Ucraina: finisce un’epoca, ma non ne abbiamo coscienza
Sta tramontando quell’epoca “fortunata” cominciata in Europa dopo la Seconda guerra mondiale? Sta finendo il tempo storico della generazione che ha goduto - in condizioni straordinariamente favorevoli - della possibilità di progredire senza sosta? Cosa succederà dopo la fiducia illimitata riposta essenzialmente nel progresso e nel dominio della tecnica sulla natura? Qui di seguito l’analisi dello scrittore Mimmo Nunnari.
di Mimmo Nunnari
Venerdì 15 Aprile 2022
Roma - 15 apr 2022 (Prima Pagina News)
Sta tramontando quell’epoca “fortunata” cominciata in Europa dopo la Seconda guerra mondiale? Sta finendo il tempo storico della generazione che ha goduto - in condizioni straordinariamente favorevoli - della possibilità di progredire senza sosta? Cosa succederà dopo la fiducia illimitata riposta essenzialmente nel progresso e nel dominio della tecnica sulla natura? Qui di seguito l’analisi dello scrittore Mimmo Nunnari.

Non sappiamo ancora quale sarà lo scenario del futuro, ma quella che stiamo vivendo, con la guerra in corso, è l’alba di un’epoca nuova, che richiede sguardo basso guardia alta e pedalare, come non eravamo più abituati, distratti come siamo dalla moda del “superfluo”, dal consumare senza senso o bisogno, e della chiacchiera da bar.

È possibile che in futuro il mondo, scosso adesso anche dalle onde telluriche delle guerre, si dividerà, sempre di più, in ricchi sempre più ricchi e in poveri sempre più poveri.

Non ci sono solo guerre ed emergenze energetiche che stanno disegnando lo scenario del domani, ma c’è anche da arginare la deriva dei modelli istituzionali e allontanare lo spettro del collasso delle tecnologie, che sono utilissime al progresso, ma sonno dannose quando si sostituiscono all’uomo, alla sua intelligenza, alla sua umanità.

Stiamo lasciando, forse senza averne ancora coscienza, un’epoca che ha conosciuto solo il progresso, senza però che si sia pensato, usando in maniera esagerata la tecnologia, agli impatti che il progresso continuo, senza sosta, produce.

E’ la prima volta che la corsa s’inceppa in Occidente e fa intravedere una fine di cui ancora non abbiamo avuto il tempo (o non abbiamo voluto) di accorgerci e di cui non conosciamo i titoli di coda. E’ come se tutto stesse accadendo senza che se ne sia presa coscienza, spiega il filosofo Umberto Galimberti quando dice ( Il tramonto dell’Occidente)  che dell’evento, cioè la fine dell’Occidente, la società è come se non si accorgesse, pur se -  come molti segnali hanno da tempo annunciato - è sempre stata vicina la sua fine.

Ma cosa finisce? E cosa comincia? Finisce certamente la fiducia (smisurata) che l'Occidente aveva riposto in sé stesso, un’autostima illimitata tanto da credere di poter perseguire senza difficoltà l’obiettivo di occidentalizzare il mondo, imponendo le proprie (presunte) virtù e ricette di buon vivere.

Ma le cose non sono andate e non vanno come abbiamo immaginato.

 La civiltà della tecnica e del profitto hanno prodotto insieme a sconfinate ricchezze per pochi, insopportabili disuguaglianze per molti. Finisce, a nostra insaputa, potremmo dire, l’epoca della fiducia nel progresso tecnologico, che è stato indispensabile per lo sviluppo e la crescita, ma non ha risolto tutto; anzi è

 causa del fenomeno dell’identificazione dell’uomo con i materiali della tecnica e della tecnologia, senza più distinzione tra una cosa e l’altra. E’ questo disordinato progredire senz’anima, che ci fa entrare in una crisi profonda, come sta accadendo.

  Mentre trionfano avidità, egoismo, sfruttamento dei più deboli, insensibilità per le sofferenze altrui, e spuntano guerre - quella in Ucraina non è l’unica ma è la più vicina a noi e perciò la “vediamo” - ritorna dal passato lontano l’ombra di Prometeo che dopo aver donato all’uomo la tecnica a un certo punto riconosce che la tèchne è di gran lunga più debole di Anànke, la “necessità”, il destino che regola l’universo e la vita. Ieri, come oggi, il confronto è tra umanità e tecnica posto che lo sviluppo tecnologico è andato oltre i limiti. La tecnica, dice ancora Galimberti, non ha alcun fine da raggiungere, né alcuno scopo da realizzare, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità. La tecnica funziona secondo quelle procedure che pur nel loro rigore e nella loro efficacia si rivelano incapaci di promuovere un orizzonte di “senso”.

E’ proprio sulle ceneri della categoria del “senso” che si proiettano le ombre del tramonto che, come italiani, ci riguarda da vicino, per via del fenomeno di uno Stato che non garantisce ne legittima l’unità. Nel Mezzogiorno siamo come sospesi nel vuoto, con la Costituzione che ha alcune righe “saltate”. 

I segnali, prima indecifrabili durante la corsa sfrenata verso la crescita di una sola parte di nazione, adesso sono chiari.

La pandemia del terzo millennio ci dice che siamo tutti uguali, che alcuni eventi non si possono evitare, solo perché siamo più forti.  Poi, c’è il buco nero nell’atmosfera di pace che in Europa durava da settant’anni, che riguarda tutti. Il Covid e la guerra stanno cambiando il mondo e dietro l’angolo c’è una voragine dentro la quale rischiamo di sprofondare tutti. Se esiste un modo per regolare il disordine che è davanti a noi, questo è il momento di applicarlo. È questa la sfida epocale se la si capisce: opporsi al declino, gestire il cambiamento, senza traumi e senza retrocedere.


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