Tv in Calabria, Telespazio, la lezione di Rocco Turi a Cassino (3)

Erano gli anni ’80, e immagino che i cronisti più giovani oggi non sappiamo molto di quella fase così esaltante della vita dei calabresi, ma fu davvero una delle stagioni più vive del mondo del giornalismo calabrese. Non solo calabrese. Ecco la storia di Telespazio Calabria.

di Pino Nano
Venerdì 18 Marzo 2022
Catanzaro - 18 mar 2022 (Prima Pagina News)

Erano gli anni ’80, e immagino che i cronisti più giovani oggi non sappiamo molto di quella fase così esaltante della vita dei calabresi, ma fu davvero una delle stagioni più vive del mondo del giornalismo calabrese. Non solo calabrese. Ecco la storia di Telespazio Calabria.

Grazie alla cocciutaggine e agli sforzi imprenditoriali di Tony Boemi quello di Via De Filippis nel cuore della città vecchia di Catanzaro, era diventato il più grande studio televisivo del Sud Italia. Certamente, uno dei più grandi e attrezzati d’Italia. La particolarità dello studio centrale era dato dalla superficie occupata, ben 2 mila metri quadri, rigorosamente insonorizzati e tecnologicamente di ultimissima generazione. Quasi uno schiaffo alla miseria endemica del Sud, ma anche una provocazione palese e arrogante alle grandi reti televisive nazionali, costrette da quel momento a dover fittare quello studio per le grandi realizzazioni e produzioni televisive di quegli anni.

 

Un giorno capitai nella stanza di Tony Boemi, ricordo che era appena uscito da lì Pippo Baudo. Baudo era venuto a salutarlo, e il vecchio Tony mi fece sedere davanti a lui, mi prese per le mani, e mi raccontò del suo ultimo successo televisivo. Ma che non era fatto di ascolti o di personaggi noti arrivati a Catanzaro a salutarlo da ogni parte d'Italia. Quella volta, il successo era legato al rapporto forte, reale, che lui era invece riuscito a legare con i grandi produttori televisivi italiani. In sostanza, da Milano stava per sbarcare a Catanzaro la rete ammiraglia del gruppo Mondadori, che allora si chiamava Retequattro, e che aveva inaugurato le sue trasmissioni il 4 gennaio 1982 come società a responsabilità limitata. Il network, presidente Mario Formenton, era allora di proprietà della Mondadori per il 64%, dell'editore Perrone per il 25% e di Carlo Caracciolo per il restante 11%, e si articolava in 23 emittenti diverse, alcune delle quali di proprietà Mondadori, attraverso la controllata Telemond. Altre piccole realtà erano invece di proprietà diretta del Gruppo Perrone, e altre ancora invece semplicemente affiliate al circuito.

 

Cosa stava succedendo? In mancanza di una direttiva che consentisse la trasmissione dei programmi TV su scala nazionale da parte dell'emittenza privata, anche Retequattro si doveva servire di quello che i tecnici allora chiamavano la “interconnessione” con alcune realtà televisive locali, ma era proprio questo l’escamotage necessario per poter trasmettere gli stessi programmi, nello stesso giorno, alla stessa ora, e contemporaneamente sull’intero territorio italiano.

 

Sostanzialmente, per poter diventare un network nazionale dovevi essere in grado di garantire una copertura totale del Paese, e per far questo era dunque necessario e fondamentale collegarsi e appoggiarsi a una serie di televisioni locali sparse lungo tutta la dorsale appenninica. L’emittente capofila di questo sistema era allora RTI-La Uomo Tv una delle prime TV private romane, ma ricordo che grande peso strategico avesse anche Videodelta, anche questa famosa e storica TV milanese.

 

I meno giovani se lo ricorderanno meglio: la rete mondadoriana nasceva dalle ceneri del circuito GPE-Telemond, gruppo TV operativo sin dall'8 settembre 1979 proprio nella produzione e distribuzione di programmi di proprietà mondadoriana, ed era presieduto da un giornalista geniale e poliedrico come Piero Ottone, direttore responsabile prima del Secolo XIX di Genova e poi del Corriere della Sera.

 

Bene, in questo quadro generale, la piccola TV privata inventata da Tony Boemi diventò nei fatti una delle emittenti regionali più seguite d’Italia. Quando Tony Boemy per la prima volta mi parlò di quelli che erano i suoi progetti futuri, cosa che faceva sempre sorridendo e in maniera anche disarmante, intuii però che per lui, e per la sua televisione locale, stava per arrivare stata la grande svolta. Davvero indimenticabile, lo ricordo come fosse ieri. Un giorno mi disse: “Mondadori vuole incontrarmi, vuole conoscermi, sono pronti a firmare con noi un contratto di sinergia nazionale. Forse abbiamo vinto la nostra battaglia più difficile”. E poi aggiunse: “Ti confesso che non immaginavo che sarebbe bastato così poco a convincere i lombardi della nostra forza, e soprattutto della nostra serietà. Ci sono voluto dieci anni di duro lavoro, ma ne valeva la pena”.

