Albino Lorenzo, Tropea festeggia i 100 anni della nascita del grande pittore

Albino Lorenzo è stato uno dei più grandi impressionisti del ‘900.Ora Tropea, sua città natale, si prepara a festeggiarlo con una serie di iniziative di respiro anche nazionale.

di Pino Nano
Venerdì 21 Gennaio 2022
Vibo Valentia - 21 gen 2022 (Prima Pagina News)

Albino Lorenzo è stato uno dei più grandi impressionisti del ‘900.Ora Tropea, sua città natale, si prepara a festeggiarlo con una serie di iniziative di respiro anche nazionale.

Albino Lorenzo era Tropea, e Tropea negli anni a cavallo tra il 1960 e il 2000 era soprattutto Albino Lorenzo. Dopo di lui veniva Raf Vallone, che a Tropea era nato, ma che una volta lasciata la sua casa natale non vi aveva più fatto ritorno se non per brevi periodi dell’anno. Di Raf Vallone è rimasto oggi lo scheletro della sua vecchia villa di famiglia, lungo la strada che porta a mare, e che Raf Vallone prima di morire aveva scelto come location ideale per rilasciare ad un altro figlio illustre di Tropea, il giornalista Pasqualino Pandullo oggi Direttore del TG Regionale di RAI-Calabria, la sua ultima intervista pubblica, un vero e proprio testamento spirituale dedicato alla sua infanzia calabrese e alla sua città natale.

Di Albino Lorenzo è rimasto ancora, invece, il suo vecchio studio, che si affacciava sul mare, e da dove Albino dipingeva le sue tele che erano immagini fedelissime dei mercati tropeani, degli angoli più suggestivi della marina, della suggestione possente della Chiesa di Santa Maria dell’Isola, della fatica ordinaria e quotidiana dei produttori di cipolle, era insomma la vita reale dei contadini di quel tempo, neorealismo puro pervaso da un amore viscerale per il mare e per la gente che a Tropea sul mare viveva di pesca e di turismo. In quegli anni, ricordo, dicevi Albino Lorenzo e dicevi Tropea, parlavi di Albino Lorenzo e si parlava di Tropea. Albino andava alla Biennale di Venezia e a Venezia si raccontava della spiaggia immacolata della marina di Tropea, le tele di Albino volavano a San Pietroburgo e in Russia si proiettavano le immagini incantate del mare azzurrissimo di Capo Vaticano, che era diventato il promontorio più famoso e più conosciuto del Sud Italia e non perché vissuto da uno grande scrittore come Giuseppe Berto, che sulla cima del Capo aveva chiuso il suo bellissimo manoscritto, Il Male oscuro, ma perché nelle tele di Albino i tramonti dipinti dal Capo ti riempivano gli occhi di luce e di vita.

Albino Lorenzo era la Calabria, Albino era Tropea, Albino era Capo Vaticano, Albino era la Costa degli Dei, ma perché nessuno meglio di lui forse l’aveva mai rappresentata così bene. Albino era la sintesi di tutto questo immenso e meraviglioso patrimonio naturale di cui era protagonista assoluto e senza concorrenti. Un grande pittore di quegli anni, va detto senza mezzi termini, ma soprattutto uno dei figli più veri, più illustri, più conosciuti e più amati di Tropea. Non a caso, la sua storia sembra quasi una favola moderna. Ancora oggi, diciassette anni dopo la sua morte, la critica internazionale che più conta lo indica e lo riconosce come uno dei “grandi nuovi impressionisti del Sud Italia”, un artista nato e vissuto per tutta la vita a Tropea, e che per paura degli aerei non ha mai accettato i tanti inviti eccellenti ricevuti nel tempo da oltre oceano, centinaia di inviti prestigiosi nelle più famose capitali del mondo, ma lui puntualmente rifiutava. Lo faceva sia nel caso gli venisse proposto un premio alla carriera, o anche più semplicemente gli venisse chiesto di presentare in prima persona i suoi capolavori.

Albino Lorenzo aveva fatto di Tropea la sua “Itaca”, e in tutte le sue opere, in oltre sessant’anni di attività artistica, non ha fatto altro che ricostruire rappresentare e raccontare quella che era allora la memoria storica della sua città natale, soprattutto la vita ordinaria della sua gente e del suo popolo contadino, che tanto lo amava ma che lui tanto profondamente venerava. Uomo dal carattere radioso, affabile, eternamente sorridente, quasi indifeso e timidissimo, interprete della modestia e della semplicità popolare di tutti i Sud del mondo.

