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