 

Non a caso, forse, il giorno della inaugurazione dei nuovi studi televisivi, quella struttura modernissima costruita proprio alle porte della città subito dopo la Galleria del Sansinato e poco prima del Viadotto sulla Fiumarella, in quella che Tony Boemi chiamava la “cittadella calabrese dell’informazione televisiva” era arrivato come ospite d’onore, e soprattutto come “osservatore interessato” Adriano Galliani, che allora era potentissimo Amministratore Delegato della Fininvest. Alla fine della cerimonia ufficiale Galliani chiese a Boemi di poterlo salutare, e prima di ripartire per Milano lo invitò a Segrate, facendosi promettere che a Milano Boemi avrebbe portato le immagini, o almeno le foto, di questo suo mondo così tutto calabrese e “così tutto molto speciale”. Tony Boemi mantenne la promessa.

 

Qualche mese più tardi si presentò negli studi di Segrate, e come gadget-ricordo della sua visita fece tagliare per i suoi nuovi amici lombardi una vera e propria montagna di salumi calabresi. Li fece servire con enormi fette di pane di grano, rigorosamente casareccio, e su dei vassoi che portavano questa scritta: “Telespazio Calabria, la Televisione più ruspante d’Italia. A Milano se lo ricordano ancora.

Da questo momento, il successo di Telespazio non conosce più limiti. La TV di Boemi la si capta da Catanzaro a Palermo, ma anche a Salerno, e in Calabria là dove la Terza Rete della Rai non arriva la televisione di Tony Boemi diventa il solo “credo televisivo” riconosciuto come tale in tutta la regione.

Ricordo tanti anni fa una delle lezioni tenute all’Università di Cassino da un bravissimo sociologo calabrese, il prof. Rocco Turi, e guarda caso una di queste sue lezioni agli studenti lo studioso l’aveva dedicata proprio al “Fenomeno Filo Diretto” e al “Caso Boemi-Telespazio Calabria. Una studentessa ad un certo punto si alza al centro dell’aula dov’era seduta e chiede al professore cosa mai lo avesse spinto a questa lezione così singolare.  Non dimenticherò mai il volto del professore in quella occasione. Lui, che tradizionalmente sembrava già allora un uomo tutto di un pezzo, un intellettuale incapace di sorridere e di emozionarsi, improvvisamente si trasforma, i lineamenti del suo viso si addolciscono, come difficilmente mi era mai capitato di notare, e con un linguaggio dai toni delicatissimi e un atteggiamento quasi paterno risponde alla studentessa in maniera disarmante. “Semplicissimo. Ho scelto la storia di Tony Boemi, perché ho avuto modo di seguire il suo Filo Diretto in alcune occasioni. Non è facile per un sociologo guardare la TV e immedesimarsi in quello che il conduttore di un programma ti offre a quell’ora del pomeriggio, ma un giorno Tony Boemi mi lasciò davvero di stucco. Parte il programma, e la prima cosa che Boemi racconta al suo pubblico è di una telefonata appena ricevuta poco prima di andare in onda. “Mi ha telefonato una giovane donna - esordisce Boemi - aspetta un bimbo, dovrebbe partorire da qui a qualche mese e vuole sapere, da me e da Filo Diretto, dove può trovare un fico. Capisco che questo non è periodo di fichi, ma lei vorrebbe un fico fuori stagione. E allora voi che mi ascoltate da casa, se sapete dove in questo periodo questa donna possa trovare almeno un fico, chiamate il nostro centralino e date alle nostre ragazze le informazioni che avete. Non vorrei - sottolinea più volte il conduttore - che il bimbo nascesse, e sulla pelle di questa giovane donna si materializzasse nel frattempo una voglia da desiderio represso o impossibile da soddisfare, per via dei mercati dove in questa stagione non ci sono fichi”. La cosa che più mi ha colpito - aggiunge Rocco Turi - è l’emozione e il coinvolgimento con cui Tony Boemi aveva aperto il suo programma. Non un grande problema sociale, o anche la storia di una delle mille vertenze sindacali e operaie che in quegli anni pure c’erano in Calabria, ma un piccolissimo problema personale e privato di una giovane partoriente. Devo dire la verità, ho trovato quella performance come un momento di televisione genuina, ideale per una riflessione sociologica. Accadeva insomma che un uomo come lui, che sembrava impegnato ad occuparsi esclusivamente dei grandi temi calabresi, quel giorno avesse invece in realtà un solo obiettivo concreto: trovare un fico per quella donna che gli aveva telefonato prima di andare in onda, che lui non aveva mai conosciuto o incontrato, in attesa di un bimbo. Meraviglioso, non crede? Sotto il profilo antropologico direi un puzzle bellissimo”. (3-Segue)

 


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