Il mio primo incontro con Albino Lorenzo è stato bellissimo. È stato bello incontrarlo, conoscerlo, raccontarlo agli altri. Ricordo che la RAI gli dedicò un intero speciale TV, ma ricordo soprattutto che la parte più complicata di quel documentario fu proprio la sua intervista, quando i riflettori di accendevano su di lui e il regista dava il ciak di avvio Albino perdeva il suo smalto, sembrava aver perso la voce, era quasi incapace di raccontarsi, a mala pena accennava qualche risposta, ma con gli occhi bassi, rivolti per terra, o peggio ancora immobili inespressivi e fissi nel vuoto. L’esatto contrario di quando lui invece prendeva i pennelli tra le mani e dava corpo e materia alle sue tele, quasi una magia impossibile da raccontare a chi non lo ha mai conosciuto.

Albino Lorenzo nasce come pittore impressionista quasi per gioco. Sarà suo padre Saverio ad avvicinarlo per la prima volta ai colori e alla magia della tavolozza, suo padre che di mattina insegnava disegno alle scuole medie del paese, e che una volta rientrato a casa trascorreva poi con lui molte ore del pomeriggio trasferendo nel figlio la sua passione per la pittura e per i paesaggi. “Figlio d’arte in tutti i sensi” diceva di sé stesso raccontandosi in televisione. Si sposa giovanissimo, all’età di 22 anni, nel 1944, con Luigia Capua, una donna che per tutta la vita gli resterà accanto con una dedizione quasi struggente, ma che nel frattempo gli darà anche 18 figli, una famiglia enorme anche per quei tempi, ma che lui non ha mai considerato “un problema”, anzi tutt’altro, era fonte di per lui di nuovi stimoli e di nuove energie artistiche.

“Lorenzo - scrive di lui Michele Cascella su Il Messaggero nel novembre del 1975- mi è parso un personaggio biblico, da quando ho conosciuto la sua famiglia attraverso una fotografia di gruppo, lui, la moglie, con in grembo l’ultimo nato, e tutt’intorno ragazzi e ragazze, una vera squadra, oltre la dozzina, tutti di una bellezza greco-calabrese”. Dopo le Elementari e le Medie a Tropea Albino Lorenzo finisce a Palmi, dove frequenta l’Istituto Magistrale, e rimane a Palmi fino al compimento del suo diciottesimo anno di età. Poi torna a Tropea, ma immediatamente dopo il diploma trova anche il suo primo impiego pubblico. Viene assunto come impiegato all’Ufficio delle Imposte Dirette della sua città natale, Tropea, e qui trascorrerà tutto il resto della sua vita. Di giorno in ufficio, poi dalle tre del pomeriggio in poi in spiaggia e nelle campagne dell’intero comprensorio, a caccia di suggestioni e di immagini da utilizzare per le sue tele. Quando poi andrà definitivamente in pensione la sua giornata di artista inizia alle sei del mattino, e si concluderà con il calare della sera.

C’è ancora a Tropea qualcuno dei suoi vecchi amici ancora rimasti in vita che lo ricorda come un “ventenne fiero e ribelle”, un giovane pieno di vita e di energia, di una esuberanza fisica senza pari, che non conosceva pause o momenti di riposo, e non a caso forse la sua produzione pittorica fu davvero enorme nel numero delle opere prodotte. La sua fama di artista poliedrico gli porta il suo primo incarico di prestigio -così lui lo considerava- nei primi mesi del 1957, quando il Vescovo del tempo lo chiama in Arcivescovado e gli chiede di dirigere nel suo tempo libero il Dipartimento di pittura del Seminario Vescovile della Diocesi di Nicotera Tropea. Poi ancora, dal 1992 in poi gli viene assegnata la Cattedra di pittura dell’Accademia Fidia di Vibo Valentia, anche questo un incarico che gli varrà una lunga serie di riconoscimenti importanti e non solo nazionali. Ma man mano che gli anni passano, però, il suo “modo di essere giovane” cambia radicalmente, e a un certo punto della sua vita diventa quasi un orso, schivo in tutti i sensi, a tratti anche scontroso, riservato, silenziosissimo, anche se non perderà mai la sua caratteristica tradizionale: chiunque lo conosceva o lo frequentava sapeva infatti che per incontrarlo bastava andarlo a trovare, raggiungerlo nel suo laboratorio che si era costruito in una misera casetta che si affacciava direttamente sul mare ,appena fuori dalla città, e dove l’artista viveva con la porta sempre aperta, e dove produceva senza sosta opere di grandi dimensioni pittoriche.

La sua caratteristica, cosa che fu poi per lungo tempo anche acceso argomento di dibattito tra i critici d’arte più famosi del suo tempo, era il suo modo di dipingere, non olio su tela come tutti potrebbero immaginare o immaginano quando si parla di un impressionista moderno, ma Albino Lorenzo preferiva il compensato di legno, e su grandi fogli di compensato di legno spargeva e diluiva i suoi colori con tratti del pennello veloci e appena accennati. Lo storico e critico dell’arte prof. Maurizio Calvesi ripeteva di lui un concetto che ha ormai fatto il giro del mondo legato alla storia di Lorenzo: “Lorenzo elimina le ombre per intensificare la vibrazione della luce”.

Il massimo del successo artistico Albino Lorenzo lo conquista negli anni a cavallo tra il 1960 e il 1980- 1985, sono gli anni in cui la critica nazionale si prende cura delle sue tele, e sono gli anni in cui le sue tele, i suoi ritratti, i suoi paesaggi, finiscono nelle gallerie più prestigiose di quella fase storica, non solo in Italia. Sono infatti anche questi gli anni delle sue prime rassegne internazionali importanti a Nizza, Deauville, Parigi, Bruxelles, Knokke, e infine New York, 50 le “personali” e oltre 70 le “collettive d’arte” che lo vedono protagonista di primo piano. Ma sono anche gli anni in cui prende corpo la grande amicizia personale tra lui e Enotrio Pugliese, altro grande pittore calabrese che come Lorenzo è sempre rimasto radicalmente legato alla sua terra di origine, l’uno a due passi dall’altro, Albino Lorenzo a Tropea, Enotrio a Pizzo, lungo il tratto di Riviera Prangi che dalla Salerno Reggio Calabria porta al Castello Murat, amicizia la loro coronata da un altro forte rapporto fraterno con l’attore tropeano Raf Vallone che appena può lascia la sua residenza romana per far ritorno nella sua città natale e ritrovarsi con loro.

Con il successo per Albino Lorenzo arrivano naturalmente anche le prime recensioni giornalistiche d’autore, ma soprattutto si cementano le prime “amicizie eccellenti”, Michele Cascella, Claudio Strinati, Maurizio Calvesi, Marziano Bernardi, Dino Buzzati, Carlo Mazzarella, Mauro Sassoli, Eduard Baumer, Luigi Servolini, Bruno Morini, Franco Miele, Guglielmo Petroni, Renzo Guasco, Carlo Carlino, Albino Galvano, Mario Perazzi, Stefano Ghiberti, Riccardo Campanella, ma ancora di più il suo rapporto profondo con Eugenius Eibisch famosissimo pittore polacco dell’Ecole di Paris che per anni lo invita, ma inutilmente, a presentare le sue opere nei paesi dell’Est.

“Uomo dell’anno” nel 1977 a New York, riconoscimento che gli viene dalla Little Italy della Grande Mela, “Nomination Speciale” nel 1981 a Tokyo per la grafica, Vincitore Assoluto della Rassegna d’Arte Contemporanea a Lione, Albino Lorenzo diventa per tutti “il poeta della terra”, il “cantore del mare”, l’angelo “custode e fedele dei contadini del Sud”, il “ritrattista dei poveri”, il reporter dei “mercati e delle fiere di paese”, una sorta di neorealista alla sua maniera, in grado di usare i colori della sua tavolozza con la stessa dimestichezza ed emozione con cui un fotoreporter avrebbe potuto utilizzare la sua vecchia Leica. Nell’ottobre del 1987 -riporta la sua biografia ufficiale pubblicata di recente dal Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea, per ICSAIC, l’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea – “Albino Lorenzo vive una delle fasi forse più tristi della sua esperienza artistica: una notte qualcuno si introduce nel suo studio-laboratorio e porta via 25 grandi tele, erano state appena esposte con grande successo di critica e di pubblico alla Biennale di Zurigo, un vero e proprio patrimonio pittorico, interamente dedicato ai mercati calabresi, genere molto amato e specifico della pittura di Lorenzo, un furto d’arte che scosse il mondo degli artisti e che rimase per sempre un giallo indecifrabile”. Ai suoi funerali, il 28 dicembre 2005, parteciparono in migliaia, ma Tropea aveva perso per sempre il suo “guardiano del faro”, e con lui se ne andava per sempre anche il vero ultimo grande “Patriarca dell’Isola bella”(pn)


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